Quando distratto cammino, e talvolta
inciampo o sbatto contro un lampione, allora è lì che sto pensando.
Quando muovo il corpo senza darci peso, quando lo lascio fare in
maniera meccanica, senza rifletterci, come di solito si fa col
respirare o con i battiti di ciglia, allora è lì che la mente si
eleva e se ne va raminga per i cazzi suoi.
Mi succede spesso e più facilmente qui
a casa mia, che c'è un viottolo in discesa che porta alla ferrovia.
È tortuoso, pieno di buche, in inverno sembra quasi un torrente, a
fine estate è circondato di rovi pieni di more.
Inizio a scendere e sciolgo i cani,
accendo una sigaretta e mi metto le mani in tasca, la fumo così solo
con la bocca.
E giù che si entra in modalità
pensiero, e su che sale la mente verso le zone del silenzio
ancestrale, mentre alcuni uccelli cinguettano, il vento dondola, e la
mia figura svanisce.
Starmene passeggero nella natura
sedimenta le mie credenze, mi fa sentire protetto, e talvolta mi
stendo ad osservare il cielo, o mi rotolo su di un prato, e lì
riscopro d'essere parte dell'humus, d'essere fango, con un forma che
talvolta svanisce, forma ché in fondo non ha l'importanza che spesso
le attribuiamo.
La natura sono la mia nonna e mio
fratello in lunghe passeggiate, è mio padre che ci porta a pescare,
la natura è un pesce che accarezzo dopo averlo pescato, poco prima
di lasciarlo nuovamente libero di nuotare, di evolversi, di diventare
uomo coi millenni.
La natura rappresenta per me tre cose
fondamentali.
La prima è la casa, il nido, la mamma,
la provenienza, l'origine.
La seconda è la dimensione della
conquista, dello sviluppo, dell'attraversamento. Ho soggiogato con i
miei mezzi la natura, l'ho seminata e l'ho fatta mia, l'ho recintata
e ci ho messo dentro i cani, ho pescato, mi sono spinto oltre la
siepe ed ho camminato verso un luogo che non conoscevo ma di cui
percepivo l'esistenza. Ho segato un pino che era enorme, abbracciato
al suo tronco ho raggiunto la cima, e poi con gesti secchi e decisi
ho tagliato i suoi rami, e li ho visti cadere a terra, diventare
color ruggine, e diventare polvere.
La terza dimensione è quella
dell'erranza, quella che mi è più cara, è il perdersi senza meta,
camminare e andare per andare e basta.
Quest'ultima dimensione è quella
dionisiaca, orgiastica, indefinita, quella che apre alle riflessioni
più strampalate. Questa è una dimensione metafisica, doppia, tu
cammini e non ci sei, entra in gioco la capacità di andare
meccanicamente, e ci vuole un po' di allenamento, come per lo yoga,
che con un po' di pratica poi leviti per davvero. Anche se non ho mai
visto nessuno.
Grazie a questa terza dimensione, in
cui non c'è altro che pensiero fluidificato, certo all'inizio un po'
caotico, ma lentamente poi tutto si fa più chiaro, distinto, si
percepisce l'armonia di cui siamo fatti, e si fanno pensieri
pericolosi e strani.
L'altro giorno mi venne da pensare a
Mike Tyson che mi voleva picchiare e allora scappavo per tutta
l'America, la volta prima al cannibalismo dell'Occidente, e poi al
papa che forse è malato, ma magari no.
Ma è oggi che ho fatto un pensiero
davvero strano.
Sono in una stanza senza né porte né
finestre, ma poi, all'improvviso, davanti a me si apre una porta
enorme, ed entra il sole.
É una portafinestra dalla quale si
vede il mare, il mare che è bello, il mare che ci fa nuotare, e
nuotare è bello.
Sono davanti a questa finestra, solo
come un cane, e all'improvviso arriva una farfalla che mi svolazza un
po' davanti e poi mi si posa su una spalla. Dopo poco ne arrivarono
ancora, una per volta, ma di continuo, tutte gialle, ed entrano nella
stanza.
C'è profumo di epifania: annunciano
qualcosa.
