lunedì 27 luglio 2015

5.Topi


Fui condotto in un fosso di cui ignoravo l'esistenza: umido e freddo, tremore, null'altro attorno a me: «io sol uno», mi venne in mente, e perché è così.
Mi svegliò la gatta, mi stava sul petto e si lavava leccandosi, e rutteggiava involtini primavera, ed era disgustosa.
Me ne stetti tutto il giorno in casa, e non mi lavai, e nessuno mi telefonò, e misi in ordine la libreria, e cenai con del pane secco bagnato d'olio sul cui strusciai un pomodoro.
Pensai tutto il giorno senza parlare mai, e i pensieri mi marcirono dentro.
Non vedevo l'ora che fosse lunedì per tornare a lavorare, almeno avevo qualcosa da fare, qualcosa da toccare, qualcuno con cui parlare. Sempre i soliti discorsi, si cammina su nuvole di frasi fatte, e non si passa mai oltre. Ma è un mondo che sta insieme, un mondo semplice e gretto che comunque ha una sua attività, che comunque diviene.
E io mi presento lì e faccio la mia parte, una parte senza ruolo specifico, faccio quello che c'è da fare e basta, sono un ingranaggio sostituibile con un qualunque altro ingranaggio.
E ciò conferma la mia inutilità, il mio essere un nulla che si muove, che parla come da copione, che non ha rapporti; uno che non termina mai il libro che comincia a leggere, uno che di notte beve per prendere sonno, e che se vuol dormire deve essere ubriaco, e dormire con le scarpe legate, e svegliarsi di mattina coi piedi informicolati.
L'insonnia mi tormenta solo da pochi anni, ed è una merda, ed è come se il corpo agisse indotto da un terzo, persuaso da qualcuno a dover essere stanco, ma non dormire mai.
E allora pensi, ma non parli, e a volte scrivi, poi leggi, poi ti fai una sega, e poi bevi, e ribevi, e poi dormi vestito.
E al mattino fa male la testa, e mentre l'acqua ti scorre addosso tu senti tutto il peso del tuo corpo, e allora vorresti essere acqua, e scivolare via insieme ai capelli, ai peli e al piscio, e disperderti dappertutto, e finalmente dormire.
Se non avessi Nigeria avrei già salutato tutti. Anzi, non me ne frega di salutare nessuno.
È tutta colpa del Tennis, di una troia e di un maestro, forse è anche colpa mia; ma insomma, forse non ha colpa nessuno, ma a rimetterci sono io.
Una volta da piccolo volevo un bicchiere di latte freddo, abitavamo in campagna, ed era estate.
Presi una tazza e la poggiai sul tavolo, dal frigo tirai fuori il latte e lo versai nella tazza, poi rimisi il latte in frigo.
Lo sentivo già in bocca il sapore di quel latte freddo, mentre fuori si bolliva di caldo, e dalla tazza scendevano giù le goccioline.
Mi metto a sedere, infilo le dita nell'orecchio della tazza, davanti un biancore ancestrale, e all'improvviso emergono delle zampette nere, poi una coda e poi un'altra, e infine due corpicini di topini morti, grandi come mignoli.
Chiaramente ci rimasi di merda, e da allora guardo sempre nei bicchieri o nelle tazze prima di riempirle, anche se non ho più bevuto latte.
Senza fare troppe scene mi alzai dal tavolo con la tazza in mano, camminai fino ad arrivare vicino ad un fosso e lanciai tutto, tazza di topolino compresa.
E ci rimasi male, e ci son rimasto male ora come allora quando il tennis è entrato a far parte della mia vita, son quelle cose così inattese che non ti fanno agitare, ti fanno rimanere lucido, ma poi arrivano comunque tutte le conseguenze.
Mi ha lasciato di lunedì, le parrucchiere non lavorano il lunedì, e allora mentre ero in paura pranzo e me ne stavo a casa a mangiare, lei mi dice tutto, e con molta calma esce di casa con le valige fatte la mattina, un'uscita pensata da tempo, messa in atto grazie al coraggio dato da un ritardo mestruale; e allora tu come ti sentiresti?, tu che non la scopi più da quasi un anno, che non pensavi a nulla di tutto questo, a te che il tennis fa cacare?
Nulla, non fai nulla, e pensi a farti una scopata prima di fare un piano. E il sabato di quella settimana scopai Nigeria sul lato passeggero della mia macchina, e lo facemmo tre volte in un quarto d'ora, e pensai che la fica mi mancava tanto, e fu uno dei giorni più belli della mia vita.
Ora siamo in intimità con Nigeria, viene a casa mia e si parla, un sabato che nevicava cenammo insieme, mangiammo la barbina in brodo, e poi prese il treno delle nove dopo che le insegnai a fare il caffè.
Lei sa quello che fa, è cosciente del suo lavoro, è fiera di ciò che ha scelto di essere. Vuol metter via tanti soldi, e a venticinque anni tornarsene a casa, e fare famiglia, e non avere l'aids.
Guadagna in una settimana quello che guadagno io in un mese, e non spende nulla, e manda tutto a casa.
È una ventenne determinata, e io la amo anche per questo.
E glielo dico sempre che vorrei sposarla e andare con lei in Nigeria, ma lei ride, e non ci crede, e pensa che non è vero, ma in fondo secondo me lo sa che la amo davvero.
È l'unica luce che vedo oltre questa caverna di solitudine, l'unica speranza di salvezza per la mia vita. Ripongo in lei ogni aspettativa per il futuro.

