Benemerito, Rino, la Bogdy e i cinesi

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Io sono come John Nash. Ma non sono un matematico, ho semplicemente le visioni. Tipo Bogdana, che è nell'altra stanza, ma non so se è reale o cosa. Bogdana vorrei fosse la mia puttana, ma non si lascia accarezzare neanche con una forchetta. Si rigira sempre come un cane con la rabbia. La rabbiosa Bogdana che vorrei fosse la mia puttana. Dai Bogdy, massaggiami un po' che ho un dolore strano. Ma non c'è nulla da fare, quel ghiacciolo non si scioglie. Abitiamo insieme da alcuni anni, i primi tempi la spiavo dal buco della serratura mentre si cambiava, ma adesso lo copre sempre con dei vestiti. L'astuta Bogdy. Vedova albanese, maggiorata, bionda ossigenata, credo in menopausa. Mi lascia solo in casa solo il giovedì pomeriggio e la domenica, che le badanti sono libere. Per il resto dei giorni stiamo sempre insieme, che da quando sono diventato pazzo e handicappato ho sempre bisogno di qualcuno tra i coglioni.


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Il mio nome è Benemerito Minchioni, trentasei anni, fisicamente prestante, impiegato a tempo indeterminato da Rino de Rais, Rino il boss. Di lavoro punisco le persone che non fanno quel che dice Rino, Rino de Rais.
Per scelta ho i capelli lunghi fino alle spalle, capelli ricci e un po' crespi, spesso unti. Il mio numero di carta d'identità è AS 1736673, per chi volesse denunciarmi, seduta stante. Poi magari vengo lì e t'inculo, seduta stante.
Al bar non c'è nessuno, e le slot sono rotte. Allora prendo l'autobus per andare a Firenze, per andare a giocare in quella sala slot aperta da poco. Un tipo seduto davanti a me mangia delle Pringles all'aglio, una donna si è appena fatta i capelli e puzza di lacca, quintali di lacca per tenere in piedi una struttura di capelli mostruosa sopra la sua testa. Dopo quattro curve mi viene da vomitare e scendo, l'autista guida come un cieco ubriaco. Torno a casa a piedi, prendendo a calci quello che trovo tra un passo e l'altro. Quando Rino non mi dà incarichi non so che cazzo fare. Arrivo a casa e mi butto sul divano. Poi faccio un cannone con questo fumo del cazzo che mi ha portato quel coglione di Josef. Paraffina pura. Quel bastardo andrebbe amputato. Prima o poi gli do una lezione.
Fuori c'è il sole, ma non ho voglia di portare Tormento a pisciare, è un cane troppo noioso, piscia sempre nei soliti posti. Lo lascio andare in terrazza.
Speriamo che Rino mi chiami, mi rompo. Che mal di testa questo fumaccio.
Accendo la tivù. Scorro canali. Tutti fanno da mangiare. Sblocco l'accesso ai canali porno. C'è un bel film con delle transessuali cinesi. Lo compro. Abbasso le tapparelle. Mi metto comodo. Proprio mentre Cindy la trans sta sfilando il suo bastone da un culetto spanatissimo e si prepara a inondarlo di crema, mi squilla il telefono. Rino de Rais. Lo lascio squillare un po' e mi godo Cindy che gode.
«Viale Kennedy 22, quelle puttane di quel chiosco di merda fanno le puttane, pensaci tu»
«Quello di legno?» Chiedo, ma Rino ha già attaccato.
Finisco di farmi una sega e sbrodolo nel posacenere, mentre me ne sto sul divano, disteso su un fianco. Poi fischio a Tormento che si alza subito sugli attenti. Mi asciugo le mani strusciandole alle pareti dell'ascensore e m'incammino verso il chiosco di quelle impunite.