Dal mare emerge una ragazza bellissima
con gli occhi azzurri, i capelli rossi e sciolti, ma stranamente
asciutti, e resta lì, con l'acqua fino al busto. Mi guarda
sorridente, e con un gesto della mano veramente aggraziato mi invita
ad andare verso di lei.
Ma resto fermo, un po' mi fa paura.
Mentre
la stanza si riempie di farfalle, mi passa accanto un pulcino
volante, e poi si posa sulla mia testa, e fa un nido tra i miei
capelli, come se dall'alto volesse controllare tutto, quasi senza
essere visto.
Da
dietro di me si fa strada un suono, e lo sento che arriva lento ma
costante, mi volto ma non vedo nulla, c'è come un'ombra, e mi sembra
un ragazzo dai capelli mori, ma forse è solo un fantasma. Di fatto,
da quando è arrivato, il mare ha assunto il suo rumore di sempre, e
anche il vento ha cominciato a soffiare, e lo dicono gli alberi sulla
collina qua attorno, che si lasciano accarezzare, si cullano,
dondolano.
Poi le farfalle mi spingono verso il
mare, e sento che qualcuno mi tiene per le mani: a sinistra c'è Sam
e a destra Letizia, la quale tiene per mano una sua amica di nome
Manuela, e accanto a lei altre persone, tra cui Francesco, vestito da
babbo Natale e con un cuore in mano.
E allora camminiamo, ognuno a suo modo,
verso il mare.
I nostri piedi lasciano segni su una
sabbia di un giallo intenso, innaturale, come disegnata da un'artista
contorsionista, una di quelle che ti parlano con lo sguardo, o
scontrandoti con dolcezza.
Ci avviciniamo alla donna dai capelli
rossi, siamo a pochi passi dal mare, e tre gabbiani fiochi e
sbilenchi ci cominciano a dire di stare fermi, che è pericoloso, che
per entrare ci manca qualcosa.
“Cosa?” Domanda il pulcino sulla
mia testa.
“Questa”, dice il gabbiano
mostrandoci una candela.
“È la candela del Salvatore!”
Esclama Francesco, che nel frattempo si è tolto i vestiti da babbo
natale per mettersi quelli da befana, perché lui è così, si veste
come gli va di vestirsi, è un vero trasformista.
Allora il pulcino si alza in volo, e
tutti rimaniamo di stucco per la velocità con la quale è partito.
Eccolo che torna con la stessa velocità
della partenza, e mi posa la candela in mano.
Siamo pronti per partire.
Sam alza la mano. Tutti ci giriamo a
guardarlo.
“Che c'è?” Domanda Letizia.
“Devo pisciare.”
Allora aspettiamo. Sam se ne va lontano
dalla nostra vista e torna contento, asciugandosi le mani ai fianchi
e compiacendosi per qualcosa.
Ci immergiamo coi vestiti addosso,
nuotiamo in modi strani, e arrivano dei pesci tutti colorati e anche
dei delfini spagnoli, che tra un ablas, un todos, un amigos, e un
vamos, ci invitano a seguirli.
Ci conducono nel mare più profondo, e
io mi sento tranquillo perché insieme a noi c'è la sirena dai
capelli rossi che mi guarda con un faccino pieno d'amore e mi sta
facendo innamorare. Sam mi bussa alla spalla e mi chiede, dopo aver
appreso un po' di spagnolo dai delfini: “donde vamos?” “Non lo
so caro Sam, forse andiamo per andare e basta, senza meta, non so
cosa ci aspetta”.
Nuotiamo per quasi due giorni senza
prendere neanche un respiro, nutrendoci solo di cozze, finché
arriviamo di fronte ad una grotta.
“Che si fa? Io sono stanco e ho fame,
e poi voglio tornarmene a casa dalla mia ragazza”, dice Francesco
che nel frattempo si è vestito da pirata, e ha trovato anche una
benda da mettersi su un occhio, e anche delle collane d'oro, di
quelle pesanti, che mentre nuota gli stavano a penzoloni verso il
basso.
“Io non entro”, esclama il pulcino,
un po' innervosito dall'assenza del suo vero nido, e dalla nostalgia
della chioccia e dei suoi fratelli.
