Visualizzazione post con etichetta CAPITOLO 1. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CAPITOLO 1. Mostra tutti i post

lunedì 27 luglio 2015

5.Topi


Fui condotto in un fosso di cui ignoravo l'esistenza: umido e freddo, tremore, null'altro attorno a me: «io sol uno», mi venne in mente, e perché è così.
Mi svegliò la gatta, mi stava sul petto e si lavava leccandosi, e rutteggiava involtini primavera, ed era disgustosa.
Me ne stetti tutto il giorno in casa, e non mi lavai, e nessuno mi telefonò, e misi in ordine la libreria, e cenai con del pane secco bagnato d'olio sul cui strusciai un pomodoro.
Pensai tutto il giorno senza parlare mai, e i pensieri mi marcirono dentro.
Non vedevo l'ora che fosse lunedì per tornare a lavorare, almeno avevo qualcosa da fare, qualcosa da toccare, qualcuno con cui parlare. Sempre i soliti discorsi, si cammina su nuvole di frasi fatte, e non si passa mai oltre. Ma è un mondo che sta insieme, un mondo semplice e gretto che comunque ha una sua attività, che comunque diviene.
E io mi presento lì e faccio la mia parte, una parte senza ruolo specifico, faccio quello che c'è da fare e basta, sono un ingranaggio sostituibile con un qualunque altro ingranaggio.
E ciò conferma la mia inutilità, il mio essere un nulla che si muove, che parla come da copione, che non ha rapporti; uno che non termina mai il libro che comincia a leggere, uno che di notte beve per prendere sonno, e che se vuol dormire deve essere ubriaco, e dormire con le scarpe legate, e svegliarsi di mattina coi piedi informicolati.
L'insonnia mi tormenta solo da pochi anni, ed è una merda, ed è come se il corpo agisse indotto da un terzo, persuaso da qualcuno a dover essere stanco, ma non dormire mai.
E allora pensi, ma non parli, e a volte scrivi, poi leggi, poi ti fai una sega, e poi bevi, e ribevi, e poi dormi vestito.
E al mattino fa male la testa, e mentre l'acqua ti scorre addosso tu senti tutto il peso del tuo corpo, e allora vorresti essere acqua, e scivolare via insieme ai capelli, ai peli e al piscio, e disperderti dappertutto, e finalmente dormire.
Se non avessi Nigeria avrei già salutato tutti. Anzi, non me ne frega di salutare nessuno.
È tutta colpa del Tennis, di una troia e di un maestro, forse è anche colpa mia; ma insomma, forse non ha colpa nessuno, ma a rimetterci sono io.
Una volta da piccolo volevo un bicchiere di latte freddo, abitavamo in campagna, ed era estate.
Presi una tazza e la poggiai sul tavolo, dal frigo tirai fuori il latte e lo versai nella tazza, poi rimisi il latte in frigo.
Lo sentivo già in bocca il sapore di quel latte freddo, mentre fuori si bolliva di caldo, e dalla tazza scendevano giù le goccioline.
Mi metto a sedere, infilo le dita nell'orecchio della tazza, davanti un biancore ancestrale, e all'improvviso emergono delle zampette nere, poi una coda e poi un'altra, e infine due corpicini di topini morti, grandi come mignoli.
Chiaramente ci rimasi di merda, e da allora guardo sempre nei bicchieri o nelle tazze prima di riempirle, anche se non ho più bevuto latte.
Senza fare troppe scene mi alzai dal tavolo con la tazza in mano, camminai fino ad arrivare vicino ad un fosso e lanciai tutto, tazza di topolino compresa.
E ci rimasi male, e ci son rimasto male ora come allora quando il tennis è entrato a far parte della mia vita, son quelle cose così inattese che non ti fanno agitare, ti fanno rimanere lucido, ma poi arrivano comunque tutte le conseguenze.
Mi ha lasciato di lunedì, le parrucchiere non lavorano il lunedì, e allora mentre ero in paura pranzo e me ne stavo a casa a mangiare, lei mi dice tutto, e con molta calma esce di casa con le valige fatte la mattina, un'uscita pensata da tempo, messa in atto grazie al coraggio dato da un ritardo mestruale; e allora tu come ti sentiresti?, tu che non la scopi più da quasi un anno, che non pensavi a nulla di tutto questo, a te che il tennis fa cacare?
Nulla, non fai nulla, e pensi a farti una scopata prima di fare un piano. E il sabato di quella settimana scopai Nigeria sul lato passeggero della mia macchina, e lo facemmo tre volte in un quarto d'ora, e pensai che la fica mi mancava tanto, e fu uno dei giorni più belli della mia vita.
Ora siamo in intimità con Nigeria, viene a casa mia e si parla, un sabato che nevicava cenammo insieme, mangiammo la barbina in brodo, e poi prese il treno delle nove dopo che le insegnai a fare il caffè.
Lei sa quello che fa, è cosciente del suo lavoro, è fiera di ciò che ha scelto di essere. Vuol metter via tanti soldi, e a venticinque anni tornarsene a casa, e fare famiglia, e non avere l'aids.
Guadagna in una settimana quello che guadagno io in un mese, e non spende nulla, e manda tutto a casa.
È una ventenne determinata, e io la amo anche per questo.
E glielo dico sempre che vorrei sposarla e andare con lei in Nigeria, ma lei ride, e non ci crede, e pensa che non è vero, ma in fondo secondo me lo sa che la amo davvero.
È l'unica luce che vedo oltre questa caverna di solitudine, l'unica speranza di salvezza per la mia vita. Ripongo in lei ogni aspettativa per il futuro.