martedì 21 luglio 2015

4.Saturday night fever



Sabato arrivò presto, ma non avevo voglia di fare niente, men che meno quello che Pietro aveva in mente. A volte gli dico di sì per chetarlo, nell'invecchiare diventa sempre più logorroico e malato per le donne.
Il sabato pomeriggio lo dedico alla mia nuova fiamma, e possiamo dire che da più di un anno c'è qualcosa di più del semplice sesso animalesco. Ogni sabato da quasi due anni mi vedo con Nigeria, la mia, sì diciamolo, fidanzata, che proprio dalla Nigeria viene.
La vedo il sabato perché è nella piazza dei giardini a lavorare; fa un lavoro itinerante, durante la settimana copre tutto il Mugello, e chiaramente è impegnata, e poi ha questo istinto nomade, e non mi sento di forzarla alla stanzialità.
E insomma niente, è felice che lì può fare anche la doccia, poi ci prendiamo un caffè, a volte guardiamo il telegiornale.
Io la amo Nigeria, okay che il contatto fisico e visivo c'è solo una volta a settimana, ed è bellissimo; fa tutto lei, a volte faccio tutto io, quel che è certo è che mi sento curato da lei, ed è bello che qualcuno si prenda cura di qualcun altro.
Al di là del fatto dei soldi e del pagamento, la sua presenza in casa mi mette sereno, è davvero una persona positiva, e fa anche un buon caffè, lei però lo prende annacquato.
Porta sempre la parrucca, ogni sabato ne ha una di colore diverso, la mia preferita è quella viola con la frangetta, e poi ha lo smalto su tutte le dita, anche suoi piedi, e ha un fisico da modella, alta e slanciata, delle belle poppe, gli occhi verdi che vanno lontano, e le labbra carnose.
In intimità la chiamo «carpina amorosa», che quando è là sotto, sembra di sentire il risucchio che fanno le carpe quando mangiano a galla, col caldo, verso luglio, o i muggini di un qualsiasi porto, che s'ammassano tutti su una mollica di pane. Ecco, quello è per me il rumore del godimento.
Sì, ci frequentiamo da due anni, da quando la mia ex ha fatto le valigie ed è andata a vivere dal maestro di tennis, un cretino sempre in forma e dinamico, coi denti sempre splendenti. Che persona inutile e insulsa, mamma mia, gli auguro tutto il male del mondo a quei due stupidi, imbecilli. Lasciamo stare, non fatemi pensare, se ripenso a come era diventata fissata per il tennis, e poi a correre, e la domenica il torneo, e il giovedì la preparazione, il martedì a cena con quelli del tennis club, evvaffanculo a voi con le vostre palline di merda, e a ogni centimetro di terra rossa del mondo.
Un anno c'ha messo per scegliere, mica che lo sapessi, da un anno scopava col cretino, e io sempre a secco, un minimo di dubbio mi era venuto ma pensavo che fosse un periodo un po' così, non pensavo alle corna. Aspettavo, ora dico che aspettavo in silenzio il mio turno, che non sarebbe poi più stato il mio turno, non era più mia, di me restava il contesto, l'abitudine, l'ordinario, quello di sette anni di vita insieme, nella stessa casa.
L'ho spinta io a fare sport, io l'ho indirizzata al tennis; stava passando un periodo stressante al lavoro e aveva bisogno di svago e di dimagrire che sembrava sempre di più una pallina. E infatti le ha fatto bene, dopo un po' le si è aumentato il metabolismo e ha ripreso a essere felice, a volersi bene e a truccarsi, ad aver voglia di fare.
Ero felice per lei e quindi per noi.
Ma ora non me ne frega più nulla, al diavolo lei, il tennis e il maestro.
Ora amo Nigeria, e fantastichiamo abbracciati sui nostri futuri figli, sui diamanti che le regalerò, sulla nostra casa; mentre le accarezzo la pelle liscia, e l'annuso tutta, e la amo, e lei gioca coi miei riccioli mentre ho la testa tra le sue poppe e parliamo di tutto, e se abbiamo appena smesso di scopare ricominciamo a farlo.
Alle sette la porto alla stazione, e se ne va, con cinquanta euro in più in tasca, e se ne va come ogni treno, nel rumore caldo della ferrovia, che sai che lì per lì non può tornare indietro, ma che poi tornerà.
Sabato, proprio dopo le sette, chiamai Pietro e gli dissi che avevo la febbre, anche se non era vero.
Prima di tornare a casa mi fermai alla rosticceria cinese e presi del liso alla cantonese e degli involtini primavera. Mangiai sul divano guardando Ghost, e piansi, e dormii lì, poco ma lì, con la gatta che ogni tanto la sentivo che leccava le vaschette in alluminio lasciate a terra.


mercoledì 13 maggio 2015

3. Pietro



Al telefono c'era Pietro, amico di vecchia data, e la battuta gli piacque.
Non so di preciso quanti anni abbia, so solo che vendeva macchine e aveva già il suo ufficio personale quando a sedici anni andai in quella concessionaria a fare il tirocinio.
Pietro ha sette anni in più di me, ecco mi ricordo, ora ha trenatre anni.
Lo feci sempre lì il tirocinio, e per come mi garbava farlo lì, in quarta decisi di bocciare a scuola, giusto per rifarcelo un volta in più.
Per l'incoronazione Pietro mi ha regalato una bottiglia di Champagne e voleva sapere se era buona. Di conseguenza mi racconta che sta scopando e si sente quasi fidanzato con una tamarra da insulto stradale di nome Monika, che suppongo si scriva con la k.
E gli chiedo: «Ma chi è? Anche questa l'hai trovata su internet? É una drogata? È due quintali?».
Perchè Pietro trova tutte tipe strane, e tempo fa stava con una che ammaestra scimmie, e me la presentò e sembrava una scimmia, e puzzava di scimmia.
Insomma questa tamarra di nome Monika è un'acrobata del pompino e proprio ieri sera gli ha detto che voleva farsi scopare la bocca mentre stava a testa in giù. In pratica lei stava facendo una verticale e lui se ne stava invece in piedi come un qualunque cristiano, e la teneva per le gambe, e si succhiavano a vicenda.
La descrizione della passerotta di Monika data da Pietro è la seguente: «un lampredotto sugoso con un ciuffino di peli».
Il lampredotto mi fa intendere che Monika abbia almeno sessantacinque anni. E ciò non mi stupisce.
Comunque me la vuol far conoscere al più presto, che secondo lui per farla godere a dovere bisogna essere in due, e fissiamo per sabato sera.
Prima di riattaccare mi rassicura che non è come una di quelle che portò a Natale, quando lo vidi arrivare con una Fiat Punto di quelle nuove che lì per lì mi sembrava sbassata e truccata, anche se gli mancava la luce al neon.
Poi parcheggiò e scesero due elefantesse in ponch, e la macchina tornò alla sua altezza naturale dopo aver cigolato un po'. Erano due sorelle che non ho idea da dove venissero, forse del sud, comunque erano enormi, e le chiavammo ugualmente. Non fu una cosa tremenda, solo che alle tre di notte un tonfo svegliò il condominio intero: la mia stroncò in due il letto su cui eravamo.

