"La fine del mondo."


-Mi prendi per il culo? Dico io, ti sembra questo il momento di scherzare?
Provavo in tutti i modi a calmarlo e farlo ragionare, ma non mi dava ascolto.
Continuava a chiedermi se lo stavo prendevo per il culo e se mi sembrava quello il momento di scherzare.
Santo Dio, avrei voluto mettergli le mani addosso, picchiarlo e farlo svenire per non sentire più quella sua ansimante voce da pazzo sclerotico che ormai m'era entrata nella testa.
-Dai, rilassati un minuto ed ascoltami, non sta succedendo nulla, stai calmo e siediti.
Camminava per la casa freneticamente ed apriva con titubanza la tenda del soggiorno per vedere cosa stesse succedendo fuori.
Il paesaggio era buio, tutti i cani abbaiavano, gli uccelli cinguettavano e non c'era traccia di un passante per la strada.
-É la fine del mondo, io non voglio morire adesso.
-Non è la fine di nulla, è una cosa normale, succede di rado ma succede, stai tranquillo.
-Mi prendi per il culo?
Mio cugino solitamente faceva il grosso, si vantava di scopare più di ogni ragazzo della sua età, fumava per farsi vedere in giro e sembrare un grande, ma in realtà era un cacasotto di quelli numero uno.
Non riusciva a tranquillizzarsi, gli tremavano le mani e quel suo tic di grattarsi la testa nei momenti di panico divenne persistente.
Credo si sia sbucciato la testa quella mattina.
-Perché questo buio alle undici del mattino? Perché i cani sembrano impazziti? É la fine, me lo sento, moriremo tutti.
-La smetti di dire stronzate? Tra poco tutto tornerà alla normalità, anzi già questo è normale, ora basta con questa storia stupida e siediti.
-Il giorno del giudizio è arrivato.
-Sì, è la fine del mondo.
Gli dissi così per farlo contento e finalmente la finì di camminare senza senso per il salotto, paradossalmente, non so perché, in qualche momento si tranquillizzò.
Non mi lasciò finire di parlare e corse a nascondersi in cantina passando dalla scala interna della cucina.
Io avevo sedici anni e mio cugino diciotto.
Era un tipo secco e lungo infatti lo chiamavano “stecco” di soprannome, adesso ha trent'anni e la fissazione per la palestra l'ha fatto diventare un armadio.
É enorme, sembra un armadio di quelli che hanno nelle camere i genitori e dentro i quali c'è posto per la roba invernale e tutto, lenzuoli ed asciugamani puliti per tutta la famiglia compresi.
Anche per quei giubbotti usati e regalati da qualche parente che ancora non vuoi buttare perché pensi che in un futuro potrebbero tornare di moda.
Insomma, il nome è rimasto e gli amici lo chiamano ancora “stecco”.
Lo seguii in cantina e si sedette sulla poltrona della povera nonna ormai morta.
Mi chiese una sigaretta.
-Non fumo e non ce ne sono in casa di sigarette- risposi io facendo spallucce.
Iniziò a piangere disperatamente.
-Avrei voluto conoscere meglio mio padre, essere stato un bravo ragazzo, non aver rubato nel bar del Tagliaferri, non aver tradito Carla per Giada ed essere andato a messa ogni domenica come voleva nonna.
Aveva una voce affranta, dispiaciuta, angosciata e costernata mentre me lo diceva.
Accesi la luce della cantina con l'interruttore alla mia sinistra, il suo volto era mesto, rigato di lacrime e i suoi occhi velati di terrore, guardava un punto indefinito del pavimento sotto le sue ciabatte della fila.
Porco cane se era avvilito!
-Puoi rimediare, stasera dici a tuo padre che lo vuoi “conoscere”, ti presenti dal Tagliaferri e gli dici che hai rubato, domenica vai alla messa e poi dici a Carla che la ami.
Gli dissi io sorridendo, ero seduto sui primi scalini in vetta alle scale.
-Il domani non ci sarà, quel che è stato è stato, è giunta la fine, non c'è più tempo.
Poi, singhiozzando, mi mormorò:-Pantani però mi ha regalato delle belle emozioni, il Pirata m'è entrato nel cuore con le sue volate, l'anno scorso giro e tour, peccato per quest'anno.
-Tranquillizzati, vieni su con me e beviamoci qualcosa.
Abbracciai mio cugino che tremava come un pulcino bagnato e lo portai in salotto, stranamente mi dette ascolto.
Ci bevemmo un coca poi lentamente un po' di luce penetrò dalle tende ed illuminò la stanza.
Corremmo alla finestra e guardammo fuori, il sole era tornato e sembrava aver sconfitto le tenebre.
Mio cugino mi guardò e sorrise, capii che la morte gli faceva paura.
Era il 1999, l'anno di Benigni come miglior attore protagonista, dell'esclusione di Pantani dal giro d'Italia, della beatificazione di Padre Pio, del primo dei sette tour de France vinti da Amstrong, della vittoria del campionato del mitico Milan di Zaccheroni.
Fu anche l'anno dell'eclissi totale di sole, l'estate in cui mio cugino pensò che fosse la fine del mondo.
Fu l'anno in cui iniziai a volergli bene.

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