"Ruggine"
Pietro non è più mio amico.
Pietro non è più nulla.
L'adolescenza unisce.
Crea legami profondi.
Ci siamo conosciuti da adolescenti, nella stagione del non pensare a ciò che è veramente importante, nella stagione in cui filosofeggi inconsapevolmente, dove bevi e provi tutte le droghe del mondo perché nulla è più importante del presente e te ne fotti di tutto il parlottare della gente.
Puoi fare tutto, c'è sempre la tua stagione a farti da ombrello per quello che combini.
Ci volevamo bene.
Gliene voglio ancora.
Ora è perduto in una foresta dove tutto è altro da ciò che sembra, dove non sei sicuro se stai calpestando erba o altro, dove le farfalle sono aquiloni, dove tutti i gatti sono armati e marroni, e scappi, e corri perché hai paura che tutti attorno a te siano affamati predoni.
Pietro scappa dalla realtà, fugge dalle parole, si nasconde dove non c'è il sole.
È scappato anche da me, è scappato da tutti noi.
Ho regalato lui un diario. Speravo ci scrivesse qualcosa. Non ci ha scritto nulla.
Ha perso la testa.
Ti chiedi in che modo sia potuto accadere, se sei anche tu, in qualche modo, l'artefice di tutto.
Provo sempre un grande disgusto.
A stento trattengo il vomito, ma poi mi guardo allo specchio e dico che la colpa non è mia.
Certi giorni penso che forse potevo fare di più.
Ci sono stato davvero male, tutt'ora ne porto i lividi.
Anche questo graffio nell'anima, non smette di perdere sangue.
Ho chiesto consiglio anche al mare.
Mi sono fatto due ore di macchina per sedermi silenzioso al cospetto del maestro.
Ho annusato il vento.
Poi mi sono svestito, mi son buttato tra le onde ed ho pianto mescolando le mie lacrime salate con quelle di altra gente disperata e rapita dai propri demoni.
Con gli occhi aperti, sotto l'acqua, non si vedeva nulla.
Era un continuo sciabordare, è come ritornare finalmente nel ventre ancestrale dove ti spogli da tutte quelle caratteristiche con le quali la realtà ti individua e non ti senti nient'altro che te stesso, pulito e magnifico, semplice, in ogni tuo difetto.
Mi sono disteso sul bagnasciuga, la sabbia dappertutto sul corpo.
Ho pensato che non potevo più andare avanti in quel modo, che dovevo provare a ripartire.
È facile lasciarsi marcire.
Più facile di quanto si pensi,
più semplice di lavarsi i denti,
di sputare a terra,
di dire no a una guerra.
Poi, s'arriva al punto in cui o salti o resti immobile.
Restare immobile è come farsi corrodere dalla ruggine.
Salti per non diventare come quel tuo vecchio amico.
Una volta ero ubriaco e lui mi infilò due dita in gola per farmi vomitare. Mi sentii meglio.
Io ci ho provato a farlo vomitare, l'ho portato da qualcuno che lo potesse aiutare, qualcuno che potesse farlo sentire meglio. Avevo la speranza che la sua vita diventasse diversa.
Lo vidi scappare dalla finestra e lo ritrovammo solo dopo sei ore, seduto sulla sponda di un fiume che potente scorreva a valle. Mi disse che lo volevano ammazzare, che erano tutte balle, tutto architettato per farlo fuori, che il problema eravamo noi.
Per un periodo ha dormito in macchina per paura che il lenzuolo lo soffocasse, beveva solo alle fontane per paura che qualcuno lo avvelenasse.
La sua, è stata una normale evoluzione.
Si parte colla depressione e poi si va oltre, oltre la realtà, oltre la ragione, oltre ogni esperienza dei sensi, oltre quello che credi lui pensi, oltre questa dimensione.
Polizia, ospedale, fuga, polizia, urla in piazza, polizia, ospedale, chiamate nel mezzo della notte, bruciare la propria macchina perché posseduta dal diavolo, polizia, ricovero forzato, fuga in mutande per nascondersi nei bagni della stazione, polizia, psichiatria.
Se ne sta immobile ad osservare il suo pesce rosso.
Forse crede d'essere quel pesce.
Ha sempre avuto paura dell'acqua. È annegato nella realtà.
Ora non è più nulla.
Imbottito di tutta quella merda è solo un corpo.
Non sogna nessuna riscossa, non sogna più una vita.
Forse sa che la sua è svanita, forse non sa proprio nulla.
Se solo potessi togliergli quella pietra dalla testa.
Ieri sono andato a trovarlo a casa, ha detto che non voleva più vedermi, che non ero un suo amico, che non sapeva chi io fossi.
La vita va avanti scandita dai ricordi e dalle domande, pensi che se anche il mondo è grande e pieno di gente, nessuno è come quel tuo vecchio amico.
Le cose importanti, nella vita, ti accorgi che sono davvero poche. Se poi una di queste cose la perdi malamente per la strada, guardi il mondo con occhi diversi e tutto ha un altro sapore, quello cattivo, quello della ruggine.
Pietro non è più nulla.
L'adolescenza unisce.
Crea legami profondi.
Ci siamo conosciuti da adolescenti, nella stagione del non pensare a ciò che è veramente importante, nella stagione in cui filosofeggi inconsapevolmente, dove bevi e provi tutte le droghe del mondo perché nulla è più importante del presente e te ne fotti di tutto il parlottare della gente.
Puoi fare tutto, c'è sempre la tua stagione a farti da ombrello per quello che combini.
Ci volevamo bene.