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Bogdy, se accettiamo il fatto che esiste, mi lava ogni mattina, ma non fa caso alle mie erezioni. Io cerco di appoggiarglielo qua e là, ma lei non ci sta. La colazione me la porta a letto e mi dà quelle trenta o quaranta pasticche che mi servono per essere normale. Se essere sedati significa essere normale. Poi mi porta in salotto, mi mette alla televisione e come un ebete nella sua tuta acetata aspetto pranzo, sonnecchiando strafatto di roba.
Se solo tu potessi amarmi come ti amo io cara Bogdy, se solo tu potessi capire il mio amore.
Una volta le ho proposto dei soldi, ma mi ha dato uno schiaffo. Poi ha chiamato per me una prostituta il cui numero era nelle pagine finali del giornale degli annunci delle cose usate, ma ha voluto spiegarle i miei problemi e tutto. Guastafeste. Ovviamente non è venuta, ma ha detto che se le veniva in mente una qualche disperata disposta a tutto ce lo faceva sapere.
Che mi tocca fare per una scopata?


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Appena arrivo mi svuoto la vescica sulla porta d'ingresso sotto la tettoia di plastica, ne faccio un po' anche sullo zerbino e nel portaombrelli vuoto. Facciamo subito vedere chi comanda, facciamo vedere di chi è questo territorio. Il locale è semivuoto, c'è solo una donna che mangia e legge un libro. Mi avvicino e le domando come si mangia in questo posto. Dice che gli spaghetti non erano male, ora aspetta del pollo fritto. Dalla cucina esce una montagna di lardo stretto in un grembiule. Mi guarda con aria sospetta poi mi indica un tavolo apparecchiato per uno. Al che le dico: «siamo in due, aspetto un mio amico, aspetto Rino de Reis». Ha capito. Mi fa accomodare a un tavolino che tentenna, i tovaglioli sono di stoffa, i bicchieri non brillano. Certe cose mi fanno innervosire. Comprate del brillantante.
Il locale pare arredato da uno strabico, tutti i quadri sono storti, e nei quadri sono raffigurati paesaggi montani con colori fluorescenti. Chiedo un po' d'acqua per Tormento.
Poco dopo esce dalla porta un'altra figura fatta con lo stesso stampino. Mi guarda con disprezzo. Mentre beve un goccio di pepsi alla spina mi guarda e con lo sguardo mi dice che non è il caso di fare scemate. Io la gente la capisco dallo sguardo. È tipo un dono naturale che ho dalla nascita. Ovviamente Rino non arriva perché non deve arrivare. La signora che aspettava il pollo lo ha avuto, lo ha mangiato e adesso lo sta rutteggiando alla cassa mentre paga. La osservo mente mi scaccolo, poi appiccico la caccola filosa sotto al tavolo. Il locale è finalmente vuoto e le due balenottere si siedono al mio tavolo.
«Care donne, non vi pare di abusare del diritto che ha una persona di essere grassa? Lo dico per la vostra salute». Le due sembrano abituate alle offese pesanti, e tollerano questa, oggettivamente più sottile.
«Insomma, Rino è Rino, Rino ha sempre ragione, dovete sempre ascoltare quel che dice Rino, che poi altrimenti manda me e le cose diventano antipatiche per tutti». Davanti a me del grasso sorride da due bocche, poi mi dicono che non hanno paura di Rino, né di me col mio cagnolino. Mi hanno tediato a sufficienza. Dalla tasca dei pantaloni della tuta tiro fuori dello spray al peperoncino e glielo imbratto in faccia. Boccheggiano come carpe pescate e poi lasciate un po' fuori dall'acqua. Si strofinano gli occhi. Con la rapidità di cui solo io sono dotato mi tolgo dall'altra tasca dei pantaloni delle fascette da elettricista e dopo averle placcate a terra lego i loro polsi. Caccio dei tovaglioli nelle loro bocche per non sentirle gridare, e le trascino, una per volta che altrimenti mi viene un'ernia, in cucina. Mugolano qualcosa. Che bei colli grassi. Le avvolgo insieme con del nastro da pacchi.
«Insomma, ora dovrei punirvi come vuole Rino». Metto a scaldare un coltello sul gas come si fa quando c'è da dividere il fumo a modino. Quando è bello rovente glielo avvicino alla faccia e agli occhi, e le terrorizzo. E loro piangono. Poi non resisto e faccio usciere quelle loro tettone. Mio dio che bombe. Quattro tette impressionanti. Gliele palpo. Una di loro è eccitata, glielo leggo in faccia. Mi tiro fuori quella bordolese che ho tra le gambe e gliela striscio sulle tette. Poi tolgo il fazzoletto dalla bocca dell'eccitata e ci metto dentro l'arma letale. Mio dio che aspiratore, e come muove la lingua. Dopo due minuti le vengo in bocca.
«Insomma bamboline, la prossima volta finisce male. Fate come dice Rino che stiamo tutti più tranquilli». Prima di uscire ribalto qualche tavolo e spruzzo la sabbia dell'estintore un po' dappertutto. Tormento esce con un medaglione di salsiccia cruda attorno al collo.
Dopo qualche ora ecco Rino al telefono. Si congratula. Al solito posto ci sono i miei soldi.


