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sabato 16 luglio 2011

"Al supermercato" Parte3 (finale).

Arrivo davanti al supermercato e questo è affollato di gente.
Non c'è un posto per la mia auto, faccio due giri pregando qualche santo nella speranza che possa indicarmi un parcheggio libero.
Guardo la porta del supermercato e Carla non c'è.
Poi la vedo uscire, ha una camicia celeste arricciata fino ai gomiti, una gonna bianca sopra il ginocchio, i dorati capelli sono sciolti sulle spalle, ha la testa china sul cellulare, è magica, splendente, la tristezza che vedevo in lei è sostituita adesso da un'aurea di assoluto incanto.
Il santo non risponde alle mie preghiere, non c'è posto per la mia auto.
Passo davanti a Carla, le dico di montare in macchina.
Lei sale su, prima di sedersi pulisce il sedile con la mano sinistra.
La guardo, le sorrido, lei ricambia, il suo profumo inebria nuovamente i miei sensi, lo fa meno tuttavia, di quanto l'ha fatto nel supermercato.
Iniziamo a parlare, non sembra più la Carla che ho conosciuto al supermercato, non è più un gattino indifeso che chiede aiuto disperatamente, accende una sigaretta e fuma da diva.
Resto spiazzato dal suo atteggiamento, penso che lei non è la Carla che ho conquistato.
Mi dice che i tipi come me le piacciono, le parti sembrano invertite, sono invertite, adesso è lei sta cercando di conquistare me.
Parla continuamente.
I suoi discorsi mi stordiscono, o forse è il caldo, i suoi occhi non dicono nulla, muove le mani con quelle sue lunghe dita affusolate, accavalla le gambe e vedo delle ballerine color carne ai suoi piedi che prima non avevo notato.
Non mi chiede né se sono fidanzato, né quanti anni ho, né dove la porterò.
La porto a casa, saliamo i gradini, nell'androne c'è fresco e mi sento riavere.
Si siede sul divano, le offro da bere e dice che vuole solo dell'acqua fresca.
La mia casa è buia e silenziosa, le persiane sono chiuse per non far entrare la calura.
Mi siedo vicino a lei, non mi chiede neanche se abito solo oppure con qualcuno.
Il mio cuore batte all'impazzata, la situazione è strana, molto strana.
Parliamo di nulla e di tutto, scopro che viene dalla Romagna, è arrivata la scorsa settimana, starà a lavorare in quel supermercato fino a Settembre e poi tornerà a Bologna per studiare.
Accende un'altra sigaretta e appoggia delicatamente la sua leggera mano ben curata sul mio ginocchio sinistro.
Resto di sasso.
Il cuore mi scoppia, vibra di imbarazzo.
Pensavo di essere stato io il cacciatore, invece è stata lei a cacciare me.
Qualcuno, la definirebbe “lupa”.
Non mi interessa più sapere che numero di scarpe porta, perché i suoi occhi mi sono sembrati tristi, quanti anni ha e se crede in Dio.
Sembro una statua di quelle con il bronzo ossidato, non parlo e non mi muovo.
Porta la sua bocca davanti alla mia, le nostre labbra si sfiorano, poi lei mi pianta la lingua in bocca ed io rispondo svogliatamente al bacio.
Io volevo baciare lei, non volevo che lei baciasse me.
Poi volevo baciare l'altra Carla, non questa Carla.
Porta con irruenza le sua mani sul mio petto, poi mi stringe, si siede sopra di me, è visibilmente eccitata, è una furia indomabile.
Non baciavo una bocca diversa da quella della mia ragazza da quattro anni, Carla cerca di attaccarmi il suo libido ma non ci riesce, la sua bocca non accende in me il desiderio.
Penso alla mia ragazza, alla cazzata che sto facendo, a Carla che non è la Carla che volevo, potrei lasciarmi andare e godermi un pomeriggio di peccato con una ragazza conosciuta in un torrido pomeriggio di giugno ma non ci riesco.
I nostri occhi sono vicinissimi, osservandoli spero di scoprire la sua anima ma non vedo nulla, solo occhi pieni d'acqua che non scorre e resta lì inerme quasi fosse congelata.
Le nostre bocche si staccano, io mi alzo in piedi e apro la finestra, entra luce e illumina il suo volto che al momento non ha espressione.
Non ho voglia di fare sesso con lei.
Cala si accende un'altra sigaretta, resto ad osservarle gli occhi, quei maledetti occhi.
Non è più al centro del mio universo, non è più al centro dei miei pensieri, è solamente seduta al centro del mio salotto sul mio divano blu.