Gliene voglio ancora.
Ora è perduto in una foresta dove tutto è altro da ciò che sembra, dove non sei sicuro se stai calpestando erba o altro, dove le farfalle sono aquiloni, dove tutti i gatti sono armati e marroni, e scappi, e corri perché hai paura che tutti attorno a te siano affamati predoni.
Pietro scappa dalla realtà, fugge dalle parole, si nasconde dove non c'è il sole.
È scappato anche da me, è scappato da tutti noi.
Ho regalato lui un diario. Speravo ci scrivesse qualcosa. Non ci ha scritto nulla.
Ha perso la testa.
Ti chiedi in che modo sia potuto accadere, se sei anche tu, in qualche modo, l'artefice di tutto.
Provo sempre un grande disgusto.
A stento trattengo il vomito, ma poi mi guardo allo specchio e dico che la colpa non è mia.
Certi giorni penso che forse potevo fare di più.
Ci sono stato davvero male, tutt'ora ne porto i lividi.
Anche questo graffio nell'anima, non smette di perdere sangue.
Ho chiesto consiglio anche al mare.
Mi sono fatto due ore di macchina per sedermi silenzioso al cospetto del maestro.
Ho annusato il vento.
Poi mi sono svestito, mi son buttato tra le onde ed ho pianto mescolando le mie lacrime salate con quelle di altra gente disperata e rapita dai propri demoni.
Con gli occhi aperti, sotto l'acqua, non si vedeva nulla.
Era un continuo sciabordare, è come ritornare finalmente nel ventre ancestrale dove ti spogli da tutte quelle caratteristiche con le quali la realtà ti individua e non ti senti nient'altro che te stesso, pulito e magnifico, semplice, in ogni tuo difetto.
Mi sono disteso sul bagnasciuga, la sabbia dappertutto sul corpo.
Ho pensato che non potevo più andare avanti in quel modo, che dovevo provare a ripartire.
È facile lasciarsi marcire.
Più facile di quanto si pensi,
più semplice di lavarsi i denti,
di sputare a terra,
di dire no a una guerra.
Poi, s'arriva al punto in cui o salti o resti immobile.
Restare immobile è come farsi corrodere dalla ruggine.
Salti per non diventare come quel tuo vecchio amico.
Una volta ero ubriaco e lui mi infilò due dita in gola per farmi vomitare. Mi sentii meglio.
Io ci ho provato a farlo vomitare, l'ho portato da qualcuno che lo potesse aiutare, qualcuno che potesse farlo sentire meglio. Avevo la speranza che la sua vita diventasse diversa.
Lo vidi scappare dalla finestra e lo ritrovammo solo dopo sei ore, seduto sulla sponda di un fiume che potente scorreva a valle. Mi disse che lo volevano ammazzare, che erano tutte balle, tutto architettato per farlo fuori, che il problema eravamo noi.
Per un periodo ha dormito in macchina per paura che il lenzuolo lo soffocasse, beveva solo alle fontane per paura che qualcuno lo avvelenasse.
La sua, è stata una normale evoluzione.
Si parte colla depressione e poi si va oltre, oltre la realtà, oltre la ragione, oltre ogni esperienza dei sensi, oltre quello che credi lui pensi, oltre questa dimensione.
Polizia, ospedale, fuga, polizia, urla in piazza, polizia, ospedale, chiamate nel mezzo della notte, bruciare la propria macchina perché posseduta dal diavolo, polizia, ricovero forzato, fuga in mutande per nascondersi nei bagni della stazione, polizia, psichiatria.
Se ne sta immobile ad osservare il suo pesce rosso.
Forse crede d'essere quel pesce.
Ha sempre avuto paura dell'acqua. È annegato nella realtà.
Ora non è più nulla.
Imbottito di tutta quella merda è solo un corpo.
Non sogna nessuna riscossa, non sogna più una vita.
Forse sa che la sua è svanita, forse non sa proprio nulla.
Se solo potessi togliergli quella pietra dalla testa.
Ieri sono andato a trovarlo a casa, ha detto che non voleva più vedermi, che non ero un suo amico, che non sapeva chi io fossi.
La vita va avanti scandita dai ricordi e dalle domande, pensi che se anche il mondo è grande e pieno di gente, nessuno è come quel tuo vecchio amico.
Le cose importanti, nella vita, ti accorgi che sono davvero poche. Se poi una di queste cose la perdi malamente per la strada, guardi il mondo con occhi diversi e tutto ha un altro sapore, quello cattivo, quello della ruggine.
Ci si perde ed i perché sono legati ai nostri dolori, agli abusi che alcuni possono fare ed altri no. La fragilità, i sogni. le speranze che si infrangono e rimangono solo pezzetti frastagliati di vetri. Pietro è l'amico che è andato per la sua strada, non ha trovato quello che cercava e si è rifugiato dove nessuno lo può più trovare, ferire.
RispondiEliminaSulle stesse note...
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=K3I2O9jTlKM
Un bellissimo racconto tra illusione e realtà.
RispondiEliminacomplimenti
RispondiElimina@I am..
RispondiEliminaOttimo, hai colto in pieno il messaggio..
Come fai sempre.
Un abbraccio forte.
Buona serata.
@Tra cenere e terra...
RispondiEliminaBellissima canzone, grazie per avermela fatta scoprire..
Un abbraccio, ti aspetto al prossimo post.
@Costantino..
RispondiEliminaGrazie mille per il passaggio.
Sei sempre il benvenuto.
Un abbraccio.
@Fog..
RispondiEliminaGrazie!