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Quattro anni fa mio fratello mi ha portato a casa Bogdy e poi è sparito. Ogni mese passa lo stipendio a Bogdy e mi lascia qualche spicciolo per comprarmi vestiti e mangiare. Ma da quattro anni nessuno l'ha più rivisto. Capisci come tutti abbiamo molto di meglio da fare che assistere un malato? Meglio far arrivare manodopera a basso costo da fuori, meglio se non specializzata. E incompetente, e insensibile, come Bogdy. Cazzo Bogdy, non ti accorgi che sono un ometto? Non ti viene in mente che ho i miei bisogni da ometto? Bogdy ci sei? Io m'ammazzo. Dopo pranzo altre pasticche. Dopo pranzo altra dormita.


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Aspetto da più di due ore l'arrivo di Rino, qui alla stazione. Arrivano treni, scendono corpi con vestiti addosso, la stazione s'affolla per due minuti e poi la diaspora. E Rino non c'è mai.
Vado al bar e prendo un succo di mirtilli. Per soddisfare il mio egocentrismo fingo delle convulsioni mentre lascio scorrere del succo dai lati della bocca e ribalto gli occhi. La barista e qualche cliente mi assistono, c'è un cerchio di persone attorno a me. Poi mi riprendo all'improvviso e ringrazio tutti. Esco di nuovo ad aspettare Rino. Io e Tormento ci stiamo annoiano. Mi frugo in tasca e trovo dell'md. Me la pippo al volo e l'occhio sinistro mi lacrima. Poi Tormento inizia a fare il moralista come ogni volta che mi faccio di md. «Quelli come te non hanno valori, siete la feccia dell'umanità.»
«Valori? Ci sono valori in questo mondo? Nel mondo non ci sono valori, e se ci fossero non avrebbero valore. E non azzardarti più a parlarmi con quel tono che ti stritolo».
Poi il silenzio. I treni si trasformano in serpenti, la stazione nel quadro di un astrattista, le mie mani in polvere, Tormento in Rino.
Dopo otto ore sono ancora al solito posto e decido di tornare a casa.


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Arrivo a casa e provo a chiamare Rino, ma non risponde. Allora cerco altra md e vaffanculo a tutti. Tormento dice: «vita sprecata la tua». Lo chiudo in terrazza a prendere aria, a rinfrescarsi un po' il cervello. Dopo qualche ora di visioni un qualche dito preme il mio campanello.


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Bogdy, dopo pranzo, esce sempre in terrazza a fumare una sigaretta. Rientra al suono del campanello e va al citofono a capire chi sia. È l'infermiere delle pasticche, il mio spacciatore personale che mi rifornisce una volta a settimana. Mi fa un paio di domande ma ho la bocca impastata, la gola secca e non sono in grado di rispondere. «Mi sembra di vederti sempre meglio», mi dice il coglione con un sorrisino a ebete. Poi va in cucina con Bogdy, e chiudono la porta. Me la scopa, quel bastardo. E per che cazzo mi imbottite di tutta 'sta merda? Bastardi tutti, che cazzo ho fatto di male? Tutto questo perché quattro anni fa ho perso il controllo e ho spaccato un po' di cose a giro? Mi sembra di aver già pagato. Non sono caduto mentre scappavo e adesso sono in sedia a rotelle? Non lo sto pagando così il mio conto? Che cazzo ne sanno i dottori di me? Facile parlare e dire cose a caso come fanno sempre. Che cazzo vuol dire per voi disturbo bipolare? Che cazzo vuol dire schizofrenia?
E se così fosse la soluzione sono questi sedativi da cavalli? Siete contenti adesso? Adesso che il mio è un soliloquio ininterrotto?


