domenica 14 aprile 2019

Le Octo quaestiones de potestate papae di Guglielmo di Ockham: spunti per un confronto con Marsilio da Padova. Di Andrea Tagliaferri


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«Chi non può camminare eretto, infatti, si sforza di andar carponi, e chi non può colpire con le mani, s'impegna a mordere».
Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.11. p. 147


Introduzione
Le Octo quaestiones de potestate papae sono uno degli scritti in cui Guglielmo di Ockham esprime il suo pensiero politico nella maniera più compiuta e matura. Scritta fra il 1339 e il 1349, l'opera consiste nella discussione di otto questioni relative al rapporto fra potere temporale e potere spirituale. