5.Topi
Fui
condotto in un fosso di cui ignoravo l'esistenza: umido e freddo,
tremore, null'altro attorno a me: «io sol uno», mi venne in mente,
e perché è così.
Mi
svegliò la gatta, mi stava sul petto e si lavava leccandosi, e
rutteggiava involtini primavera, ed era disgustosa.
Me
ne stetti tutto il giorno in casa, e non mi lavai, e nessuno mi
telefonò, e misi in ordine la libreria, e cenai con del pane secco
bagnato d'olio sul cui strusciai un pomodoro.
Pensai
tutto il giorno senza parlare mai, e i pensieri mi marcirono dentro.
Non
vedevo l'ora che fosse lunedì per tornare a lavorare, almeno avevo
qualcosa da fare, qualcosa da toccare, qualcuno con cui parlare.
Sempre i soliti discorsi, si cammina su nuvole di frasi fatte, e non
si passa mai oltre. Ma è un mondo che sta insieme, un mondo semplice
e gretto che comunque ha una sua attività, che comunque diviene.
E
io mi presento lì e faccio la mia parte, una parte senza ruolo
specifico, faccio quello che c'è da fare e basta, sono un
ingranaggio sostituibile con un qualunque altro ingranaggio.
E
ciò conferma la mia inutilità, il mio essere un nulla che si muove,
che parla come da copione, che non ha rapporti; uno che non termina
mai il libro che comincia a leggere, uno che di notte beve per
prendere sonno, e che se vuol dormire deve essere ubriaco, e dormire
con le scarpe legate, e svegliarsi di mattina coi piedi
informicolati.
L'insonnia
mi tormenta solo da pochi anni, ed è una merda, ed è come se il
corpo agisse indotto da un terzo, persuaso da qualcuno a dover essere
stanco, ma non dormire mai.
E
allora pensi, ma non parli, e a volte scrivi, poi leggi, poi ti fai
una sega, e poi bevi, e ribevi, e poi dormi vestito.
E
al mattino fa male la testa, e mentre l'acqua ti scorre addosso tu
senti tutto il peso del tuo corpo, e allora vorresti essere acqua, e
scivolare via insieme ai capelli, ai peli e al piscio, e disperderti
dappertutto, e finalmente dormire.
Se
non avessi Nigeria avrei già salutato tutti. Anzi, non me ne frega
di salutare nessuno.
È
tutta colpa del Tennis, di una troia e di un maestro, forse è anche
colpa mia; ma insomma, forse non ha colpa nessuno, ma a rimetterci
sono io.
Una
volta da piccolo volevo un bicchiere di latte freddo, abitavamo in
campagna, ed era estate.
Presi
una tazza e la poggiai sul tavolo, dal frigo tirai fuori il latte e
lo versai nella tazza, poi rimisi il latte in frigo.
Lo
sentivo già in bocca il sapore di quel latte freddo, mentre fuori si
bolliva di caldo, e dalla tazza scendevano giù le goccioline.
Mi
metto a sedere, infilo le dita nell'orecchio della tazza, davanti un
biancore ancestrale, e all'improvviso emergono delle zampette nere,
poi una coda e poi un'altra, e infine due corpicini di topini morti,
grandi come mignoli.
Chiaramente
ci rimasi di merda, e da allora guardo sempre nei bicchieri o nelle
tazze prima di riempirle, anche se non ho più bevuto latte.
Senza
fare troppe scene mi alzai dal tavolo con la tazza in mano, camminai
fino ad arrivare vicino ad un fosso e lanciai tutto, tazza di
topolino compresa.
E
ci rimasi male, e ci son rimasto male ora come allora quando il
tennis è entrato a far parte della mia vita, son quelle cose così
inattese che non ti fanno agitare, ti fanno rimanere lucido, ma poi
arrivano comunque tutte le conseguenze.
Mi
ha lasciato di lunedì, le parrucchiere non lavorano il lunedì, e
allora mentre ero in paura pranzo e me ne stavo a casa a mangiare,
lei mi dice tutto, e con molta calma esce di casa con le valige fatte
la mattina, un'uscita pensata da tempo, messa in atto grazie al
coraggio dato da un ritardo mestruale; e allora tu come ti
sentiresti?, tu che non la scopi più da quasi un anno, che non
pensavi a nulla di tutto questo, a te che il tennis fa cacare?
Nulla,
non fai nulla, e pensi a farti una scopata prima di fare un piano. E
il sabato di quella settimana scopai Nigeria sul lato passeggero
della mia macchina, e lo facemmo tre volte in un quarto d'ora, e
pensai che la fica mi mancava tanto, e fu uno dei giorni più belli
della mia vita.
Ora
siamo in intimità con Nigeria, viene a casa mia e si parla, un
sabato che nevicava cenammo insieme, mangiammo la barbina in brodo, e
poi prese il treno delle nove dopo che le insegnai a fare il caffè.
Lei
sa quello che fa, è cosciente del suo lavoro, è fiera di ciò che
ha scelto di essere. Vuol metter via tanti soldi, e a venticinque
anni tornarsene a casa, e fare famiglia, e non avere l'aids.
Guadagna
in una settimana quello che guadagno io in un mese, e non spende
nulla, e manda tutto a casa.
È
una ventenne determinata, e io la amo anche per questo.
E
glielo dico sempre che vorrei sposarla e andare con lei in Nigeria,
ma lei ride, e non ci crede, e pensa che non è vero, ma in fondo
secondo me lo sa che la amo davvero.
È
l'unica luce che vedo oltre questa caverna di solitudine, l'unica
speranza di salvezza per la mia vita. Ripongo in lei ogni aspettativa
per il futuro.
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