Devo liberarmi di lei, sono stato ingannato dall'idea di una Carla morbida, delicata, pacata, leggera, indifesa, tormentata, che stupidamente intendevo guarire.
Non è tormentata, non è leggera, né delicata, è solo una ragazza sveglia in cerca di avventure.
Vengo avvolto dai rimorsi, penso alla mia ragazza, che forse con il pensiero e con quel bacio l'ho tradita, ho torto, ho peccato, ho sbagliato e in qualche modo l'universo mi porterà il conto.
Sono le sei, sento in fondo al corridoio che delle chiavi girano nella toppa, sta entrando qualcuno.
Se la mia ragazza mi trovasse con Carla sono finito e soprattutto finisce la nostra storia.
Ecco poi la conferma alle mie paure, è Giulia che rientra in anticipo dal lavoro.
Silenzio di tomba.
Giulia entra in salotto e vede Carla seduta sul divano, io sono disorientato e faccio finta di fare un caffè, caoticamente riempio d'acqua la moka, le mie mani tremano, non ho il coraggio di guardare Giulia negli occhi.
Mi volto e vedo Carla che sembra nuovamente il gattino tormentato che conobbi al supermercato, è inespressiva, pulita, apatica, con il volto sincero e incorruttibile.
Io no so che dire, sono ammutolito, la mia lingua sembra fuggita in chissà quale luogo, vorrei scomparire oppure svegliarmi da questo tremendo incubo.
Carla si alza in piedi, si presenta a Giulia e dice di essere mia cugina.
Io mi tranquillizzo, spero che Giulia ci creda.
Pare crederci, presento Carla a Giulia e le dico che starà in Toscana fino a settembre.
Giulia sembra crederci ciecamente, è tranquillissima, non c'è un atteggiamento di sgomento o di sorpresa sul suo volto.
Carla sembra essersi rimessa la maschera di ragazza pacata, dolce, delicata, si mette a chiacchierare con Giulia dicendole un monte di stronzate.
Sembra conquistare la mia Giulia con quel suo atteggiamento.
Carla parla lentamente senza mostrare stupore per l'accaduto, mantiene una tranquillità irreale, sembra di ghiaccio nonostante il suo corpo sia dolce e morbido.  
Porto loro il caffè e rimango sbalordito dalla freddezza di Carla, dalle cazzate che escono dalla sua bocca, dalla dialettica che sfoggia.
Giulia non ha il tempo di fare una domanda e Carla ha subito una lesta risposta.
Giulia mi chiede perché non le ho mai parlato di Carla, rispondo facendo il sorpreso e dicendole che molte volte ho accennato alla mia cugina romagnola.
Carla ride alle battute di Giulia, io faccio finta di essere divertito.
Tutto sembra essere andato incredibilmente per il verso giusto.
Carla mi dice di riportarla a casa, piega la testa e arriccia il naso mentre me lo chiede.
Giulia la invita a cena ma Carla declina l'invito con maestria.
Saliamo in macchina, mi scuso con Carla, le dico che sono un cretino, un bambino che non smette di giocare, condanno i miei atteggiamenti, le chiedo nuovamente scusa, l'ho presa in giro e mi sento in colpa, non sono stato sincero, espongo il mio dispiacere e sottolineo la mia stupidità.
In più, mi sento in colpa per Giulia e tutto quanto.  
Mi “complimento” con Carla per la freddezza dimostrata, per la lucidità avuta in un momento che per me è stato di puro terrore.
Ammetto nuovamente di essere un cretino.
Carla mi guarda e avvicina la sua bocca alla mia, nonostante tutto vuole baciarmi nuovamente.
Io mi scanso, sono sdegnato, resto immobile ad osservarle gli occhi.
Quegli tremendi occhi sono di ghiaccio, forse non si rende conto di quello che poteva succedere o di quello che è già successo, penso che sia incapace di provare sentimenti.
La sua anima, che ancora non sono stato in grado di scoprire, è probabilmente di ghiaccio come lo sono quei maledetti occhi da tremenda e viziosa ammaliatrice.
Penso che fino a settembre non tornerò più in quel dannato supermercato, non voglio più vedere quei maledetti occhi, quei dorati capelli, quei netti lineamenti e quelle ben curate mani.
Ma non c'è dubbio, l'idiota sono io.
Carla non ha colpe.
Il bambino viziato stanco dei suoi giochi, che considera anche uomini e sentimenti come un gioco, quello sono io.
Ora, me ne rendo conto.
È stata sicuramente una lezione sulla quale riflettere.
Forse un anno fa gli occhi di Carla non mi avrebbero colpito.
Ma questa è un'altra storia.

