sabato 14 maggio 2011

"Ho finito".



“Là, ero seduto laggiù. Non sono certo però, ora sono
confuso.

Spiegami quello che è successo.

Anche solo con un gesto, mi basta un' espressione del tuo
volto per capire.

Adesso che succederà?

Ho finito?

Sei tu?

Io chi sono?

Parlami, toccami e dimmi che sono qui con te.

É Tutto finito?

Ti ho trovata?

Sarà davvero l'ultima?

Che ore sono adesso?

Sei tu davvero?

Ero là e d'un tratto mi trovavo perduto nella nebbia, né un
punto di riferimento in lontananza né in me.

La densa nebbia mi avvolgeva completamente.

Ero solo.

Abituato a specchiarmi negli altri, non mi riconoscevo.

Non distinguevo i miei tratti somatici, il suono della mia
voce, le mie mani, le mie braccia e il mio corpo.

Non ero in grado di esistere.

Non ricordavo.

Poi rapidamente mi sono portato le mani davanti agli occhi e
le ho sbattute con violenza sulla mia faccia fino a
lacrimare.

Allora, sapevo di esistere.

Ero io.

Mi sono seduto a terra e ho abbracciato le mie ginocchia
fino a stringerle forte al petto.

Tremavo dal freddo e dalla paura.

Tremavo per il non sapere cosa stesse succedendo.

Poi, ho chiuso gli occhi.

Il vuoto del buio ha iniziato lentamente a colorarsi.

Ho iniziato a ricordare.

Prima i colori, poi i sapori, gli odori, la forma, il peso e
il ritmo delle cose.

Vedevo me stesso, ricordavo me stesso.

Il lento ricordare che sembrava, è diventato poi crogiolo di
me.

Sembrava un sound metropolitano in cui si inseriscono danze
Country e dissolvenze Pop.

Basi Trance e scintille Jazz.

Folk e Minimal, Goa e Funky.

Un insieme di confusi ricordi ormai dimenticati.

Non potevo fermarli.

Pur volendolo, lo stop non si schiacciava ed ero ormai
rapito.

Costretto a nuotare affannosamente a delfino, nell'io dei
ricordi diventati piscina.

Non sapevo che fare.

Poi, istintivamente mi sono voltato per non prendere i
ricordi in faccia ma per osservarli tranquillamente una
volta passati.

Giratomi, li vedevo scorrere lenti, andavano piano davanti a
me.

Partivano da me.

Dell'immensità, io ero il confine.

Mormoravo a me stesso e la voce era la mia, tutto divenne
chiaro, molto chiaro.

Ciò che vedevo si rifletteva su di me lentamente, potevo
toccare, entrare dentro ad ogni frammento di me e avere il
tempo di riflettere sulle cose che in passato mi avevano
viziato l'anima, il corpo e la mente.

Stavo ammirando i miei primi anni di vita ed è successa una
cosa inspiegabile.

Ho visto la prima cosa che vidi in questa vita, poi d 'un
tratto, prima di sentirmi felicemente acqua, l'ultima cosa
che vidi nella scorsa vita.

É mutata quindi la mia voce e la mia posizione.

Sono mutate le mie percezioni e i miei sentimenti.

Sono cambiati anche i personaggi della commedia che stavo
osservando, la trama, l'ambiente, le forme, i colori e i
sapori.

Era un'altra vita.

Un'altra vita da me vissuta.

Vita, acqua, vita poi acqua e di nuovo vita.

Sono stato guerriero, schiavo, faraone, macellaio e donna.

Un perpetuo ripetersi di storie.

Ho rivisto e rivissuto molte vite e ogni ricordo si
ricollocava al suo posto negli infiniti calchi del mio
essere.

In ogni vita, ero sempre alla ricerca di qualcosa e
perennemente dispiaciuto per non averla trovata.

Costretto a rinascere per non averla trovata.

Ora sto piangendo, ma in realtà non so chi sia a farlo.

Che “io” piange?

L “io” di che vita?

Forse piange il mio essere.

Essere che è diventato finalmente consapevole che “essere”
non significa essere un corpo.

Ho visto.

Ho capito.

So chi sei.

Ti stavo cercando.

Ora dimmelo, ti prego dimmelo.

Ti ho trovata?

Posso smettere di cercare?

Nelle vite che ho rivissuto, ero sempre alla ricerca di
quegli occhi che sono i tuoi occhi.

Sono confuso, ma ho capito.

Sarò libero?

Ho finito di morire e poi rinascere?

Sarò per sempre acqua?

Dimmelo, ho finito?

Questa è la mia ultima vita.

Poi, finalmente, sarò per sempre acqua.

Lo sento, ti ho trovata.

E' l'ultima lo so.

Ho finito.”

martedì 10 maggio 2011

"Ho finito".



“Là, ero seduto laggiù. Non sono certo però, ora sono
confuso.

Spiegami quello che è successo.

Anche solo con un gesto, mi basta un' espressione del tuo
volto per capire.

Adesso che succederà?

Ho finito?

Sei tu?

Io chi sono?

Parlami, toccami e dimmi che sono qui con te.

É Tutto finito?

Ti ho trovata?

Sarà davvero l'ultima?

Che ore sono adesso?

Sei tu davvero?

Ero là e d'un tratto mi trovavo perduto nella nebbia, ne un
punto di riferimento in lontananza ne in me.

La densa nebbia mi avvolgeva completamente.

Ero solo.

Abituato a specchiarmi negli altri, non mi riconoscevo.

Non distinguevo i miei tratti somatici, il suono della mia
voce, le mie mani, le mie braccia e il mio corpo.

Non ero in grado di esistere.

Non ricordavo.

Poi rapidamente mi sono portato le mani davanti agli occhi e
le ho sbattute con violenza sulla mia faccia fino a
lacrimare.

Allora, sapevo di esistere.

Ero io.

Mi sono seduto a terra e ho abbracciato le mie ginocchia
fino a stringerle forte al petto.

Tremavo dal freddo e dalla paura.

Tremavo per il non sapere cosa stesse succedendo.

Poi, ho chiuso gli occhi.

Il vuoto del buio ha iniziato lentamente a colorarsi.

Ho iniziato a ricordare.

Prima i colori, poi i sapori, gli odori, la forma, il peso e
il ritmo delle cose.

Vedevo me stesso, ricordavo me stesso.

Il lento ricordare che sembrava, è diventato poi crogiolo di
me.

Sembrava un sound metropolitano in cui si inseriscono danze
Country e dissolvenze Pop.

Basi Trance e scintille Jazz.

Folk e Minimal, Goa e Funky.

Un insieme di confusi ricordi ormai dimenticati.

Non potevo fermarli.

Pur volendolo, lo stop non si schiacciava ed ero ormai
rapito.

Costretto a nuotare affannosamente a delfino, nell'io dei
ricordi diventati piscina.

Non sapevo che fare.

Poi, istintivamente mi sono voltato per non prendere i
ricordi in faccia ma per osservarli tranquillamente una
volta passati.

Giratomi, li vedevo scorrere lenti, andavano piano davanti a
me.

Partivano da me.

Dell'immensità, io ero il confine.

Mormoravo a me stesso e la voce era la mia, tutto divenne
chiaro, molto chiaro.

Ciò che vedevo si rifletteva su di me lentamente, potevo
toccare, entrare dentro ad ogni frammento di me e avere il
tempo di riflettere sulle cose che in passato mi avevano
viziato l'anima, il corpo e la mente.

Stavo ammirando i miei primi anni di vita ed è successa una
cosa inspiegabile.

Ho visto la prima cosa che vidi in questa vita, poi d 'un
tratto, prima di sentirmi felicemente acqua, l'ultima cosa
che vidi nella scorsa vita.

É mutata quindi la mia voce e la mia posizione.

Sono mutate le mie percezioni e i miei sentimenti.

Sono cambiati anche i personaggi della commedia che stavo
osservando, la trama, l'ambiente, le forme, i colori e i
sapori.

Era un'altra vita.

Un'altra vita da me vissuta.

Vita, acqua, vita poi acqua e di nuovo vita.

Sono stato guerriero, schiavo, faraone, macellaio e donna.

Un perpetuo ripetersi di storie.

Ho rivisto e rivissuto molte vite e ogni ricordo si
ricollocava al suo posto negli infiniti calchi del mio
essere.

In ogni vita, ero sempre alla ricerca di qualcosa e
perennemente dispiaciuto per non averla trovata.

Costretto a rinascere per non averla trovata.

Ora sto piangendo, ma in realtà non so chi sia a farlo.

Che “io” piange?

L “io” di che vita?

Forse piange il mio essere.

Essere che è diventato finalmente consapevole che “essere”
non significa essere un corpo.

Ho visto.

Ho capito.

So chi sei.

Ti stavo cercando.

Ora dimmelo, ti prego dimmelo.

