Al marchese Santini.

Fraterno augellin, come sopravvivi al tuo pensier? Come sopporti quel duce che ti domina?
Per lo stesso oceano galleggiamo, dallo stesso tormento siam dominati.
Al dì e alla sera, non abbiam pace.
Condividiamo il nostro male, ne tracciam l'immensa potenza.
Infinita brama c'assale, che sia glabra come il palmo di questa mano, o folta come la mia testa, sfumata o ricamata: la amiamo. È portatrice di una bellezza disumana, indescrivibile.
E tu, e tu, come ti liberi dall'idea della reina?
Frale io son.
Quando sen giva il giorno, ignudo e solo, nel bagno, con l'ano sospeso su una pozza d'acqua, io nel pensier mi fingo un albero grimo di quei frutti. Frutti d'ogni specie. E mi scaldo.Li mangio e il loro succo scende dalla mia bocca giù lungo il collo e poi sul petto.
Il membro s'indurisce, colla mancina lo strangolo ritmicamente fino a che un sussulto mi dà i brividi dappertutto e il tormento s'acquieta.
Ma la speme che me ne sia liberato per l'eternità, è breve.
Appena son sul fianco, eccolo che torna e nottetempo mi fa compagnia.
Fraterno augellin, a noi la vita è male.

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