lunedì 11 maggio 2015

2. Battute infelici




Oggi pomeriggio mi è venuta un battuta carina. Squilla il telefono e dicono: « Pronto, c'è il dottore?», al che rispondo: «No, c'è la cremeria».
Mossi dallo sdegno siete autorizzati, davvero senza problemi, a chiudere tutto e a dire che in fin dei conti ci avete provato, che non per nulla ma non è proprio il vostro genere di letteratura. Vi capirò, già vi capisco.
Ma la battuta non è quella appena scritta, è un'altra.
Dovete immaginarvi la scena: ore 17.00, martedì pomeriggio, bottega ordinata e pulita, tranne i vetri che mi sembrano un po' polverosi. La frutta e la verdura ben disposte, il banco della gastronomia bello pieno di roba, i giardini davanti con l'erba tagliata e le siepi tutte a filo, bambini che ruzzolano nei prati, chi gioca a palla, chi impara ad andare in bici senza rotine e cade senza dolore dopo ogni metro. Una temperatura ideale, con un sole che ti ci abbronzi dopo due minuti senza patire caldo, mentre delle bambine giocano ad acchiappino e dei bambini scalano il monumento ai caduti senza corde e con tanto coraggio.
Ma è un gruppetto di dodicenni in un triangolo di prato che attira la mia attenzione: quattro bambini sono in piedi in cerchio, una bambina coi capelli neri e la divisa nel mezzo stile Gioconda se ne sta al centro con un vestitino giallo a disegnini colorati. Sono tutti fermi, la bambina parla e loro stanno fermi. Poi riparla e restano ancora fermi, e allora parla di nuovo dicendo le stesse cose di prima ma formulate diversamente, e i bambini iniziano a saltellare a zoppo galletto, tutti tranne uno, al quale forse non gli riesce. Allora l'incapace di andare a zoppogaletto abbandona il gioco e si siede a gambe incrociate come uno yogi. E proseguono, la bambina parla e solo un bambino si muove, sbagliando. Ha confuso la formula sbagliata per quella giusta, s'è mosso e non doveva, fuori anch'egli dal gioco. Ho capito, la bambina è «esso», e ha il potere di far compiere azioni ad altri. Di nuovo lei parla, anzi «esso» parla per bocca della bambina, e i due restanti in gioco iniziano a baciarsi, mi pare con la lingua. I perdenti e la bambina iniziano a ridere e a saltellare, e a fare quei versi strani come fanno i marmocchi quando sono in preda all'euforia.
I finalisti, dopo aver realizzato, ci restano di stucco mentre gli altri li prendono in giro.
Ecco, lo scenario è ameno, la bottega ha le luci spente e si lascia illuminare dalle luci esterne, e squilla il telefono: «Pronto c'è il dottore?», e rispondo: «sì, ma se è per una ricetta le passo l'infermiera».
Scoppiai a ridere compiacendomi con la mia ironia.



venerdì 1 maggio 2015

1. Il mio regno non è di questo mondo


Sulla curiosa incoronazione dell'altro giorno parlarono in molti ma nessuno, di fatto, giunse a conclusioni divertenti da esporre adesso.
Dall'esterno talvolta sembra di vedere il mondo intero, il mondo senza l'io ha un aspetto strano, inconsueto, quasi mistico.
E passa poi tutto rapidamente, l'io torna ad essere il centro del mondo, e un po' ti rincuori perché tutto è com'è sempre stato, tutto è nell'ordinario.
Vorrei provare a scrivere in terza persona ma ho paura.
Provò a scrivere in terza persona anche una persona che conosco, e ne rimase incantata al punto di non toglierselo più dalla testa.
E tipo dice: «Lei (riferito a sé) quest'anno ha voglia di andare al mare, e il figlio ha bisogno di una macchina nuova. Ma l'una o l'altra cosa: dovrà scegliere!».
Quando la sento parlare resto sempre un po' irrequieto.
Penso che oltre ad avere una concezione strana del mondo, l'abbia a maggior ragione di se stessa. 
Storie di vita, si fa per parlare, però ecco, vorrei essere per un giorno quella signora che parla di sé in terza persona, provare un giorno a fare come lei, e registrare tutto ciò che accade, per poi rinsavire dopo una dormita.
Ma è un gioco dal quale non si torna indietro, c'è da fare un percorso di deambulazione con degli esperti e dei santoni, e poi forse si torna apposto. Non ho esperienza e non ho mai sentito dire in giro di qualcuno che sia tornato da quello stato e ne abbia poi narrato le emozioni, son curioso di sapere che sensazione si ha di se stessi e del mondo in un mondo che è vissuto da un altro, o nelle vesti di un altro che non si è.
Comunque se rivedo la Corinna glielo dico: «Ma lei chi? Lei cosa?».
Corinna si chiama la donna di cui sto parlando, diamo almeno un nome unico a questa doppia entità.
La Corinna viene a fare la spesa da me in bottega e avrà quasi settant'anni o giù di lì, diciamo che ne ha sessanta e qualcosa, giusto per non farle un torto, che magari s'impermalosisce. Sempre ben curata, pulita, tonica e di buona corporatura; amici la definirebbero chiavabile. 
A volte mi fa:« Mi dai... tre agli per la Corinna, dei cetrioli, diciamo due, un Napisan Plus (ciò mi fa pensare che di notte si pisci addosso o abbia delle perdite al punto da dover disinfettare le lenzuola), uno yogurt magro e tre kiwi, che la fanno andare d'intestino alla Corinna».
Capite, tutto questo per la Corinna, che ho davanti ma che allo stesso tempo non è lì; fluttua nell'aria un corpo mistico di Corinna, l'ho davanti in carne e ossa, con quel suo tony grigio con la scritta «danza» sul culo, ma si vede che lei non ci si riconosce, o non sa di esserlo, o che ne so cosa pensa.
So solo che da giovane scrisse un libro dal titolo "Santi e Santini", in terza persona, e non ne è più uscita. Suppongo sia pazza.
La saluto dicendo: «porta i miei saluti a Corinna», e lei risponde sempre: «presenterò». Così che io me la figuro che rientra in casa, chiude la porta e dice: «Ti saluta Andrea, il figlio del bottegaio, quello in piazza dei giardini». Magari qualcuno risponde davvero, o magari continua lei: «tanto bravo quel ragazzo, salutamelo».

venerdì 12 settembre 2014

26.



26.