Fine.

lunedì 11 luglio 2011

"Al supermercato". parte2




Come avevo promesso a me stesso il giorno prima, torno al supermercato per vedere se la notte ha tolto il manto di tristezza che ammantava gli occhi di Carla.
Parcheggio la macchina nella fila E.
Non c'è una chiazza d'ombra, non c'è un albero in tutto il piazzale, il parcheggio è un deserto d'asfalto.
Mi sento un beduino che cerca acqua disperatamente, quell'acqua che forse è Carla, quell'acqua che è nei suoi occhi.
La vedo subito appena entro, è alla cassa numero tre.
Non ho niente da comprare, faccio un giro nel reparto dedicato ai libri e mi soffermo a sfogliare “Io e Te” di Ammaniti.
La finta settimana bianca mi incuriosisce, la cantina, la sorella, quel “caffè?” con il quale il libro esordisce mi catapulta subito nella situazione ed ho voglia di continuare a leggerlo.
Decido ti comprarlo, è a saldo, costa otto euro.
Gironzolo senza una meta tra gli scaffali stracarichi di roba, mi viene in mente che forse potrei comprare del pesce e cucinarlo a cena per me e la mia ragazza.
Ma no, c'è la carne comprata ieri.
Passo davanti alle bottiglie tutte lucidate a festa, la frutta variopinta, la verdura, i biscotti, il roseo colore della carne cruda nel reparto macelleria.
Passo davanti a tutta quella roba vedendola senza però leggere la storia che ogni prodotto racchiude.
Sono bramoso, smanio per osservare nuovamente quegli occhi.
Gironzolo a caso per perdere tempo.
Fuori è caldo, io sono sudato, sento i calzini che sono fradici e forse stinti nelle mie nuove Adidas verdi.
Appena uscito da lavoro sono corso al supermercato per sincerarmi delle condizioni di Carla.
Come se potessi guarirla, come se potessi liberarla dal suo tormento, come se io fossi un santone capace di liberare gli uomini dal dolore.
Alla cassa non c'è nessuno, io sono nel reparto dei detersivi e facendo finta di leggere qualcosa sul retro di un prodotto scelto a caso, scruto Carla. Lei, tiene tra le mani il cellulare, sembra annoiata.
Forse controlla se lui l'ha chiamata, forse si domanda perché non si è fatto risentire, forse attende uno squillo del padre per avere notizie della madre in ospedale.
Oggi non ha la treccia, i suoi capelli dorati sono semplicemente raccolti in una coda.
Decido che è il momento buono per avvicinarmi.
Voglio guardarla negli occhi.
Appena mi avvicino, vengo avvolto dal suo profumo il quale mi stordisce, sono frastornato, sembro rincoglionito, sono visibilmente disorientato.
Inciampo sui cestini arancioni che la gente lascia davanti alla cassa dopo aver poggiato sul nastro i prodotti scelti.
Ieri non aveva il profumo che ha oggi.
Quella fragranza la conosco, mi saltano alla mente confusi pensieri, visioni di corpi sudati, labbra accarezzate, un fremito mi percorre il corpo e non ho più la lucidità con la quale sono entrato nel supermercato.
“Hipnotic Poison” di Christian Dior.
Ecco il nome dell'essenza, era il profumo di una ragazza che conoscevo, siamo usciti per qualche sera alcuni anni fa: non che l'amassi, solo sesso.
Guado Carla con occhi diversi, le sorrido e le chiedo scusa per il casino che ho combinato.
Lei mi guarda, sorride, le guance leggermente arrossate, la bocca dolcemente aperta, la testa un poco inclinata.
Carla è timida, lo capisco perché non riesce a guardami negli occhi per più di qualche istante.
I suoi occhi, i quali il giorno prima mi avevano tanto colpito per la profonda malinconia che manifestavano, sono sempre tristi.
Guarda il mio libro, le domando se l'ha letto.
Risponde con un laconico no.
Percepisco però che quando mi parla i suoi occhi danno l'impressione di essere meno malinconici.
Le dico che fuori è un caldo allucinante, frase banale e stupida giusto per dire qualcosa, per constatare se la mia è stata solo un'impressione oppure parlandomi si sente davvero meglio.
Carla risponde pacatamente che fuori è davvero molto caldo, i nostri sguardi si incrociano e sembrano baciarsi, sento le nostre ciglia che immaginariamente si incastrano l'un l'altra.
Le osservo le pupille: sono dilatate.
Le piaccio, non c'è dubbio.
Le domando a che ora uscirà e cosa farà dopo. Lei mi dice che uscirà alle cinque, poi andrà da qualche parte, non ha impegni.
Sembra essersi sciolta.