“Andiamo noi”, dicono in coro le
farfalle.
Un fiume giallo si appresta a varcare
la soglia, ma la grotta si oppone al loro ingresso e parla: “stop!
Chi siete?”
“Siamo farfalle.”
“E dove volete andare?”
“Vogliamo entrare nella grotta,
nuotiamo da tanto e siamo stanchi, la sirena e i delfini ci ha
condotto fin qui, e qualcosa vorrà dire.”
“Se rispondete a questo indovinello
vi faccio entrare tutti”, dice la grotta con una voce catarrosa:
“Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?”
Così Letizia e Manuela cominciano a
ridere e a dire che la grotta è troppo stupida.
Ma la grotta se ne accorge e allora
propone un altro indovinello: “di che colore è il serpente verde
di Linda?”
Tutti facciamo finta di nulla: chi si
gratta la testa, chi non riesce a trattenesi dal ridere e allora
tossisce, Letizia si controlla lo smalto che non ha, io assumo il mio
atteggiamento di quando faccio finta di pensare e allora mi liscio la
barba, insomma, tutti ci sforziamo di fare i seri e di far finta di
pensare alla soluzione.
Il pulcino propone, furbescamente, di
avere due possibilità, data la difficoltà immane della questione.
“Sì”, risponde la grotta, “questa
è davvero difficile”.
E le farfalle si scompisciano dal
ridere, e Sam sembra che pianga da quanto ride.
“Verde!” esclama Francesco, stanco
di aspettare inutilmente, troppo affamato e assonato per perder
tempo.
Entriamo. La candela inizia
improvvisamente ad illuminare di viola e rosso.
Ci addentriamo, silenziosi e
sospettosi, e lungo il percorso ci sono teschi, scheletri, spade,
elmi e scritte inquietanti: perdete ogni speranza 'o voi che entrate;
abbandonate l'idea di poter rivedere i vostri cari; attenti alla
sirena etc..
Procediamo tremanti, con le farfalle
che gridano di voler scappare, il pulcino che piange, io che faccio
finta di nulla ma in realtà mi sto cagando addosso. Poi, da una
nuvola di fumo denso, appare una figura grandissima: il re della
grotta.
“Chi siete?” Ci domanda con una
voce grossa che faceva tremare tutto.
“Siamo noi, siamo qui perché ci ha
condotto la sirena”, rispondiamo in coro.
“Ben arrivati, io sono Tos, il re
Tos, padre di tutti i mari, protettore di tutti i pesci, reggitore
del mondo marino.”
Il re è grossissimo e ha sembianze
umane, il suo corpo è formato da tanti pesci, ha tra le mani due
spade, in testa un triregno del colore fosforescente degli
evidenziatori gialli, gli occhi tutti bianchi, la bocca storta e
senza denti, e non so come faccia ma sta fumando delle alghe
arrotolate e quel suo enorme sigaro fuma anche sotto l'acqua.
Guarda Sam. Gli sputa del fumo in
faccia e ci dice: “se me lo lasciate mangiare vi do tutto il tesoro
della grotta”, tutto questo mentre si lecca i baffi che non ha, e
l'acquolina gli esce dalla bocca anche se è tutto circondato d'acqua
e pare che non sia così.
Restiamo tutti un po' interdetti, non
perché siamo indecisi se farglielo mangiare o meno, ma per questa
cosa del tesoro.
“Lasciamoglielo mangiare, voglio
essere ricco e tornare a casa il prima possibile” dice Francesco ad
alta voce, mentre si abbottona una camicia da soldato austriaco
trovata nei paraggi.
Ma noi tutti ci opponiamo, anche se
questa novità del tesoro ci alletta un po' tutti.
Sam allora esclama: “mi sacrifico per
i miei amici, lasciate che mi mangi!”
Al che, il re gigante Tos, tra
cerchietti di fumo e arabeschi, lo prende tra le mani e se lo
avvicina alla bocca.
Francesca
e Manuela pensano già a come spendere i soldi del tesoro, fanno
mente locale di dove avevano visto quella borsa che gli piaceva
tanto, poi quella gonna celeste, e quel cappello larghissimo di lana
cotta. Ma è un'euforia che dura un istante.
Tutti siamo tristi e cominciamo a
piangere, e le nostre lacrime salate si confondono col mare, e sembra
che non stiamo piangendo, ma davvero lo si fa tutti, e i nostri occhi
sono rossi.
“È una trappola”, urla il pulcino
dalla mia testa, “dobbiamo scappare che non c'è nessun tesoro,
vuole mangiarci tutti, dovevamo dare attenzione alle scritte!”
Allora le farfalle guardano in cagnesco
la sirena che ci ha condotti nella tana del nemico, e la scacciano da
noi imprecandole contro parole in dialetto farfallesco.
Ma ormai è troppo tardi per tutto.
I piedi di Sam penzolano dalla bocca
del re Tos, che si avvicina a Francesco con aria minacciosa. Allora
le farfalle si dirigono verso Tos e gli lanciano addosso un liquido
appiccicoso che lo blocca all'instante, gli entrano nella bocca per
poi riuscire con Sam tutto mezzo morto sorretto dalle loro ali.
Lo portano fuori dalla grotta, e dopo
una respirazione bocca a bocca durata un'eternità eccolo che si
sveglia e chiede a tutti se davvero si è ripreso o se è morto e si
trova in paradiso.
La colla delle farfalle non può durare
a lungo. Io e Francesco cerchiamo di legarlo, Francesca gli pianta
una lancia che aveva raccolto da terra nell'occhio sinistro, e poi
anche una nel destro.
Mi accorgo che la candela che tengo in
mano non è solo una candela, infatti, stringendola forte e dicendo
“vaccabò” partono delle scariche di fulmini. Allora la stringo
forte tante volte e dico la parola magica rivolto verso il mostro. Le
scariche arrivano dirette sul suo corpo che cade a terra tutto
tremante, mentre alcuni pesci gli si staccano dalle membra e scappano
via e spariscono nel mare più profondo.
Ci sediamo stremati e pianifichiamo la
fuga. Francesco si è fatto delle strisce nere sotto gli occhi per
sembrare più cattivo, e ce le impone a tutti, per darci un tono da
guerrieri, come se ce ne fosse bisogno. Il pulcino sta accendendo un
fuoco, quando, dal fondo della grotta, sentiamo delle voci:
“Aiutateci vi prego, aiuto”.
“Andiamo via, chiccazzosenefrega”,
pensavo io mentre mi legavo le scarpe, ma Sam, che è un uomo di buon
cuore, ci convince tutti di andare a liberare le persone
intrappolate.
Controvoglia ci addentriamo nuovamente
nella grotta e ci troviamo davanti due persone troppo simpatiche,
Francesca e Renata, che da tanto tempo erano rinchiuse e stavano
diventando quasi dei pesci.
Partiamo tutti insieme, nuotiamo veloce
veloce, arriviamo a galla, respiriamo a pieni polmoni, e la luce del
sole ci dà un po' noia, ed ecco ancora quell'ombra fuggente che ci
passa accanto, e il vento ritorna a soffiare, e le onde a
sciaguattare.
Mi guardo attorno per vedere se ci
siamo tutti. Pare di sì. O forse no. Manca Sam.
Allora mi immergo con tutta la forza
che ho, e nuoto con tanta potenza che alcune tartarughe marine mi
guardano e poi si guardano tra sé e annuiscono con la testa, basite
dalla mia stratosferica velocità. Trovo Sam incastrato ad uno
scoglio e lo strattono forte, ma sento che sto perdendo tante
energie, e mi si stanno chiudendo gli occhi, il bisogno di dormire mi
assale, non posso resistere, non ce la faccio. Mi addormento.
Mi addormento abbracciato a Sam che già
dormiva russando e mugolando frasi in spagnolo.
Fine dei giochi. Eccoci qui
addormentati per sempre, abbracciati come due innamorati.
Ma all'improvviso sento una bocca sopra
la mia, e dell'aria m'infilava con forza nei polmoni. Mi sta passando
la voglia di dormire, allora apro un occhio, poi anche l'altro.
Questa bocca che ho sulla bocca non si
stacca, e questa lingua lecca la mia, e mi conta i denti e ci mette
passione.