Sembra diventato un rituale, il punto della situazione lo faccio sempre il giorno del mio compleanno. Dal rito un giorno nascerà un mito, e via verso nuovi riti pronti per essere mitizzati.
Avvenimenti degni di nota ce ne sono stati molti, basti pensare che per ben tre volte sono scampato alla morte. Per il resto tutto bene, normale amministrazione di una vita simile a molte altre. Appena computi venticinque anni, era agosto, mi trovavo a giro con i cani, in una di quelle mie solite passeggiate nelle quali cerco di spegnere la mente per abbandonarmi alla ricerca di qualcosa che, in verità, non so cosa sia. Faccio per raccogliere un legno da tirare ai cani e, come lo tocco, una vipera mi morde il braccio. Vien da sé che ho fatto una corsa in macchina fino all'ospedale, dove mi hanno detto che rischiavo di restarci secco. Altrimenti non ci sarei andato, lo pensai ma non lo dissi al dottore. Può capitare. In ottobre il tetto della mia casa ha preso fuoco mentre dormivamo, perché i mie vicini hanno fatto una stufa artigianale che ora non sto a spiegare, alle tre di notte siamo stati svegliati dai cani che abbaiavano come pazzi. Poi sono arrivati i pompieri e hanno spento tutto. La casa è stata inagibile per due settimane durante le quali ho dormito da mia mamma. È passato molto tempo e c'è ancora puzzo di bruciato. I pompieri ci dissero che era andata bene, potevamo morire nel sonno e chi s'era visto s'era visto. E quegli stupidi dei miei vicini non hanno battuto ciglio, manco ci hanno offerto una cena. Mentre i muratori facevano i lavori e imbiancavano, sembrava che ci stessero facendo un favore, una sorta di regalo, leggevo negli occhi dei vicini, appunto, un forte disappunto. Sono uno che porta rancore, non ho resistito al desiderio di graffiargli la macchina con le chiavi. Ho goduto. In dicembre stavo andando a Pisa a portare mio fratello all'aeroporto e un tamarro con una Golf di merda ci ha tamponati. Mi sono svegliato in ospedale. Macchina distrutta, mio fratello con un braccio rotto e io con un trauma cranico. Tutti a dire che ero un miracolato, che Dio voleva tenermi in vita perché ero destinato a fare grandi cose. Ma di quelle grandi cose alle quali avrei dovuto essere destinato, per ora, non ce n'è stata traccia.
Questo è il quadro iniziale giusto per farvi capire alcune cose importanti. Sono diventato molto scaramantico, tipo che mi stringo spesso le palle, che spesso tocco ferro, che non passo se è passato un gatto nero, scanso ogni genere di impalcatura, porto al collo quattro collanine ognuna con poteri particolari, e ho al polso due braccialetti, uno tibetano e l'altro nigeriano, contro gli spiriti maligni.
Che dire, mi ritrovo a scrivere mentre come al solito ascolto un po' di musica, con il cane grosso ai piedi e quello piccolo sulle gambe. Siamo un vero branco, mi sento amato da loro. Il nostro rapporto si è evoluto al punto che ci capiamo al volo. Non per fare il San Francesco della situazione, ma davvero ci parlo, e ci si intende. È lo stesso anche con la gatta, ma tanto non c'è mai, è sempre per i cazzi suoi e torna solo per cena. In aprile le stavano per amputare una gamba, ma ora sta bene e corre anche. Fuori piove, questa estate è stata fino ad ora molto piovosa.
L'università sta andando bene, siamo alla fine e sto già pensando alla tesi. Non è ancora una battaglia conclusa, ma davvero ci siamo quasi. Molti dei dubbi iniziali sul mondo sono rimasti tali. Desideri puerili. Si resta gli stessi di sempre, forse con un po' di cultura in più ma nulla di più, nessuna risposta alle domande importanti, niente di niente. Forse solo più disincantati. Di emozionante resta il rapporto con le persone che ho conosciuto, ma la conquista più grande è stata una ritrovata fiducia in me stesso al punto che qualcuno mi accusa di superbia. Superbia tipica degli eremiti, e io tale sono, questo è il vero motivo. Arroccato quassù in montagna, isolato dal mondo senza tuttavia rinnegarlo, volutamente escluso da ogni tipo di festa (e questa è per me una vera conquista), dove gli unici rumori sono il fruscio del vento e il canto dei grilli, e quando c'è il sole quello delle cicale.  
È forse un'altra forma di egocentrismo, non più dietro a una consolle ad agitare folle con parole create da una miscela di ogni tipo di droga, lontano dalle albe in cui tutti si vogliono bene, dal sesso con chiunque fosse a portata di sesso, forzato dall'abuso di coca e vanità.
Ma non fatevi idee strane, non ho imparato ad ammaestrare orsi e a far comportare decentemente i pagliacci. E l'alba dentro l'imbrunire, l'hai trovata? Macché, credo sia ancora mattina.
Mi accorgo proprio mentre sto scrivendo di avere un tono più pacato, lontano da quelle forzature retoriche che spesso mi sono state care. Sarà che sta scrivendo quella parte di me abbastanza stabile, sincera, ma allo stesso tempo volutamente disonesta. Mentre l'altra parte, quella maledetta, riposa dolcemente in attesa di essere desta nei momenti meno opportuni.
Ora c'è da parlare d'amore, di lavoro e di amicizia, magari di futuro.