Ti ho trovata?

Posso smettere di cercare?

Nelle vite che ho rivissuto, ero sempre alla ricerca di
quegli occhi che sono i tuoi occhi.

Sono confuso, ma ho capito.

Sarò libero?

Ho finito di morire e poi rinascere?

Sarò per sempre acqua?

Dimmelo, ho finito?

Questa è la mia ultima vita.

Poi, finalmente, sarò per sempre acqua.

Lo sento, ti ho trovata.

E' l'ultima lo so.

Ho finito.”





sabato 7 maggio 2011

"Liberata!"

Infiniti pensieri
diventano solide ossessioni.
Poi, le osservo mentre queste lentamente si appiattiscono e diventano fogli di carta.
Alzo il foglio e lo metto controluce.
Lo scruto e non vedo niente,
lo tocco ed è inconsistente.
Allora, con la matita
che rotea tra le mie dita,
voglio appuntare quello che percepisco dopo questa strana trasformazione.
Ma la matita è bianca e non si legge niente.
Mi metto dunque in ascolto della mia mente
perché la sento che, beata,
si gode la divina emozione
di essersi, finalmente, liberta.

mercoledì 4 maggio 2011

"Sensi."

Sono incantato ad annusare
questa tua liscia rotondità.
Gustosa da mangiare
e dolce da ascoltare.
Non posso più farne a meno.
Amo il tuo seno.

mercoledì 27 aprile 2011

"Il campo santo".

 
Laggiù, alla fine della strada, dove iniziano i prati e le colline, spuntano nei campi increspati e ondulati dal vento, colonie di margherite che sembrano atolli nell'oceano.
È Aprile, è normale.
Il gradevole sole di questa stagione, richiama situazioni ed immagini, che alleviano le pene passate nella stagione più fredda dell'anno.
La gente si scopre, la terra si colora, le gatte partoriscono e le rondini volano.
Solitamente, lui è sempre stato felice in primavera, quest'anno era tormentato.
Tra i fiori, là alla fine della strada, ha trovato quello particolare.
Infatti, proprio sul suo stelo c'è una scritta in stampatello, una minuscola scritta.
Ormai, lo sanno tutti che quel campo ospita tutti gli anni una margherita speciale, dove l'universo scrive un messaggio per l'umanità e dove ogni fiore è sacro.
Tutti gli abitanti di quel paesino al confine tra Toscana e Romagna, si ritrovano in quel campo il 25 di Aprile e con diligenza e precisione cercano quel fiore.
Alcune persone inventano macchine particolari, altre invece ci provano con una semplice lente e altre ancora ci vanno ad occhi nudi, senza strumenti, guidati da una mano divina che dovrebbe portarli proprio davanti a quella margherita.
Chi trova il fiore speciale: è l'eletto, il prescelto dal cielo, voluto da Dio per diffondere il messaggio.
Lui è andato là senza strumenti, ha osservato la prima margherita che si è trovato davanti e guardandola bene, scritta con un verde più scuro di quello dello stelo, ha notato la tanto famigerata massima da diffondere all'umanità.
Non si è sentito guidato o indirizzato, è stato un puro caso, una sfortuna.
Ha letto la minuscola frase a bassa voce e senza farsi vedere.
Poi una lacrima gli ha solcato il viso ed è andata a poggiarsi sulle labbra che, bagnate, divennero di un colore nuovo.
Gli tremavano le braccia e le ginocchia, non poteva diffondere tale messaggio.
Non poteva urlare tale scoperta.
Cacciatosi in tasca quella margherita, senza farsi vedere dalle altre persone, ha iniziato a correre verso casa.
Sono ormai due giorni che non dorme, legge e rilegge tale scritta.
Perché proprio a me questa sciagura?
Non credo a queste assurdità, non credo a queste stupidaggini.
Perché proprio io?”
Disteso sul letto, la sua testa era diventata il campo di battaglia di domande che sembravano montanti possenti al suo spirito dolente e di risposte vane che sembravano ganci deboli sganciati da un pugile dilettante.
La margherita gli roteava tra le dita ed era ormai appassita.
Poi ecco la soluzione a tutti i suoi problemi: bruciare la margherita.
"Nessuno saprà mai che io ho trovato quel fiore, continueranno a cercarlo all'infinito".
Infatti dalla finestra vedeva ancora persone camminare a carponi, alla ricerca del fiore speciale.
Persone alla ricerca del fiore e della gloria che questo consegna a chi lo trova.
Avvolto dal tormento e dai dubbi, combattuto tra il rivelare o no tale messaggio, trovò la forza di strusciare un fiammifero sulla superficie ruvida del davanzale della finestra e bruciare quella margherita.
Nessuno saprà mai il messaggio dell'universo destinato all'umanità, neanche voi blogger lo saprete.

martedì 19 aprile 2011

"Maledetta".