Così mi stacco di dosso con una
gomitata la figura che mi ha salvato. “Non ho resistito”, dice la
sirena mentre lentamente si sta riavvicinando con la testa
inclinata. Non resisto e la bacio, anche se so che la nostra storia
non potrà funzionare, che ci ha tradito già una volta, che io ho le
gambe e lei una coda, una gran della coda ma è comunque una coda,
che se volessimo andare al cinema le servirebbe una vasca, e dovrei
trasferirmi al mare ma non mi va.
Così, dopo un bacio appassionato e
tante carezze, cominciamo a scastrare Sam, a dargli degli schiaffi
per farlo riprendere. Sam si riprende e ci abbraccia, e ci dice che
lo sapeva che qualcuno sarebbe tornato a prenderlo, che tutte le
persone hanno qualcosa di buono.
“Ma la sirena non era cattiva?” mi
domanda Sam, “è innamorata di me”, gli dico, e rimane basito,
perplesso, come se non riuscisse a spiegarselo.
Raggiungiamo la superficie, emergiamo
come balene sputando acqua.
Eccoci soli in mezzo al mare, c'è solo
un peschereccio in lontananza e degli squali che ci girano attorno.
Poi ci sentiamo tirare verso la barca, siamo tutti vicini e
abbracciati perché qualcosa ci tiene insieme. Siamo stati pescati da
una rete. Mi volto e vedo la sirena che ci sta dando dentro con
Francesco, allora Sam mi guarda sorridente, alzando le spalle,
dicendomi che non potevo farci niente se lei amava un po' tutti.
Il peschereccio ci ha definitivamente
alzati dal mare, e ce ne stiamo sospesi, mentre un marinaio strano
con un cappello da ciclista ci guarda e si arrotola una sigaretta di
alghe.
“E voi chi sareste?”
“La prego signor marinaio, con quei
bei capelli biondi lei non può essere cattivo, la prego ci faccia
scendere che le spieghiamo tutto”, balbettava il pulcino.
Il marinaio, lento come un bradipo, ci
fa cadere a terra. Dopo avergli raccontato la nostra storia, ci offre
qualcosa da mangiare. Dalla cambusa fa uscire di tutto, e apparecchia
come per Natale, coi bicchieri da vino e le candele. Mangiamo del
pesce fritto e della pasta con dei granchi vivi, una pasta scotta e
senza sale, e ce ne accorgiamo tutti, ma non diciamo nulla per
gentilezza.
La sirena, che nel frattempo si era
buttata in acqua per non crepare, con gli occhi sta facendo sesso col
marinaio, il quale, a detta mia, potrebbe essere il suo uomo ideale.
Si è fatto l'imbrunire.
Il marinaio ci riporta gentilmente alla
spiaggia, proprio nella spiaggia da cui eravamo partiti giorni prima.
Scendiamo tutti, chi camminando e chi volando, altri facendo finta di
fare i soldati, trascinandosi con gomiti.
Il peschereccio si dissolve in
lontananza con la sirena a seguito che fa piroette e salti da favola.
Mentre siamo distesi, dal mare sentiamo
strane voci che ci chiamano. Sono i delfini. Li osserviamo, adesso
parlano francese e ci dicono “bravi, bravi, bon, tres bien”, poi
dalle loro bocche escono dei fiori, fiori che si fanno piccolissimi
come granelli di sabbia e che ci vengono incontro, li respiriamo e ci
sentiamo felici. Siamo fecondi di felicità.
Improvvisamente se ne vanno tutti,
rimango solo con le farfalle ma poi fuggono anche loro.
E se ne va anche il rumore del mare e
il soffiare del vento, il sole si attenua, e mi ritrovo nuovamente
nella mia stanza buia, senza porte e finestre.
Allora ecco l'odore di sigaretta,
l'abbaiare dei cani, e apro gli occhi, inciampo in una buca, ed
eccoci alla ferrovia.
Il
tutto non ha senso, ma alle cose, il senso, alla fine lo diamo noi.
Al
di là di un senso sensato o di un senso sensibile, c'è un terzo
senso particolare, quello del mare.
Proprio come succede ad ognuno di noi,
figli del destino e dell'erranza, figli della destinerranza.
