Attilio pensa.
Una
candela, poggiata sul comodino, illuminava la stanza.
I
suppellettili proiettavano ombre contorte e sembravano sottolineare
la loro stanchezza, forse erano stanchi della polvere che li
ricopriva, o forse semplicemente della giornata trascorsa.
Scrocchiò
il collo e inarcò il dorso.
Attilio
Benelli, ventitreenne, moro, occhi verdi, capelli ricci, barba
incolta, ateo e fioraio di professione, si distese sul suo letto.
La
giornata trascorsa risultò piatta come le altre già vissute, senza
avvenimenti degni di nota, le stesse cose irrilevanti e poco
considerevoli di sempre.
Stesse
facce e stessi fiori.
Era
una tipica serata estiva, di quelle in cui si dorme volentieri con le
finestre aperte, quelle nottate in cui ci si lascia cullare dai suoni
di una natura instancabile, sempre sveglia, pronta a sfoggiare tutto
il suo repertorio canoro e a farci godere con il cantare dei suoi
animali notturni.
Distesa
al suo fianco, Irma, la sua ragazza, dormiva già.
Rannicchiata
in posizione fetale apparteneva ormai all'altra vita, quella dei
sogni e Attilio si domandava cosa stesse succedendo in quell'altra
sua vita.
Attilio
si era trattenuto in giardino a leggere uno di quei libri che a lui
piacevano tanto, di fantascienza, libri che ad Irma non piacevano
affatto.
Per
la precisione, era perduto sul pianeta Iduna con la famiglia Svenson.
Disteso
sul letto, Attilio restò a guardare le travi in legno sul soffitto
della stanza alla ricerca di qualche scorpione.
Irma,
russava beatamente.
La
casa in campagna di Attilio e Irma sembrava infestata dagli
scorpioni, non passava giorno che non ne uccidessero uno.
Se
ne stava lì, disteso e guardingo, pronto a raccogliere una ciabatta
da terra e sbatterla sul malcapitato animale che avrebbe opposto
resistenza semplicemente alzando il suo pungiglione.
La
stanza era apposto, animali al suo interno non ce n'erano.
Si
leccò due dita e le appoggiò sullo stoppino della candela e questa
frisse in segno di disappunto.
Il
buio della notte avvolse i corpi dei due fidanzati.
Attilio
chiuse gli occhi.
Gli
parve finalmente di spegnere la ragione e di lasciare il suo corpo.
Fluttuava
beato coi suoi pensieri irrazionali, pensieri tremendamente appaganti
che lo facevano sentire come una di quelle foglie secche e ingiallite
in autunno, quelle guidate da un vento misteriosamente
tiepido e familiare che pare guidarle proprio dove devono andare.
Alcuni
grilli cantavano, il vento muoveva le fronde degli alberi, alcuni
gatti miagolavano, un cane ululava in lontananza, delle rane
gracidavano, alcune cicale frinivano e un topo squittiva.
Nella
testa di Attilio, tutti questi suoni, si trasformarono in forme e
colori.
Strane
figure si scontravano l'una contro l'altra, si intrecciavano e
diventavano una sola cosa dai colori indefiniti.
Triangoli
viola, cerchi rossi, rombi verdi, esagoni blu cobalto, trapezi
bianchi, cubi, cilindri, piramidi, coni, sfere e tetraedri riempivano
la sua mente errante.
La
musica della natura.
Un
tripudio di colori e di forme.
Il
metallico frinire delle cicale si fece prepotente e sovrastava gli
altri suoni. Nella mente di Attilio un'unica figura di colore viola
sostituì tutto il resto: un cono.
Attilio
osservava quella figura, la scrutava, sforzava gli occhi per
guardarla meglio, allungava le braccia per toccarla.
Il
cono roteava su se stesso, sospeso nel nulla danzava ad un ritmo
lento ed incantevole.
Improvvisamente,
il cono restò immobile, fermo sulla sua larga base rotonda,
appoggiato su un piano immaginario.
Le
cicale frinivano potentemente.
Poi,
dalla punta del cono, iniziò ad uscire densa schiuma bianca che
scivolò elegantemente lungo i lati della figura fino a raggiungere
terra.
La
schiuma avvolse completamente il cono.
Da
bianca che era, la schiuma divenne gialla, poi grigia e poi nera.
La
nera schiuma iniziò a sciogliersi come un gelato al sole e divenne
liquida.
Molle
tutt'intorno, petrolio che come neve dopo una giornata di sole e
pioggia sembrava alla ricerca di un fosso per defluire.
Il
cono era scomparso, corroso da quella strana bambagia dal colore
della pece.
Attilio,
allora, poggiò la sua mano destra sul piano immaginario dove fino a
pochi istanti prima c'era il cono.
La
sua mano, nel vuoto della stanza, sembrò bagnarsi.
Improvviso
silenzio, improvviso vuoto nella sua mente, né una forma né un
colore.
Poi,
alcune cicale iniziarono nuovamente a frinire.
Attilio
attese un nuovo cono.
Iniziò
a domandarsi cosa fosse quel cono, che significato avesse, che cosa
volesse dirgli la natura mostrandogli un cono corroso e poi
cancellato dalla bambagia.
Ecco
poi un nuovo cono, fluttua e poi si ferma al contrario di come s'era
fermato la prima volta.
Adesso,
ha la punta verso il basso e la bocca spalancata verso l'alto, sembra
uno di quei funghi di montagna, una Gallinella.
Sembra
avvolto dalla nebbia.
Come
la polvere su certe spugne, il cono venne ammantato da dante palline
che lo ricoprirono fino a ricoprirlo tutto.
Poi
le palline esplosero come fossero palloncini pieni d'acqua.
Il
cono scomparve.
Il
ragazzo rimase sbalordito. Era stordito da ciò che aveva osservato.
Iniziò
a fare supposizioni su ciò che aveva appena veduto. La vita? L'uomo?
Se stesso?
La
sua storia d'amore? Il suo lavoro?
Domande
gli riempivano la testa, voleva capire, riflettere su ciò che la
natura gli aveva comunicato in un linguaggio che Attilio ancora non
comprendeva.
Riecco
il metallico frinire delle cicale ed un nuovo cono.
Lo
guardò, istintivamente decise che il cono fosse la rappresentazione
di un uomo.
Il
cono-uomo restò immobile, poggiato sulla sua base. Attilio
s'immaginò che la base rappresentasse i cardini immateriali su cui
si sviluppa la vita di un uomo, la sensazione di esistere, i suoi
preconcetti e poi tutto quello che un uomo percepisce coi sensi, al
centro il suo sapere, le sue esperienze, la sua religione.
Sulla
punta del cono, volle vederci le aspirazioni di ogni uomo.
Poi
un vento potentissimo spazzò via il cono, un vento che sembrò
plasmare il volto di Attilio.
Attilio
sentì in lontananza un gomitata su di un fianco: stava urlando ma
non se ne accorgeva, Irma gli stava dicendo di svegliarsi.
Attilio
si svegliò bruscamente, non sapeva dove fosse, ciò che aveva veduto
in sogno lo aveva scioccato.
-Tutto
bene?
Chiese
Irma assonnata.
-Sì,
ho fatto solo un brutto sogno.
Rispose
Attilio col cuore che gli batteva.
Poi
si addormentò nuovamente.
É
un uomo?
Sì,
per Attilio, quel cono è un uomo.
Un
uomo, un essere umano come tu che stai leggendo.
Pensò
che qualunque sia la posizione di un uomo, qualunque siano le sue
aspirazioni, la sua cultura e il suo modo di vivere, le sue
sensazioni, noi uomini siamo destinati ad andarcene e a non lasciare
traccia di noi.
La
mattina seguente, Attilio non andò a lavorare giustificandosi che
aveva vomitato per tutta la notte. Quella mattina prese foglio e
penna e decise di mettersi a scrivere racconti e lo fece con
l'intenzione di lasciare traccia di sé in questo mondo e di non
andarsene come un cono qualunque.
Pensò
che scrivere, in qualche modo, potesse renderlo immortale.
Scritto nel 2009.
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