Ti corro dietro da una vita.
Maledetta lepre fatti prendere.
Mi sanguinano i piedi per il correre sugli scogli.
Ho i polpastrelli delle dita doloranti e le unghie nere, piene di terra, per il troppo scavare.
Esci, talpa, dalla tua tana.
Ho i pantaloni logori per il troppo di stare in ginocchio.
Poi mi alzo, mi distendo verso il cielo e mi sembra di sentire il tuo odore, ho la convinzione di sentire il tuo profumo.
Inizio a volare, credo di esserti vicino e di ronzarti attorno come una mosca sulla merda.
Ennesimo inganno.
Ho creduto di vedere i tuoi occhi, freschi e luccicanti da far gola a una gazza.
Ti ho vista là in fondo alla strada, mi sono avvicinato ma non eri tu e allora impaurito ho iniziato a correre.
È successo più di una volta.
Ti cerco in tutto, non smetterò di cercarti e di rincorrerti.
Fuggi continuamente, maledetta, ma prima o poi sarai mia.
Ti ho abbracciata e baciata quando non ero in me, ero strafatto di illusioni e sudavo fantasie.
Sei una fantasia.
Ecco, sei un abbaglio della mente.
Non esisti.
Qualcuno si convince di averti ma tu, in realtà, non ci sei.
Non esisti.
Maledetta.
Maledetta felicità.

giovedì 14 aprile 2011

"Caos".

La luce divenne inspiegabilmente più accecante.
Gli uomini e le cose persero totalmente la loro fisicità e si confusero tra le idee.
Il mondo non ospitava più tante lanterne luminose, specchio e riflesso di un' unica luce, ma un fiume immenso di brillantezza.
Mi sentii più leggero, divenni spirito errante.
Guidato da venti misteriosi, fluttuavo spensierato in un crogiolo di anime e di vita.
Questo corpo, che è zavorra, lo vidi cadere sotto di me come una farfalla perde la sua crisalide.
Ebbi la sensazione di essere una farfalla.
Farfalla o nulla, quel nulla che è tutto.
Fu un sogno magico dal quale mi sentii arricchito spiritualmente.
La mattina seguente, la pesantezza mi sommerse.
Piovve per tutto il giorno.
Il cielo sembrava dispiaciuto per avermi spiegato una piccola parte del suo mistero, di quello che è il nostro divenire, ciò che ci attende.
Annegavo nel mondo perché consapevole di essere in gabbia.
Pensai al profumo del seme, alle rughe di mio nonno, alle vibrazioni che percepisco nell'osservare la luminosità di un prato ghiacciato in gennaio.
Pensai alle onde, agli alberi, ai pesci, ai brividi di paura e a quelli di gioia.
Alle regole e alle eccezioni.
Se questa è un'illusione, un'illusione tangibile che però poi svanirà, allora cercherò di goderne ogni istante.
Vivrò ogni secondo, tutte le emozioni, ogni volto ed ogni gesto.
Poi sarà caos.
Quel caos incantato e dunque dalle logiche irrazionali.
Caos che ci attende.
Ci attende inesorabile.

giovedì 7 aprile 2011

Colpa mia

La capivo. Comprendevo il suo dolore che divenne immediatamente anche il mio, pur non avendo mai provato una sensazione del genere.
Ero affranto, amareggiato, dispiaciuto e avvilito.
Io l'avevo ridotta in quello stato.
La colpa era la mia.
Le leggevo, in quello sguardo disanimato e avvizzito, la stanchezza, lo sfinimento e il tormento.
Si, la colpa era la mia, io l'avevo lasciata sola.
Stupidamente, pensavo che ce l'avrebbe fatta e che non avrebbe avuto bisogno di me.
Lasciarla sola, che stupido che sono stato.
Andar via e sbattere la porta.
Il solito egoista.
Io l'ho ridotta in quella situazione e mi sento davvero in colpa.
L'ho lasciata annegare nel suo desiderio naturale e necessario, non in un qualsiasi desiderio vano, irrealizzabile o artificiale.
Non mi aveva mai chiesto nulla di utopico e con quel poco che le davo riusciva a deliziarmi con le sue forme, i suoi colori e i suoi profumi.
La colpa era la mia e non potevo perdonarmelo.
La prossima volta, se ci sarà una prossima volta che starò fuori per più di quattro giorni, devo assolutamente ricordare a mamma di passare da casa mia ad annaffiare l'Erica.

venerdì 1 aprile 2011

"Nel bel mezzo....."

