lunedì 30 novembre 2015

6. Quo vadis, Domine?

Me lo promisi appena se ne andò di casa: appena mi faccio incoronare cambio lavoro e vita, e vado a vivere in India, scalzo.
Certo mica potevo partire subito, non posso lasciare una cosa a mezzo.
Potrebbe essere adesso il momento buono per partire. Proprio adesso, andare via, e perdermi da qualche parte.
Ho trentasette euro pulite ogni mese, le accantono da un anno.
Un volo per qualche parte lo trovo.
La gatta devo informarmi se la posso portare con me, se no la do a Pietro, la mette nel piazzale delle macchine.
Ma dove vado? Al caldo. Non voglio più vedere un giubbotto.
E Nigeria? Non posso lasciarla così proprio ora che è iniziato qualcosa di profondo. Non posso ferirla, e poi non me la sento di lasciarla: la amo. Potrei convincerla a venire con me.
Devo solo dare la disdetta del contratto d'affitto della casa e le dimissioni al lavoro.
Ora potrei anche provare nuovamente a dormire, chiudere gli occhi e contare le pecorelle; ma che idea fantastica mi è tornata in mente stasera, l'avevo rimossa completamente in questi mesi, e pensare che per un sacco di tempo è stata il mio faro.
Potremmo definirla «la boa della partenza», e che bello che arrivi in mio aiuto proprio adesso che c'è tempesta.
E dove vado? Qual è il mio posto nel mondo?
L'India mi ha sempre affascinato, ho visto un sacco di documentari. Di sicuro saranno obbligatori dei vaccini.

Andai subito a disdire il contratto d'affitto, ma dovevo aspettare tre mesi per farmi rendere la caparra.

E aspettai, mentre pianificavo la partenza 

Ogni tanto mi viene in mente di quando avevo undici anni, che il babbo di mio nonno, ovvero il mio bisnonno, un omone che mi ricordo sempre con la canottiera giallognola, a sedere su uno sgabello che se ne stava lì come un nulla che ha sopra una montagna calva, l'orologio ad ognuno dei polsi, un bastone in mano, un bastone che ti indica, una voce che dice: «coglione».
Questo è l'unico ricordo che ho del mio bisnonno Giovanni.
Quando ci penso mi chiedo se mi diceva quelle parole per salvarmi, imponendomelo come un mantra al fine di farmi diventare un coglione in abito, per me un coglione è un istrione, un funambolo, un prestigiatore.
Magari era una semplice costatazione del nonno Giovanni, che magari usava quella parola in un significato diverso, o solo per dire che ero un coglione.
La mia vita oscilla tra queste due diverse interpretazioni. Sono un coglione o devo esserlo? Insomma, vivo così in questa zona grigia.

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