Parla lentamente, a bassa voce, con toni soavi, inclina la testa ad ogni punto immaginario di ogni discorso.
Resto ad osservarle i denti bianchissimi, lattei, lucenti, sfavillanti, a tratti abbaglianti.
Il supermercato è deserto ed io vorrei stare per ore a parlare con Carla.
Mi butto.
Le dico che per il pomeriggio anch'io non ho impegni, la invito fuori.
Dice di no.
Insisto, sono curioso di vederla senza quel camice arancione, di vedere come cammina, come si muove fuori dal lavoro.
Vorrei sapere che musica ascolta, da dove viene, quanti anni ha, che numero di scarpe porta, se crede in Dio.
Dice di no nuovamente ma i suoi occhi la tradiscono, infatti, questi brillano, balenano di felicità, scintillano di gioia.
Persevero, sono convinto di averla in pugno.
Dice ancora di no.
Mi sento ferito, ma forse sono stato io a ferire quell'anima angelica, forse l'ho molestata, ma il suo volto pulito mi attrae enormemente, non so chi è e neanche se sia fidanzata.
Non so cosa mi è preso, voglio Carla per me.
Dice no.
Ma i suoi occhi l'hanno tradita, so di piacerle.
Pago in contanti.
Saluto Carla baciandole la mano liscia che infatti, come avevo immaginato il giorno precedente, sa di Nivea.
Mentre lo faccio mi sento uno di quei cavalieri medioevali alla corte di qualche altezzosa damigella.
Mi avvicino all'uscita, la porta scorrevole si apre davanti a me.
Poi, mi sento chiamare, è Carla che dice di averci ripensato.
La sento parlare con un tono alto, mi sembra impossibile, è in piedi rivolta verso di me, i capelli dorati luccicano sotto i neon, il suo dito destro rotea a mezz'aria come a dire “ci vediamo dopo”, mi dice che alle cinque mi aspetta davanti al supermercato.
Le butto un bacio e lei inclina il capo sorridendo.
Monto in macchina, proprio dopo aver chiuso lo sportello mi rendo conto di aver fatto una cazzata assurda.
Sono fidanzato da quattro anni, convivo da due, e non posso tradire la mia fidanzata con una tipa conosciuta da due giorni, così, forse conquistata solamente per esaltare il mio ego di uomo conquistatore.
Pescata in un supermercato forse per noia, per trastullo, per gioco, la cosa più giusta sarebbe di liberarla subito prima di farla morire.
Sono le tre, tra due ore avrò un appuntamento con una ragazza bionda col viso pulito, i denti bianchissimi, occhi verdi, un profumo che stordisce, delle guance da accarezzare, una bocca con labbra sottili che adesso muoio dalla voglia di baciare.
Mentre faccio la doccia non smetto di pensare a Carla, ho la sensazione di essere diventato il centro del suo universo e che lei lo sia diventata del mio, nonostante io sia già il centro di un universo e al centro del mio universo ci sia una ragazza che però non si chiama Carla.
È una cazzata, sento che è una cazzata enorme, ma la voglia di rivederla è troppa.
Osservo l'orologio appeso in cucina, sono le quattro.
Sfoglio il libro che ho comprato, non riesco a leggerlo, ho la testa altrove, penso a Carla.
La mia ragazza uscirà da lavoro alle otto, penso che forse potrei portare Carla a casa.
Profanare il luogo dove un amore come il nostro ha preso forma e sostanza è da vili, da bastardi, da esseri indegni all'amore.
Mi guardo allo specchio del bagno, osservo i miei occhi, cerco di penetrare infondo al mio spirito, mi porto le mani sulle tempie, poi sui capelli ricci e confusi.
Mi domando se il demonio mi stia mettendo alla prova, se il demonio esiste, se sia giusto o sbagliato cadere in tentazione, se Carla sia il demonio o un mezzo che questo usa per ingannarmi.
Entro in camera, guardo la sveglia appoggiata sul mio comodino in noce, guardo la sveglia sul comodino della mia ragazza, mancano venti minuti alle cinque e in me, combattono emozioni contrastanti.
Penso a Carla e sono felice, la situazione alla quale potrei andare in contro mi eccita enormemente, penso alla mia ragazza ma nel suo volto vedo i netti e allo stesso tempo delicati lineamenti della dolce Carla.
Se la mia ragazza facesse una cosa del genere, ovvero se scoprissi che ha un appuntamento con un ragazzo, la dipingerei con tutti gli aggettivi e sinonimi vicini a puttana.
Sono ancora in tempo per tirarmi in dietro ma non ci riesco, mi vesto, mi lavo i denti, mi pettino, chiudo la porta di casa quasi sbattendola, salgo in macchina e vado da Carla.