Andiamo avanti. La scalmanata ricerca di un maestro si è forse conclusa con l'aspra consapevolezza che si deve semplicemente essere maestri di se stessi? Perduti come lo siamo in molti, ci salveremo ascoltando non le voci esterne, ma quella flebile voce che viene da noi stessi? La voce della pazzia, dei matti, degli squilibrati annebbiati. Ma va filtrata. E come la si filtra? Si è noi stessi costruttori del filtro o lo è la vita? Il filtro s'ingrossa con gli anni? Ciò che ci trascende modifica ciò che è immanente? C'è davvero differenza? C'è davvero un dentro e un fuori? Cosa dici? Chi? Te, cosa vai dicendo? Dici a me? Sì! Sennò chi? Chi? Ora vai. Volevo dire una cosa ma tralasciamo certi discorsi poggiati sul nulla, parliamo di cose a cui possiamo dare risposta, o magari proviamo solo ad abbozzarne una, parliamo di cose che sperimentiamo ogni giorno. Parliamo di quelle relazioni che costituiscono l'essere che noi stessi siamo. Ancora? Guarda che ti incarti, lascia correre, fidati.
È giunto il momento di parlare d'amore. Parola che forse non vuol dire nulla, tutte le volte che parlo d'amore con la mia ragazza si finisce sempre a litigare. Cos'è l'amore? Un tizio molto paranoico dal quale andai a cena prima dell'incidente in macchina, sosteneva che l'amore era rispetto. Ma se il rispetto prende il posto dell'amore, cosa prende il posto del rispetto? Che cazzo di risposta a bischero era? Sapreste darmi la vostra personale definizione di amore? Io no.
L'ho chiesto anche a un'altra persona, la quale ha risposto: l'amore è volersi bene. Ma porco cane non torna ancora, è nuovamente una sostituzione. Allora l'ho chiesto ai miei cani. La Tea mi ha detto che se si mette a problema l'amore, non si è innamorati, che l'amore è uno stato d'animo condiviso da due persone, una sorta di mantello invisibile che avvolge due corpi e li rende immuni da ogni germe e battere, anche dalle pulci e dalle zecche. Senza saperne nulla si ama e si viene amati e non ci si pone neanche il problema. Dunque la messa a problema ne indica l'assenza, e anche lo richiama rendendoci consapevoli che l'amore esiste davvero. Vattelappesca. Son discorsi della Tea, diamogli il giusto peso. Oliver annuiva, d'accordo col pensiero della sorella. 
Comunque sono ancora fidanzato nonostante tutto, nonostante la pausa di riflessione di aprile. Ho dormito a casa di amici a Firenze e un po' dalla mamma, che la sera mi rimboccava le coperte e la mattina mi portava il caffè a letto. La tentazione di scopare altre ragazze è stata fortissima, in particolare mi ero fissato con una mia compagna di università e l'ho anche invitata a cena, ma mi ha detto di no. E non sono andato oltre, cioè non ho insistito. È stata la scarsa volontà di concludere una storia che penso abbia ancora qualcosa da dare ad entrambi. Cinque anni di fidanzamento non sono un giorno, certo sembrerà un truismo, ma di cose insieme ne abbiamo fatte tante, diciamo tutte. Si è anche tagliata i capelli corti a caschetto, e se li è scuriti, sembra più giovane e fresca, quella sua pelle olivastra e quei suoi occhi chiari, ultimamente sanno di nuovo. La trovo più bella del solito, anche più serena. Penso che se un giorno ci si dovesse lasciare per davvero, sarebbe una cosa strana. Tipo che è un altro filtro che ti permette di capire meglio il mondo. Forse mi troverei un po' ebete, lo stesso, credo, anche per lei. Ma non lo so, in realtà non si sa quasi nulla del domani. Ora basta con questa storia dei filtri e del capire, del domani, dei discorsi a cazzo di cane e tutto il resto. Sono fuori allenamento, non vedo dove voglio andare a parare. Probabilmente adesso attaccherò a dire che la mia scelta è stata errata. Dai diciassette ai ventitré anni ho scritto parecchio, tutta roba di merda come scrivo io, ma comunque ero in allenamento. E poi ganzo che scrivevo sia racconti che poesie, così come mi venivano. Ora mi viene abbastanza poco, certo a volte mi faccio in testa il filmino di certe storie simpatiche e allora me lo gusto e mi ci diverto, ma mi si presenta una certa fatica a trascriverle. Ho un taccuino rosso sempre con me sul quale però annoto cose che sono più immagini, tipo quadri, anche paesaggistici, tre parole e via, senza congiunzioni e articoli.
I guerrieri della notte, quelli che comunque vada portano a casa qualcosa. E della scelta volevo dire che ho incominciato con l'università per migliorarmi nella scrittura, e in parte credo che sia anche andata bene. Ma in pratica sono tre anni pieni che il tempo libero lo passo a studiare. Esco da lavorare e mi metto sui libri, di mio, così a flusso come mi piace a me, scrivo poco.
Tuttavia, proprio nei primi tre mesi di università ho scritto una sessantina di pagine, un unico corpo. Ero particolarmente ispirato perché rigonfio di stress. La storia di uno che esce e poi non torna più, s'intitola: l'astronauta perduto. All'inizio ero eccitato e volevo mandarlo a giro, ma poi è rimasto lì, stampato e rilegato con spirale e copertina trasparente, e cartoncino dietro, blu. Che poi sarebbe ambientato in quest'epoca in cui sto scrivendo ora, proprio questi giorni, mi sembra, bisogna lo rilegga. Se un giorno lo pubblico ve lo consiglio, una di quelle cose belle perché particolarmente brutte. 
E quello? Quello che comunque vada ti fa girare i coglioni? Quello che c'è sempre, un fenomeno che vuol fare un bel gol di rovesciata al novantesimo minuto e lasciare tutti di stucco. Ne ho incontrati tre, tremendi e codardi, incapaci di scontro, nessuno è mai arrivato al confronto fisico perché consapevole di soccombere. Lontani dal maestro, diffidate dai segnali, ciò che è mio è mio.
Non voglio star qui a sputtanare nessuno, anche in questo vi sono superiore. Gli occhi mi fanno capire se son stato pensato, e se rientri in quell'insieme di persone che ritengo barbare, quindi pericolose, comunque da tenere lontane, allora non hai scampo, ti inseguo fino a Bisanzio e poi torniamo insieme, anche in pullman mi va bene, tu seduto per terra a strusciare, io il creatore di tutti i tuoi problemi, di quelli che non risistemi al volo, seduti di tutta forza in un luogo del tuo intelletto al limite con la pazzia, attenzione al fatto che ti sentirai sotto anestesia, e ormai sarà diventato l'ordinario, il confine è labile tra ragione e follia, attenzione attenzione, sì sì è codesta che senti adesso, che ti sale dappertutto: è la paura che fa diventare matti.
Detestatemi per l'incoerenza, mi lascio trasportare dalla musica senza seguire lo schema dell'inizio.
Chiuderei la questione relativa all'amore, che se poi ho le corna giuro che m'ammazzo, proprio voglio fare una morte plateale da turbare tutti i bambini del Mugello. No, non mi ammazzo, proprio no, dal patrimonio familiare ho ereditato una certa protezione dal fondo della fossa. Qualcosa mi invento. Comunque se dovesse avere un altro sarebbe una cosa brutta, magari non è nessuno di quei tre che ho in mente, quelli ai quai ho rivolto le parole sopra. Cornuto no, cazzo no. Potrebbe essere anche una certa risposta plausibile alla scarsa quantità di sesso nel nostro rapporto. Comunque un po' fissato, come lei dice che io sia, è facile sia anche vero. 
Toglietevi la giubba, accendete tutte le luci, sedetevi tutti. É stato rubato il mantello del redentore, questa è la pistola, si spari il colpevole. Un uomo si alzò, era basso e brutto, tutto biondo, coi capelli lunghi e la barba. Poi guarda tutti e dice che sì, è vero. Si accende anche l'ultima luce al neon che aveva provato ad accendersi in solitudine, senza che nessuno se ne fosse accorto, ma la sua luce è debole. Prende la pistola e la lucida, e poi la riguarda. La punta in alto, aprendo in maniera storta la bocca se la batte sui denti. Tremante ma con coraggio, un vero uomo con le palle. Poi gli occhi fermi puntati verso il cielo, nessuna goccia di sudore ma tanto tremore, il muscolo del braccio si gonfia lentamente poi il dito rilascia la sua energia nel grilletto. Eccolo là, disteso e ancora tremante, gli altri tutti che fanno cenno di sì con la testa. Tutti ancora seduti, senza giubbe,con quella luce che poi s'è spenta col botto della pistola, e il cervello e il sangue là attorno, vicino un po' a tutti, sangue col suo odore, proprio tanto, anche sul tuo volto. Sì, sangue sul tuo volto che mi hai seguito in questo peregrino peregrinare, io ho una grandissima stima di te, tu hai resistito, ardito sei, degno della migliore stima, un altro stimato tra gli stimati. Io dico che sarete in tre o forse quattro, e vi stringerei volentieri la mano a tutti. Per carità non diciamo niente di chi ha abbandonato l'impresa prima del tempo, ma solo voi siete pronti, lettori virtuosi e prestanti: abbandonano gli ammalati. Adesso andiamo a seppellire il corpo nella neve, al resto ci peseranno i lupi.
Che cambio repentino di stato d'animo, brutto che me ne sono accorto troppo presto. Interessantissimo sarebbe stato leggere l'incastro, come si sfumano e si declinano emozioni opposte e per un poco contrapposte, con la storia della memoria e tutto quanto. La musica riesce ad influire in maniera micidiale sull'umore e dunque cambia il ritmo al nostro corpo, lo scambio di due generi musicalmente opposti conduce a degli scompensi, la necessità di sbadigliare e di respirare forte, di guardare alla resa.
Perché c'è successo tutto questo? Perché non abbiamo cenato insieme? Tuona da dietro la collina, oscuri presagi raccomandano a stare cauti, calma. Respiro con profondità, abbiamo perso il controllo della situazione. Inutile agitarsi sterilmente e fare cose a caso o incomplete. Tipo un riso freddo senza maionese, non vale nulla. Come una pipa senza ingoio. Scusatemi. Fermati Satanasso, risparmiati per domani. Poi tiro le somme. Si dice che va tutto bene, che le api quest'anno hanno fatto meno miele, che i cani stanno bene, che l'amicizia va alla grande, davvero sono circondati da degli ottimati. E allora perché mi ritrovo a scrivere con tanta foga? Perché tanta necessità di muovere le mani in coordinazione con i pensieri? Tutte le volte che scrivo, qualcosa è nell'aria. I moti rivoluzionari.
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Sono passati almeno dieci giorni dalla stesura della prima parte, quella che avete appena letto.
Oggi ho scritto tipo una poesia, l'ho messa sul blog.
L'inferno è veramente lastricato di buone intenzioni. La buona intenzione era quella di scrivere una riflessione coerente relativa all'approdo ai ventisei.
Ci sarebbero tante cose belle da dire, molte da inventare. Domani vado al mare con la mia ragazza, ho voglia di mettere le palle a mollo nell'acqua salata e di stare un po' con lei. Va bbastanza bene, solite paranoie che abbia un altro. Anche oggi ho corso mezz'ora.
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Il Mela aveva ragione quando diceva che le donne o volano o erano troie. Lo comprendo ora. Rientro anticipato dal mare dopo che ho ascoltato di nascosto una sua telefonata, non si è scomposta più di tanto, io neanche. È andata come non avrei voluto. Non posso combattere, sarebbe una lotta impari: ama unA donna. Ventisei è un punto di partenza verso una meta ignota. I cani stanno con me.

