giovedì 19 ottobre 2017

Fiorellino

       



        Stamani eravamo in tanti, e tutti a darci supporto. Ma nel buio della nostra camera saremo soltanto noi tre, come lo siamo adesso. Ci basteremo, come ci bastiamo adesso, e ci guarderemo negli occhi, e ci vedremo in faccia, mentre un caminetto riscalderà il salotto e la sua luce darà forme strane alle ombre degli oggetti, i cui contorni si toccheranno poiché allungati oltremisura, sfigurati, costretti a mostrare una natura segreta.
Tu ci vedrai bene, lo so con certezza, come so con certezza il peso del pesce che prenderò lunedì 30 ottobre 2017, senza però sapere che pesce sarà o dove sarò a pescare. So con certezza il numero di mattoni con cui è costruita casa di mia nonna, e il numero di tegole sul tetto della casa di campagna della sorella dell'infermiera che stamani ha pianto con noi. Lo so e basta, come so di preciso l'ora in cui una Fiat Punto ci tamponerà, in autostrada, senza comunque sapere il giorno o l'anno. So il numero di panni che verranno cambiati al tavolo da biliardo del bar in cui gioca mio padre, il numero di sigarette che l'accendisigari della macchina della fidanzata di mio cugino accenderà tra aprile e settembre del 2019 e l'istante esatto in cui l'orologio da polso della cassiera della Conad si fermerà per sempre (mentre darà il resto ad una donna dai capelli appena tinti, dopo averle detto grazie). 
So delle cose a caso. Ho delle conoscenze extrasensoriali che non mi servono a nulla in questa vita, ma le ho. So che il tuo compagno di banco, il primo giorno di scuola, si chiamerà Lorenzo, e questi avrà un felpa rossa col cappuccio e alla quale è molto affezionato.
Definisco il mio dono “conoscenza di cose alla cazzo” (abbreviato spesso con la sigla CCC). Dono che ho sempre considerato inutile e che di fatto lo è sempre stato, ma in questo caso, però, questo dono mi riempie di gioia, poiché so con certezza che guarirai,
e che un giorno, quando leggerai questo scritto, riderai.
È una di quelle notti senza sonno.
Il suonare continuo di queste macchine mi è entrato in testa. Sembra d'essere in un casinò, ma a nessuno cadono monetine scintillanti: al triplo suono acuto e all'accensione della barra rossa si vincono tre infermiere pronte a risolvere un eventuale problema. E qui tutti vincono, di continuo.
Allora esco da questo reparto buio mentre voi dormite o fate finta, e resto accecato dalle luci dei corridoi puliti e luccicanti. I miei occhi devono adattarsi e si schiudono lentamente prima di aprirsi a modo e notare che il pavimento è appena stato lavato da un rotowash guasto, poiché a terra ci sono rette parallele fatte di strisce d'acqua sporca.
Una donna in camice rosa è in preda a una crisi isterica mentre prova a strappare una busta di nylon. Decide poi di utilizzare la bocca e, come un cane rabbioso dopo la presa, scossa la tesa fino a quando il contenuto della busta si riversa interamente a terra con l'effetto che è quello di un bicchiere d'acqua caduto in un piazzale in pietra battuto dal sole estivo: il pavimento si scurisce fino a bagnare i miei piedi. Sorrido alla donna delle pulizie. È indiana con la treccia ed il puntino rosso sulla fronte, la mia CCC mi dice che è in Italia dal 1989 e che il marito esporta prodotti italiani in India, a Bangalore e a Calcutta per la precisione, e che il figlio gestisce un internet point tra Vernio e Vaiano, in provincia di Prato, al civico 23. Ricambia il saluto alzando la testa senza però fare alcuna espressione facciale, e non dice neanche ciao, e non fa neanche un occhiolino di circostanza, e non muove la bocca.
Raccolgo da terra una goccia, mentre lei fa lo stesso per poi distribuire i diversi foglietti sulle sedie messe a semicerchio. È un'informativa riguardante lo screening neonatale. Parla di malattie congenite, di malattie congenite. Le malattie congenite. Penso alle malattie congenite e al fatto che fino a stamani non avevo mai pensato alle malattie congenite in vita mia. Le malattie congenite. Suona anche strano da pronunciare.
Eppure il mio piccolo fiorellino è nato con una di quelle, ed è su che dorme o fa finta, attaccata ad una macchina che suona, mente i suoi battiti e la sua pressione vengono monitorati da una slot che talvolta suona e s'illumina. Vederla con tutti quei fili e quei buchi addosso mi fa impressione. Piccolo fiorellino che ancora non ha sentito sulla pelle il calore del sole, che non ha ancora respirato l'odore del mare e della terra, che ancora non ha sperimentato l'amore; già a soffrire ancor prima di aver dichiarato una guerra, di essersi resa colpevole di qualcosa, di aver preso parte a un complotto, di aver insultato, rotto, picchiato, ucciso, deriso.