Nel bel mezzo della solita passeggiata mattutina, vide davanti a sé grovigli indistricabili di rami e rovi.
Iniziò a grattarsi la testa con aria interrogativa, qualcosa doveva essere successo alla sua montagna.
L'allegro ragazzo, sentiva di essere vicino a casa, ne sentiva l'odore.
Quei rovi però, proprio non c'entravano niente, non li aveva mai visti e proprio non erano adatti, climaticamente parlando, all'ambiente circostante.
Qualcosa gli impediva di andare avanti, centinaia di volte aveva attraversato quel bosco e mai gli era successa una cosa del genere.
Si tolse le cuffie, stava ascoltando Beethoven.
In lontananza sentì lo scorrere del fiume.
Attorno a sé, si accorse che gli alberi non erano pini ma pioppi.
Poteva sembrargli un'allucinazione da LSD ma era sicuro di non usare tale sostanza da almeno sette anni.
Dopo essersi visto morto al suo funerale, aveva detto basta alle droghe.
Iniziò allora a camminare verso sud, tornando in dietro, andando in direzione del fiume che ricordava aver guadato alcune ore prima.
Non riconosceva nulla del suo monte, gli alberi, gli uccelli con il loro cantare, i fiori e gli insetti non erano più gli stessi.
Arrivato nei pressi del fiume, prima di scendere per la tortuosa stradina che l'avrebbe condotto al torrente d'acqua pura e gelida, la sua attenzione cadde ai piedi di un grosso abete.
Avvicinatosi al grosso albero, constatò che non c'era muschio attaccato alla sua corteccia, girandogli attorno si accorse allora che il muschio stava attaccato all'albero nella parte opposta rispetto alla direzione dalla quale l'allegro ragazzo era venuto.
Eppure,il ragazzo, era convinto di andare da nord verso sud.
Scese allora la tortuosa stradina e vide un fiume che fino ad allora non aveva mai visto, acqua torbida, alberi secchi e rami che sembravano soffrire tanto erano storti e incastrati tra loro.
Quel torrente, non era assolutamente lo stesso attraversato alcune ore prima, dove spesso faceva il bagno e si rilassava meditando sulla vita.
Rizzò il capo e tra le fronde degli alberi notò che il sole lentamente stava diventando rosso, era inspiegabilmente, già l'imbrunire.
Si sedette ai piedi di un albero cercando di mantenere la calma e il controllo, iniziò dunque a dominare il suo respiro per rallentare i battiti di un cuore impazzito.
-“È possibile che io sia stato rapito dalla musica di Beethoven e mi trovi adesso da qualche parte, non so dove, tra i monti della Toscana?”-
Iniziò a tormentarsi la testa con domande e ragionamenti  per troavre una soluzione ma tali ragionamenti non lo portarono da alcuna parte e alimentarono il suo sconforto e lo destabilizzarono maggiormente.
L'allegro ragazzo, divenne l'infausto ragazzo.
All'improvviso, vide passare davanti a sé la figura di suo fratello a cavallo di una bicicletta..
Lo chiamò urlando ma sembrava che la sua voce non fosse udibile, muoveva le labbra ma nessun suono veniva emesso.
Iniziò a schiaffeggiarsi la faccia, a stropicciarsi gli occhi e a grattarsi la nuca incredulo di ciò che aveva appena visto.
Sentì un fischio in lontananza, si alzò in piedi e vide se stesso all'età di dodici anni vestito da portiere intento a parare un rigore.
Poi iniziò a nevicare, strana la neve a Maggio, pensò tremando dal freddo e dalla paura di non sapere cosa stesse succedendo e dove fosse realmente.
Arrivò la notte e lo sorprese ad osservare se medesimo durante un litigio con un amico che non avrebbe più incontrato.
L'infausto ragazzo, raccolse da terra un rametto di albero e iniziò a rosicchiarlo convulsamente per sfogare quella sua inquietudine e si accorse all'improvviso che quel rametto si era trasformato in una fumante sigaretta.
Basito e sconcertato, piangendo e singhiozzando, trovò pace solo quando si accorse di essersi smarrito nei suoi ricordi.