venerdì 8 agosto 2014

Venerdì.




E la mente è tacita, come l'agosto della campagna.
Qua e là il fruscio di qualche serpe, poi di una lucertola;
ma anche il gatto è troppo fiacco per cacciare.
Lasciatelo stare.
Soffia poco vento caldo,
e l'erba si lascia muovere, stanca, senza opporre resistenza.
E vince su tutto il verde degli alberi,
e quello dei campi di erba medica,
e poi il giallo acceso di alcuni fiori,
poi quello smorto dei campi tagliati da parecchio.
Cosa sente l'orecchio?
E la mano che ci presenta la materia, cosa sente?
Cosa sente l'imbrunire?
E cosa sentono questi piedi scalzi pieni di pinzi e vesciche,
gonfi di scarpe troppo strette portate comunque?
E i cipressi che mi separano da quelle mucche?
Silenzio.
Un aereo attraversa il cielo col suo rumore,
poi tutto nuovamente muore,
silenziosa è la campagna,
è la mente s'acquieta.
E voialtri odiate la resa, l'addio alle armi, la pace senza gloria.
Sono stanco, ma non affranto.
Questo è il riposo del guerriero,
il pompino degli dei, quello col miele caldo,
e a scuola ho sempre fatto confusione tra aglio e caglio,
forse mi sbaglio ancora:
fate posto a una nuova aurora.
L'orologio segna un'ora nuova,
quest'ultima è passata senza bisogno di coraggio,
andata come un miraggio,
mentre in fondo alla vallata ogni cosa resta,
tutto fermo immobile, senza traccia di una ricercata bellezza,
e le strade polverose son deserte,
e le case tutte assorte,
i campanili sempre là,
alti ma non troppo,
a delimitare due mondi, il terreno e il celeste, a voi la scelta.
Allora è vero, tra il susino e il pero c'è una trappola mortale,
lo conferma un raggio di luce che rende lucida una enorme ragnatela, che alcune mosche scansano abilmente; ma eccone una che rimane imbrigliata. Freme e ronza, mentre un ragno la avvolge lesto, fiero della sua destrezza, in una mortale carezza.
Una cicala si schiarisce la voce,
ma è troppo caldo per cantare.
E tutto tace nuovamente.
Del sudore mi cade dalla fronte, un rivolo di gocce s'insinua tra i peli del petto, non trova sbocco per scendere più giù e allora si ferma, e ristagna.
Nulla all'orizzonte, solo una nuvola bianca e solitaria che chiameremo Chiara, come la sera di questo venerdì, dove tutto tace.

lunedì 28 aprile 2014

L'amore.