mercoledì 13 maggio 2015

3. Pietro



Al telefono c'era Pietro, amico di vecchia data, e la battuta gli piacque.
Non so di preciso quanti anni abbia, so solo che vendeva macchine e aveva già il suo ufficio personale quando a sedici anni andai in quella concessionaria a fare il tirocinio.
Pietro ha sette anni in più di me, ecco mi ricordo, ora ha trenatre anni.
Lo feci sempre lì il tirocinio, e per come mi garbava farlo lì, in quarta decisi di bocciare a scuola, giusto per rifarcelo un volta in più.
Per l'incoronazione Pietro mi ha regalato una bottiglia di Champagne e voleva sapere se era buona. Di conseguenza mi racconta che sta scopando e si sente quasi fidanzato con una tamarra da insulto stradale di nome Monika, che suppongo si scriva con la k.
E gli chiedo: «Ma chi è? Anche questa l'hai trovata su internet? É una drogata? È due quintali?».
Perchè Pietro trova tutte tipe strane, e tempo fa stava con una che ammaestra scimmie, e me la presentò e sembrava una scimmia, e puzzava di scimmia.
Insomma questa tamarra di nome Monika è un'acrobata del pompino e proprio ieri sera gli ha detto che voleva farsi scopare la bocca mentre stava a testa in giù. In pratica lei stava facendo una verticale e lui se ne stava invece in piedi come un qualunque cristiano, e la teneva per le gambe, e si succhiavano a vicenda.
La descrizione della passerotta di Monika data da Pietro è la seguente: «un lampredotto sugoso con un ciuffino di peli».
Il lampredotto mi fa intendere che Monika abbia almeno sessantacinque anni. E ciò non mi stupisce.
Comunque me la vuol far conoscere al più presto, che secondo lui per farla godere a dovere bisogna essere in due, e fissiamo per sabato sera.
Prima di riattaccare mi rassicura che non è come una di quelle che portò a Natale, quando lo vidi arrivare con una Fiat Punto di quelle nuove che lì per lì mi sembrava sbassata e truccata, anche se gli mancava la luce al neon.
Poi parcheggiò e scesero due elefantesse in ponch, e la macchina tornò alla sua altezza naturale dopo aver cigolato un po'. Erano due sorelle che non ho idea da dove venissero, forse del sud, comunque erano enormi, e le chiavammo ugualmente. Non fu una cosa tremenda, solo che alle tre di notte un tonfo svegliò il condominio intero: la mia stroncò in due il letto su cui eravamo.

lunedì 11 maggio 2015

2. Battute infelici




Oggi pomeriggio mi è venuta un battuta carina. Squilla il telefono e dicono: « Pronto, c'è il dottore?», al che rispondo: «No, c'è la cremeria».
Mossi dallo sdegno siete autorizzati, davvero senza problemi, a chiudere tutto e a dire che in fin dei conti ci avete provato, che non per nulla ma non è proprio il vostro genere di letteratura. Vi capirò, già vi capisco.
Ma la battuta non è quella appena scritta, è un'altra.
Dovete immaginarvi la scena: ore 17.00, martedì pomeriggio, bottega ordinata e pulita, tranne i vetri che mi sembrano un po' polverosi. La frutta e la verdura ben disposte, il banco della gastronomia bello pieno di roba, i giardini davanti con l'erba tagliata e le siepi tutte a filo, bambini che ruzzolano nei prati, chi gioca a palla, chi impara ad andare in bici senza rotine e cade senza dolore dopo ogni metro. Una temperatura ideale, con un sole che ti ci abbronzi dopo due minuti senza patire caldo, mentre delle bambine giocano ad acchiappino e dei bambini scalano il monumento ai caduti senza corde e con tanto coraggio.
Ma è un gruppetto di dodicenni in un triangolo di prato che attira la mia attenzione: quattro bambini sono in piedi in cerchio, una bambina coi capelli neri e la divisa nel mezzo stile Gioconda se ne sta al centro con un vestitino giallo a disegnini colorati. Sono tutti fermi, la bambina parla e loro stanno fermi. Poi riparla e restano ancora fermi, e allora parla di nuovo dicendo le stesse cose di prima ma formulate diversamente, e i bambini iniziano a saltellare a zoppo galletto, tutti tranne uno, al quale forse non gli riesce. Allora l'incapace di andare a zoppogaletto abbandona il gioco e si siede a gambe incrociate come uno yogi. E proseguono, la bambina parla e solo un bambino si muove, sbagliando. Ha confuso la formula sbagliata per quella giusta, s'è mosso e non doveva, fuori anch'egli dal gioco. Ho capito, la bambina è «esso», e ha il potere di far compiere azioni ad altri. Di nuovo lei parla, anzi «esso» parla per bocca della bambina, e i due restanti in gioco iniziano a baciarsi, mi pare con la lingua. I perdenti e la bambina iniziano a ridere e a saltellare, e a fare quei versi strani come fanno i marmocchi quando sono in preda all'euforia.
I finalisti, dopo aver realizzato, ci restano di stucco mentre gli altri li prendono in giro.
Ecco, lo scenario è ameno, la bottega ha le luci spente e si lascia illuminare dalle luci esterne, e squilla il telefono: «Pronto c'è il dottore?», e rispondo: «sì, ma se è per una ricetta le passo l'infermiera».
Scoppiai a ridere compiacendomi con la mia ironia.