Continua...

mercoledì 29 giugno 2011

"Al supermercato". parte1.

Pacata, morbida, delicata, a tratti apatica, leggera come una Ms club azzurra, muove le sue mani ben curate silenziosamente, forse per non disturbare, oppure per non danneggiare i prodotti che lievemente volta dalla parte del codice a barre per sommarli al resto del conto.
È giovane, bionda dorata, Carla si chiama, lo leggo dal cartellino appuntato sul camice arancione.
I frigoriferi del supermercato, ronzano insistentemente, alcuni ventilatori muovono un'aria densa, corposa, calda.
Carla, porta attorno al collo un foulard di seta, forse, a starsene tutto il giorno lì seduta con il ventilatore puntato contro, le viene il mal di gola o quell'uggiolina che porta alla raucedine.
Ha i capelli raccolti in una treccia, di quelle che andavano di moda alcuni anni fa.
Ha un viso pulito, onesto, leggermente incipriato, incorruttibile e sincero.
Occhi verdi, quel verde che rimanda alla mente le estati passate al fiume con gli amici. Occhi verdi come l'acqua di un torrente illuminato dal sole: sono però occhi tristi.
Sono occhi di una ragazza di vent'anni o giù di lì, ma non sono occhi che brillano di giovinezza, non sono affatto luminosi, sono spenti, sbiaditi.
Sono infatti occhi tristi, velati di malinconia, disillusi, delusi, avviliti e forse angosciati.
C'è sicuramente qualcosa che la tormenta.
Ha un viso netto, un naso preciso e lucido.
Il suo sguardo è fisso in un punto, non sorride.
Il computer della cassa non riconosce il codice del prodotto che ha tra le mani, lei storge il naso in segno di disappunto e tre piccole rughe si formano sopra di esso.
Il cliente davanti a me, è visibilmente impaziente, sicuramente annoiato dalla lentezza di Carla.
Mi chiedo il perché della sua tristezza, forse il ragazzo l'ha lasciata, forse è incita, forse sua madre è all'ospedale.
Saluta il cliente che mi precede con un “grazie e arrivederci” dal tono stanco.
Le sue labbra, sono sottili, leggermente rosee, non sono labbra rosse e carnose da baciare.
È il mio turno, alza lo sguardo e fa un cenno di saluto.
Ripongo nella borsa gli acquisti che ho fatto in questo caldo pomeriggio di Giugno: un sacchetto di “Fisherman's Friend” al mentolo ed eucalipto che ho poggiato sul nastro mentre osservavo Carla, tre Redbull, cinque pesche, una cassa di cedrata, pane, uova, carne, pizze surgelate, deodorante, balsamo alle erbe, dentifricio e zucchero di canna.
Pago con il bancomat.
Mi passa con flemma lo scontrino e mi restituisce il bancomat, vorrei annusarle quelle mani, quelle lunghe dita affusolate: sono sicuro che prima di andare a letto è una di quelle che impiastra le sue mani di Nivea.
La saluto senza sventolare il fazzoletto, senza dirle addio: domani tornerò al supermercato per vedere se la notte, le ha tolto la tristezza dagli occhi.

Continua...