Occhi assenti, una voce laconica e rotta, tremore alle mani. Il suo essere sempre composta e impeccabile era tradito da un qualcosa di profondo che le aveva scosso lo spirito. Non avevamo ancora avuto modo di rivederci con la Mire, e dunque le porsi le mie condoglianze. Alza lo sguardo e resta inebetita, con la bocca stranamente impastata, storta e con una ricottina giallastra ai lati. Sembrava portasse il peso di una qualche colpa, la vergogna di un peccato inconfessabile, una croce enorme che la rendeva più gobba del solito. La feci sedere su uno sgabello vicino allo scaffale dei biscotti, le portai un bicchiere con dell'acqua del rubinetto e la persuasi a raccontarmi tutto.
Siamo in un piccolo paesino in provincia di Firenze. Lontano dai ronzii della città, nascosto tra le rotonde colline verdastre sulle quali sembrano appoggiate case tendenzialmente di colore giallognolo, dove c'è questo insignificante paesino, spesso sommerso dalla nebbia.
In questo insignificante paesino, accadono cose normali come da qualsiasi altra parte.
Accade che si muore. Morire tocca a tutti, grazie a dio è una di quelle certezze che puoi star tranquillo, o puoi agitarti quanto ti pare e provare anche a scappare, fai un po' quello che ti pare, tanto ti tocca, non c'è nulla da fare.
Arriviamo a dire qualcosa di serio.
È inutile star qui a descrivere il paese dove s'è svolto il fatto in questione, basta solo aver presente la piazza principale, grossa più o meno come un campo da calcio, dove sorge il monumento ai caduti, ma non è una piazza coi sampietrini e tutto: è un giardino. Un giardino con alberi ormai belli grossi, prati, vialetti di ghiaia, aiuole, merde di cane qua e là, nidi di uccelli, schiamazzi di bambini nei giorni di sole e pozzanghere nei giorni di pioggia. A circondare la piazza c'è una strada, oltre la strada, case. Basta immaginare un sasso buttato nell'acqua e i cerchi che si formano.
In una di quelle case abitava Agostino Innocenti. Sullo stesso lato della piazza, due portoni più a sinistra, c'è la mia bottega.
Agostino lo conoscevo bene, veniva tutti i giorni con la moglie a prendere il pane e quello che gli serviva, lo conosceva mio babbo e, prima di lui, mio nonno.
Mica voglio star qui a dire che come lo si conosceva noi non lo conosceva nessuno, è giusto per dire che la nostra bottega è lì da quarantanni e che Agostino s'è sempre servito dai Tagliaferri.
Tre generazioni di bottegai che di gente ne ha vista e di storie ne ha sentite.
La scorsa settimana, martedì per esser precisi, prima di andare a lavorare, saranno state le otto meno dieci, butto lo sguardo agli annunci mortuari e vedo che anche Agostino Innocenti ha lasciato questo mondo. Cosa normale, non ci badai troppo, muore tanta gente, a ottant'anni si muore senza troppo preavviso, basta un colpettino, un'influenza trascurata, una caduta dalle scale.
Mio nonno disse subito che aveva fatto la morte dei giusti, rapida, senza troppa sofferenza, senza dar noia a nessuno.
Per tradizione noi Tagliaferri non andiamo mai ai funerali dei nostri clienti, gli affari sono affari. Sennò, almeno una volta a settimana, bisognerebbe tirar giù il bandone e questo non sarebbe giusto per chi ancora è in vita e ha bisogno di un po' di latte o di una costola di sedano per fare il brodo.
Torniamo a noi.
La Mire se ne stava seduta sullo sgabello, tra le mani tremanti il bicchiere con l'acqua, la testa china. Io le stavo davanti, in piedi, con le punte alle nove e un quarto, curioso come un gatto di sapere come il buon Agostino aveva spirato.
Poi, cautamente, controllando che in bottega non ci fosse nessuno, iniziò a parlare:- “Lo conoscevi, un uomo elegante, mai un giorno di ritardo al lavoro, mai una assenza ingiustificata, sempre pulito e profumato, i capelli sempre fatti, attento a non deludere mai nessuno”- s'interruppe bruscamente quando entrò la signora Coralli. Affetta da podagra, la Coralli trascinò quelle sue enormi gambe fino al banco della gastronomia e qui si appoggiò al vetro, goffamente, e indicò il salame. Gliene affettai un etto abbondante, velocemente e senza troppe accortezze, sapevo che la Mire stava vuotando il sacco, che stava per dirmi qualcosa di non ordinario.
La Coralli se ne andò un po' delusa dalla poca considerazione che le avevo dato.
Mirella continuò:- “aveva deciso per domenica sera, ma poi non ci riusci, dopo vari tentativi rimandò all'indomani”- eccoti quelle rompicoglioni delle zie, tre donnette di cent'anni l'una, uggiose più di un giorno di novembre, impossibili da accontentare, non c'è mai un santo giorno che tutto fili liscio come il piscio. Ci misero venti minuti per prendere un pezzetto di pane e due carote, e anche dei piselli congelati che secondo loro non erano più gli stessi, e anche un dito di schiacciata, che però era troppo cotta e gliela feci toccare tutta prima di trovare quell'unico minuscolo perfetto pezzetto che per loro era cotto a modo.
Poi videro Mirella e la salutarono, condoglianze sopra e sotto, baci e abbracci, la parola infarto che risuonò almeno tre volte, poi ancora baci, e finalmente se ne andarono.
“Gli avevano diagnosticato un tumore,” -proseguì la Mire- “uno di quelli forti che ti mangiano tutto e velocemente, avrebbe dovuto iniziare la chemioterapia proprio quel lunedì, ma non voleva, non gli piaceva, non accettava di consumarsi lentamente, di lasciare un'immagine di sé scarnificata dal male.” Bevve un sorso d'acqua e la sua croce sembrava alleggerirsi lentamente e continuò:- “lo disse subito che non sarebbe andato in ospedale”.
La interruppi e posi una domanda secca: si è ammazzato?
Vedevo che non era tutto, la mia domanda era sciocca, debole. Perché così sconvolta se sapeva tutto? Perché tanta angoscia se era quello che Agostino voleva? Che peso si postava appresso la vecchia Mire?
Biascicò qualcosa, tipo un “mbs osat io”, allora dissi: - “non ho capito cosa hai detto”.
Mi guardò fisso negli occhi, sentivo che eravamo ad un passo dalla verità.
“Sono sempre stata una buona cristiana, anche Agostino lo era. Ora, sul finale della mia vita, ho buttato all'aria tutto, mi son guadagnata un posto all'inferno, ma va bene così. L'ho ammazzato io”.
Mi cascò la penna dalle mani, quella donna così rattrappita mi fece una tenerezza unica, rimasi tanto sconquassato che non mi venne nulla da dire. Non ci capii davvero più nulla, mi venne solo da togliermi il grembiule.
Poi si alzò, fragile ma inscalfibile, fiera ma in ginocchio, e chiese del pane, due pere, una banana e una melanzana. Pagò con gli spicci, poi disse una cosa che mai scorderò: dell'opinione altrui non ho considerazione, ti ho detto questa cosa perché dovevo dirla a qualcuno, il mio è stato un gesto d'amore.
Chiusi bottega prima del tempo, saranno state le una meno venti o giù di lì. Mi attendeva un pomeriggio di riposo, sarebbe toccato a mio babbo ascoltare nuove storie e vedere altra gente.
Arrivato a casa riempii subito la vasca, non mangiai nemmeno, non portai neanche fuori i cani.
Nudo mi guardai allo specchio, un minuscolo bachino grinzoso sbucava da una massa di peli, sul corpo l'odore di alimenti e sudore. Poi mi immersi nell'acqua per togliermi di dosso un'altra storia da digerire con calma, l'amore che giustifica tutto, il dolore come una cosa da cui fuggire senza rimorsi, senza il desiderio di assaggiarne il gusto.
Poi mi venne da pensare al modo in cui l'aveva ucciso. Conclusi che l'aveva soffocato.
Cose che sicuramente accadono un po' dappertutto, che anche in questo paesello sommerso dalla nebbia, accadono. Il fatto è che stanotte non ci ho dormito sopra, mi sarò rigirato cento volte nel letto, tutto il tempo a pensare che cosa avrei fatto io. Tu, cosa avresti fatto? L'amore è davvero così compatibile con la morte?