venerdì 1 maggio 2015

1. Il mio regno non è di questo mondo


Sulla curiosa incoronazione dell'altro giorno parlarono in molti ma nessuno, di fatto, giunse a conclusioni divertenti da esporre adesso.
Dall'esterno talvolta sembra di vedere il mondo intero, il mondo senza l'io ha un aspetto strano, inconsueto, quasi mistico.
E passa poi tutto rapidamente, l'io torna ad essere il centro del mondo, e un po' ti rincuori perché tutto è com'è sempre stato, tutto è nell'ordinario.
Vorrei provare a scrivere in terza persona ma ho paura.
Provò a scrivere in terza persona anche una persona che conosco, e ne rimase incantata al punto di non toglierselo più dalla testa.
E tipo dice: «Lei (riferito a sé) quest'anno ha voglia di andare al mare, e il figlio ha bisogno di una macchina nuova. Ma l'una o l'altra cosa: dovrà scegliere!».
Quando la sento parlare resto sempre un po' irrequieto.
Penso che oltre ad avere una concezione strana del mondo, l'abbia a maggior ragione di se stessa. 
Storie di vita, si fa per parlare, però ecco, vorrei essere per un giorno quella signora che parla di sé in terza persona, provare un giorno a fare come lei, e registrare tutto ciò che accade, per poi rinsavire dopo una dormita.
Ma è un gioco dal quale non si torna indietro, c'è da fare un percorso di deambulazione con degli esperti e dei santoni, e poi forse si torna apposto. Non ho esperienza e non ho mai sentito dire in giro di qualcuno che sia tornato da quello stato e ne abbia poi narrato le emozioni, son curioso di sapere che sensazione si ha di se stessi e del mondo in un mondo che è vissuto da un altro, o nelle vesti di un altro che non si è.
Comunque se rivedo la Corinna glielo dico: «Ma lei chi? Lei cosa?».
Corinna si chiama la donna di cui sto parlando, diamo almeno un nome unico a questa doppia entità.
La Corinna viene a fare la spesa da me in bottega e avrà quasi settant'anni o giù di lì, diciamo che ne ha sessanta e qualcosa, giusto per non farle un torto, che magari s'impermalosisce. Sempre ben curata, pulita, tonica e di buona corporatura; amici la definirebbero chiavabile. 
A volte mi fa:« Mi dai... tre agli per la Corinna, dei cetrioli, diciamo due, un Napisan Plus (ciò mi fa pensare che di notte si pisci addosso o abbia delle perdite al punto da dover disinfettare le lenzuola), uno yogurt magro e tre kiwi, che la fanno andare d'intestino alla Corinna».
Capite, tutto questo per la Corinna, che ho davanti ma che allo stesso tempo non è lì; fluttua nell'aria un corpo mistico di Corinna, l'ho davanti in carne e ossa, con quel suo tony grigio con la scritta «danza» sul culo, ma si vede che lei non ci si riconosce, o non sa di esserlo, o che ne so cosa pensa.
So solo che da giovane scrisse un libro dal titolo "Santi e Santini", in terza persona, e non ne è più uscita. Suppongo sia pazza.
La saluto dicendo: «porta i miei saluti a Corinna», e lei risponde sempre: «presenterò». Così che io me la figuro che rientra in casa, chiude la porta e dice: «Ti saluta Andrea, il figlio del bottegaio, quello in piazza dei giardini». Magari qualcuno risponde davvero, o magari continua lei: «tanto bravo quel ragazzo, salutamelo».