Come la musica pop, viva e vita, piena
di vita.
Le stagioni. Otto diviso due, quattro.
È naturalista. Egli ci parla di
naturismo. Naturista, nudista.
Movimento costante. Monolitico è il
morto. Va bene l'andamento lento.
Il sudore toglie aridità alla pelle.
Pregati il tuo dio.
Lui ha un dio.
Egli ha un dio tutto suo. Si è
inventato un suo dio! Egli prega solo il suo dio.
M'invita a farmi un dio tutto mio. Un
dio tutto mio!
Ora prega, e si ripete che deve essere
virtuoso.
Sforzati di essere virtuoso. Sforzati
di essere virtuoso.
Alle nostre umili esistenze non c'è
altra alternativa che il sudore, il mal di schiena per la troppa
vicinanza alla terra , bassa come il lavandino dove lavi i piatti, e
bassa è negli angoli la polvere che stavi cercando quella notte:
sposta il battiscopa in angolo, in bagno, v'è lì nascosta
l'alternativa illusoria a quella che per molti è già un'illusione.
M'illudo nell'illusione. Come sognare un sogno in cui sogni. Dimmi
quando, quando.
E sputa a terra l'ora tarda, e vattene
a letto che stai un po' meglio e ti sei ripreso. Non far l'errore di
andare a letto mentre t'illudi nell'illusione che non sia illusione.
Non ho capito se è insonne o meno. È
meno insonne solo la notte dopo che l'ha fatta in bianco.
È che il mondo è pieno di cose
inutili da fare.
Piacere di avervi conosciuti tutti, i
miei omaggi a voialtri, e perché Linda sogna la libertà? Va forse
ella cercando l'amore?
Di tutto questo chi se ne fa? Non credo
sia inutile, tra tutte le cose inutili che ho fatto, questa non lo è
affatto.
Sono qui presentati i quattro elementi
tipici delle nostre esistenze: la cosa, ovvero l'esperienza del
mondo, quella che i bravi chiamano empiria, ovvero ciò che abbiamo
di fronte ogni santo giorno.
Poi la memoria della cosa, il ricordo,
a tratti vivido ma talvolta distorto, ed entra qui in gioco
l'onirismo della memoria, il ricordarsi un pomo non più arancio ma
azzurro, che quella tale persona era mancina e invece e destrorsa.
E ora siamo di fronte al terzo
elemento: la fantasia. La fantasia è la massima espressione di
quello che fa il nostro cervello: affabula. Affabulando di continuo,
in realtà non sappiamo più ciò che è vero e ciò che non lo è.
Proiettiamo di continuo su ciò che ci presentano i senti un qualcosa
che alla purezza della cosa non appartiene.
Viviamo, in pace o meno con noi stessi,
con altro da ciò che c'è. Che, estremizzato, è come credere di
avere le ali e di poter buttarsi giù da un palazzo, e accorgesi ad
un secondo dal salto che quelle ali non funzionano, che quelle non
sono ali. Ed è un storia realmente accaduta, successe a Faenza
alcuni anni fa ad un tizio che credeva gli fossero spuntate le ali.
Ma la fantasia ci permette anche di
trasformare ciò che è ignoto e ci fa paura in un qualcosa di
familiare, di non estraneo o anormale.
Forse è stata davvero una proiezione
la sensazione che ho provato in una stanza parecchio tempo fa, ma non
avevo davanti dei disabili, quelli che sbavano, che sbattono la testa
al muro, che urlano ed ulano in un grande richiamo o imprecazione a
un qualche dio. E non li avevo neppure di fronte a me, non c'era tra
noi alcun tipo di distanza. Io ero lì con loro, tra loro, ero loro.
È caduta una sorta di maschera da uomo, uomo inteso come colui che
domina, che ammaestra, educa, impone un ordine da una posizione
privilegiata. Da sopra, mi son sentito dentro, son scivolato giù.
Forse ha smesso di funzionare la mia
macchina proiettiva, c'è stato un cortocircuito. In quella stanza ho
sentito solo energia: energia per respirare, energia per vivere.
La quarta dimensione della quale volevo
parlare è quella relativa all'ipotesi.