sabato 26 aprile 2014

"Somari"

Animali da soma, vestiti a festa con la camicia stirata da poco. Animali da soma. Gente che lotta costantemente, senza un futuro, gente che lotta così perché vuol lottare. Che si fa, si muore? No, si lotta, va bene così, si lotta senza speranza perché, in fondo, la lotta ci piace. Siamo amici di ogni lotta perché in noi scorre un'anima futurista. Come la mettiamo? Qual è il senso di questa esistenza? Forse semplicemente non c'è, e allora ti abbandoni tra le braccia di un rum scadente aspettando un guizzo di dio, una parola di verità.
Ma va bene così, noi siamo i vinti, andiamo avanti, alziamoci domani e facciamoci la doccia, prediamo un caffè bollente, facciamoci la barba come se nulla fosse accaduto, come se la notte non fosse passata, come se nulla fosse successo.
Ma c'è la consapevolezza di aver toccato qualcosa, la sensazione di essere stato in un luogo ameno e rivelatore. Inganniamoci di questo, diciamolo: io l'ho visto, io l'ho toccato.
Momenti difficili, momenti di stallo, la maledizione del settimo anno che tocca anche a noi, che ci tocca nel profondo. Uno stupido come me che appunta qualcosa come adesso nella speranza che possa nascere qualcosa di utile. Germi di una malattia che si chiama racconto. Siamo in tanti, siamo in pochi, questo non lo so. Coloro che sono, sono animali da soma. Che ci resta? Chi siamo? Come si fa? Si prova a fare qualcosa, si studia, poi qualcuno ti prende alla gola, ma non è paura di morire, Cristo santo, la morte non ci fa paura, è la vita che ci fa le gambe tremanti, si ha paura delle sfumature, di un verde diverso, di un viola diverso. Si ha paura nonostante tutto. E la vita che ci ha insegnato? Nulla, santo cielo, della vita non si è capito nulla, e si è di mercoledì sera ubriachi marci a girare per il mondo, con uno zaino di desideri. Ragioniamo sui problemi, ma si ragiona da soli, ci si perde in infiniti soliloqui, giocando a tennis con il nulla, che si mangia decine di palline.
Come si risolve? Non si risolve, non c'è un pertugio con un po' di luce, non si trova, e perché non si trova? Perché siamo deboli. Il coraggio che ci manca è dovuto al fatto che non siamo stati in trincea, non abbiamo visto i topi, i cadaveri gonfi di gas che puzzano e poi rendono fertili i campi; noi non li abbiamo visti, santo cielo. Si parla solo per parlare, perché se ne ha voglia, si va avanti. Si pensa che la letteratura sia quello che abbiamo letto ma non abbiamo letto un cazzo, Dio solo sa perché ma Tolstoj non l'abbiamo capito, Dostoevskij l'abbiamo abbandonato. Cristo.
Non ho voglia, l'ho detto. Sigarette? Datemi una sigaretta. Cristo.
Perché vedi, in sottofondo c'è anche una musica piacevole. Mi sono rotto. Temperatura ideale, saranno 17 gradi. L'amore è un gioco a perdere? L'amore cos'è? Come si ama? Desiderio di dormire con qualcuno? Desiderio della sua carne? La consapevolezza che senza lei non sarà più nulla come prima, che le notti non saranno più notti. Il gioco dell'amore. Inganniamoci che abbiamo capito.
Il cuore ce lo rompe la vita. Simo nati piangendo, vagiti strazianti.
Ho bisogno di scrivere un altro romanzo, che sia positivo, pieno di felicità. Vedo due asini, sembrano felici, l'unico nostro sbaglio è che siam voluti rinascere in corpi umani. Siamo stati tracotanti nel momento della scelta, pensavamo di essere pronti a nascere uomini, pronti a farci flagellare, a diventare re con una corona di spine, a farci crocifiggere pubblicamente.
Fondamentalmente ho bisogno di scopare, proprio di fottere, di sentire le palle che sbattono su di una fica: pam, pam, pam. Mentre lei dice basta, che il culo fa male, ma in realtà sta godendo, e allora lo schiaffeggi, poi con le mani lo apri e vedi Dio. Dio è un buco di culo rotto. Dio è lì che ti guarda e dice: godo ma fa male. Dio è dolore e godimento.
Cristo è il mio mito. Ma preferirono Barabba. Allegorie. E il Barabba di turno si salva sempre. Sono il messia di me stesso. Ho visto la mia fine, seguirò la mia strada, poi morirò. Tutto questo per non dire nulla, se non l'hai capito lascia fare, scorri oltre, lasciami in pace. Parlo per chi mi vuol capire.