L'ascensore
Alberga in me un
ascensore,
capienza massima
infinite persone,
infinito il peso
che può sopportare,
gli ombrelli, i
paralumi, i libri, le ricette, gli scandali, i sorrisi e i topi.
Talvolta sale,
l'ascensore
senza rumore,
e va al di là
della mia vista,
e poi scende e fa
lo stesso,
laggiù nel vuoto
del tempo perso,
nell'infinito
abisso delle nausee e dei mal di tesa,
onorevole
contrapposizione all'esaltazione di un corpo nudo sulla prua di una
nave in piena tempesta,
dopo i gridi a sua
maestà,
la rabbia che
sembra uscire del tutto dalla materia;
via le paure e le
nevrosi, il brutto, il male, le catene, i capelli, i denti, la pelle
e gli anelli.
La consapevolezza
di un'illusione.
Su e giù,
come un ascensore,
al cui interno c'è
una dama nana che fa finta di aver defecato,
mentre la mancina
le sfarfalla sul volto come a dire: oh che puzzo!
E pigia l'uno, poi
il quattro e poi il sette,
e si ferma,
si blocca a bocca
aperta con le mani tese in avanti,
sembrano poggiate
su un vetro che però non c'è.
A noi la vista dei
suoi palmi graffiati.
Riprende con fare
guardingo e baldanzoso,
come se fosse in
sé,
e pigia il tre.
D'un tratto
s'appoggia il polso sulla bocca,
la testa piegata,
l'indice dritto
verso il cielo,
poi spinge il
braccio verso il basso: rumore d'attrito tra denti e pelle,
giù fino in
fondo,
con l'indice che
sembra dividerle la faccia,
e già è
all'angolo della bocca.
Rimette dritta la
testa e mi guarda,
ti guarda,
ci guarda,
con quei suoi
denti enormi.
E riparte a
pigiare,
meno venti,
più duemila,
meno nove,
più un milione,
l'uno,
il quattro,
il sette.
L'infinito
perpetuarsi dei teatrini,
le smorfie,
i balletti,
i salti,
i finti pianti,
il dormiveglia.
Il tutto in
silenzio,
tutto senza voce,
solo gli occhi si
spingono alla ricerca di un senso,
e si fermano,
e qui muoiono,
e qui rimangono in
eterno ad osservare.
Vi è in me un
ascensore,
al cui interno c'è
una folle dama nana,
e in me non c'è
solo l'ascensore,
ci sono tutti i
piani che ho visitato,
i deserti, le
folle, la pace, la discordia, il sole,
l'incantevole
fuoco,
l'aspro vento,
l'odore della
terra, l'amore, gli ombrelli.
È davvero forse
il caso ciò a cui siamo destinati,
ma oramai siamo
nati,
e mi stupisco di
coloro che pongono rimedio all'ascensore e alla dama,
lasciandosi perire
in qualche modo.
È questo il luogo
dell'illusione.
Parlami del
paradiso,
dell'inferno,
dimmi dove si va.
Si sta.
Si resta,
è tutto quello
che ci spetta,
l'ora, l'istante.
È il tuo turno,
lesto,
lascia stare se
hai il viso mesto.
È una vita fatta
di scandali, di paralumi,
di topi, di sperma
e ricette, di bestemmie,
di segni della
croce, di nausee, di dentifricio.
E butta un bacio
alla dama,
fatti amica la
nana anche se non lo saprà,
commetti errori,
ripudia, accetta, dubita.
Forse non c'è
nessun ascensore.
Infatti, è un gomitolo di lana.
Lo trovo eccezionale questo scritto , ma non dubitavo delle tue capacità leggendo la tua presentazione.
RispondiEliminaNon prendo mai gli ascensori, temo il chiuso,ho timore che si fermino all'improvviso come la mia vita,lacerata ma che deve continuare e continuo a piedi, con fatica dal millesimo piano in basso sempre di più. Sembra non faccia fatica , ma spesso scivolo e mi faccio male . Vado avanti, prima o poi mi fermerò o prendo l'ascensore e torno su?
Bravo e mi sono iscritta con piacere , sperando anche tu ti unisca al mio blog. Grazie
Un abbraccio!
http://rockmusicspace.blogspot.it/
@Nella Crosiglia: benvenuta! passo a farti visita al blog.
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