Perché sì, si fanno sempre delle
ipotesi su tutto. Così per dire, ipotizzo che l'energia e l'amore
che ho provato siano frutto del mio egoismo. Avevo davanti il
diverso, l'anormale, ciò che non sono. E questo mi ha fatto sentire
bene, osservavo dal mio corpo normale e al sicuro una tempesta, un
terremoto, una sorta di catastrofe mostruosa fatta di bava e
contorsioni, di urla.
Fermo, al sicuro, stabile, distaccato,
il tutto mi è sembrato sublime. Egoismo, sono un egoista.
Atteggiamento da saggio. Nevvero che
forse è così?
Ma non sono così, o penso di non
esserlo. Non riesco a stare fermo sulla riva ad osservare. La vita,
parlo in generale, fa sempre la chiama, come un arbitro prima di una
partita, e una volta che il tuo nome è stato fatto, sei dentro, sei
sulla nave in mezzo al mare. Si è tutti in mezzo al mare, si è
tutti in pericolo, siamo tutti anormali. Aver frequentato quei
ragazzi è stato per me una scommessa, forse la più alta. Siamo
tutti sulla stessa barca, è questo che mi sono detto mentre leggevo
loro una storia, mentre mi accarezzavano e una ragazza aveva la testa
incastrata sotto il mio collo, e mi accarezzava la barba, ed era
delicata, e l'ho amata, e un po' sono ancora innamorato.
Chiusa la possibilità di osservare il
tutto da distanza, ho capito che ci si salva soffrendo e sperando
insieme agli altri , considerandoli fratelli (Cristo santo, sono un
vero cristiano!).
Sono rimasto colpito dal fatto che le
opere che questi ragazzi hanno liberamente creato ruotavano attorno a
tre cose: il mare, l'amore e la felicità.
Il mare, a cui è dedicato il titolo di
questo scritto, ci mette davanti alla vita, è una metafora di
questa. Siamo tutti, ognuno a suo modo, vogando come ci riesce,
sospinti dalle onde e dalla corrente, in un enorme mare. E allora
proiettiamo e cerchiamo punti fermi, nauseati quanto basta, per aver
coscienza che tutto scricchiola, che non ci sono fondamenta, che
l'abisso è sotto di noi, attorno a noi.
E poi la felicità. Chi parla di
felicità con tanta leggerezza? Chi sa cos'è la felicità, chi
comprende la sua situazione, chi sa che è tutto mare. La felicità
non consiste nell'osservare da una zona franca l'altro che soffre e
affonda, ma nel partecipare in prima persona ai rischi della
navigazione. È forse questo un invito a gettarsi nella mischia? Sì,
altrimenti si spreca la vita. Si nuota, perché nuotare è bello, ed
è più bello se si nuota nel mare, coi i rischi che ciò comporta.
Nuota, balla, slaccia le funi che ti tengono in porto, muoviti. È
forse questo stato un invito? I saggi sono loro, quei ragazzi, che si
ritrovano in un centro che porta il loro nome singolare collettivo:
delfino.
E poi l'amore. Tutti parlavano d'amore,
e cristo benedetto lo si percepiva davvero l'amore. Cose che a me
mettono in difficoltà, come per esempio l'amore e la felicità, a
loro vengono naturali, ne comprendono il senso.
O magari non è così, parole come
amore e felicità vengono abusate, se ne sente parlare di continuo e
così, con l'ingenuità che li contraddistingue, loro le hanno fatte
proprie, forse ne abusano anche loro.
Insomma, questo mi andava di scrivere e
l'ho scritto, se ai perbenisti non va bene possono pure andare in
culo.
Ci tenevo a salutarti, dopo tanto tempo, sono contenta di trovarti qui. Un abbraccio grande!
RispondiEliminaSono molto felice di ritrovarti!!
RispondiEliminaper augurarti una buona Pasqua.
RispondiEliminaCiao, ho riaperto il mio blog con un nome leggermente diverso pietraeluce.blogspot.it. Se capiti da quelle parti vienimi a trovare.
RispondiEliminaCiao Bartel
Si legge tutto d'un fiato!
RispondiEliminaBentornato nella blogsfera.