Esco finalmente all'esterno di questa struttura che sembra una serra: la guardo da lontano e con un po' di immaginazione le piccole sedie che durante il giorno consentono un'attesa confortevole ai bambini, nel deserto di questa notte in cui ho la smania e non ho sonno, sono rose del deserto, e davanti ho il Sahara, e vedo in lontananza un dromedario errante, uno scorpione col pungiglione rizzato e pronto ad attaccare, e seguo sulla sabbia il segno inconfondibile del passaggio di un serpente e lo vedo là, di fronte alla macchina del caffè (che in realtà è un cactus che si apre come una mano verso l’alto): eccolo il cobra che stavo cercando, anzi sono due e si attorcigliano stretti stretti fino a stritolarsi come lo stomaco di chi non ha mangiato e non ha fame, di chi dentro si sente bruciare, di chi ha bevuto ma sta ancora morendo di sete, di chi è sbronzo ma non riesce a vomitare.
Arrivo al parcheggio. Dall'alto di questa scalinata lo domino tutto. È vuoto come un parcheggio vuoto alle tre di notte. La mia macchina è lì al coniglio rosso, tra cane verde e pesciolino rosa, due sopra papera verde e tre sopra giraffa gialla. L'analfabetismo non viene dato per scontato, è che siamo in un ospedale pediatrico e questo serve per rendere la cosa un po' più simpatica, almeno succede questo al bambino che è in me.
In macchina cerco le sigarette che non trovo, visto che ho smesso, ma le cerco ugualmente.
Penso nuovamente a te, fiorellino, alla vista che non hai ma che lentamente riconquisterai. Lo so con certezza, come so con certezza tante altre cose. Vista come senso che per alcuni conduce alla conoscenza: la luce è davvero sinonimo di verità? È l'occhio a misurarla? Sono sicuro che non è così, lo sono sempre stato. Nego la luce e la vista ed esalto l'oscurità, l’accecamento e le tenebre, da cui scaturisce una conoscenza più radicale. A te, fiorellino, auguro il privilegio della veggenza: cieca alla luce, vedrai l'invisibile, il fondo oscuro da cui ogni cosa trae origine. Conoscerai le cose nella loro segreta verità, ascolterai ciò che hanno da dire, il loro appello segreto. Che la notte, in cui tutto fluttua senza contorni, dove gli oggetti smarriscono il loro stare, notte che anzi abolisce gli oggetti e delinea una spazialità senza cose, che ci avvolge e penetra attraverso i nostri sensi, soffoca i ricordi e cancella chi siamo, ti faccia cogliere la vera bellezza, quella libera, vaga, errabonda.
Torno in reparto dopo aver preso un po' d'aria. Se stamani la vita mi è apparsa come un accatastarsi di coiti interrotti, di felicità a metà lungo tortuose strade di campagna che da lontano sembrano uno di quei fogli i cui bordi sono stati abbruciacchiati per dargli un tono antico e vissuto tipo mappa del tesoro, infestate da insidie di tutti i tipi, adesso non è più così.

Eccoci qua, gettati in un presente che ci vuole vigili, e noi vigili saremo. Non ci tiriamo indietro: la mia CCC mi dice che tutto si risolverà. E non ridere.

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