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Il nuovo lavoro di Rino è un lavoro top. Di livello superiore. Nello stomaco di alcuni maiali provenienti da Benevento ci stanno tanto ovetti pieni di coca. Io vado al porcile, frugo tra la merda e glieli porto. Mi paga bene. Poi la rivendiamo ai cinesi. Non è un lavoro di merda, è un lavoro come un altro. Scendo giù a portare Tormento. Un calvo mi fissa. Che cazzo mi guardi che sei calvo? Mente torniamo su in ascensore, mi guardo allo specchio e noto che sono solo con la maglietta, con la bordolese a ciondoloni.


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Ho deciso, così non può andare, mi butto giù dal balcone, subito dopo aver preso le pillole, così che ho ancora un po' di forze. Giù di testa e fanculo a tutti.


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I cinesi ci ricevono nel loro ristorante in piazza Dalmazia. Ci apre una cinesina fichissima vestita tipo pinup. Quanto mi eccitano le cinesine tipo pinup. Sulle pareti del ristorante ci sono disegnate fantasie cinesi: draghi, carpe, geishe, laghetti.
Siamo vestiti bene, io mi sono messo il vestito di matrimonio di mio cugino, che non voleva prestarmelo ma poi ha ceduto. Rino si è anche depilato.
Ci fanno accomodare. «Hai portato tutti gli ovetti?» domando a Rino che mi dice sì con lo sguardo. Poi arrivano. Sono vestiti da cuochi, sono i due cuochi del ristorante. Vogliono assaggiare il prodotto. Rino prepara cinque strisce, una anche per la pinup. Ce le facciamo. Immagino già di farmi la cinesina sul bancone del bar, mentre le tengo le gambe in aria e mi dice di fare piano che è troppo grosso.
Poi uno dei due cinesi tira fuori una pistola da sotto il grembiule e spara un colpo dritto in faccia a Rino. Sangue e cervello dappertutto, anche sulla mia faccia. Inizio a correre per il ristorante mentre i colpi mi sfiorano. Poi imbocco l'uscita e corro verso il cinema. Sento i colpi e non mi volto. Mi sento mordere alla gamba sinistra e m'accascio. Un altro morso alla spalla, poi alla schiena. Il tutto nelle grida dei passanti. Riverso a faccia all'ingiù lecco l'asfalto che lentamente si fa rosso. Poi mi trascinano per le gambe, alzo gli occhi e vedo la scia rossa del mio sangue, e sono senza forze, e la vista s'annebbia. Alla mia sinistra i cartelloni dei film in programmazione: Suffragette, Fuocoammare e poi non leggo.
Incosciente, mi ritrovo in cucina e i cinesi mi ridono in faccia. I neon brillano e rendono le loro facce  ancora più gialle. Con un poco di voce riesco a sussurrare: «Tormento».
Un cinese prende la mannaia e mi dice che non tormenterò più nessuno. Vedo la lama che brilla sopra il mio volto e viene dritta e decisa sul mio collo.


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Eccomi, tutto è pronto. Sono appena stato lavato da Bogdy, ancora le pillole non hanno fatto effetto. Appena mi mette alla televisione spingo la carrozzella verso il terrazzo. Con tutta la forza che ho nelle braccia mi arrampico sulla ringhiera, agguanto prima una gamba e poi l'altra, ed eccomi pronto per volare. Volo. Eccomi che volo. Un volo in picchiata, giù verso un'illusione di libertà.

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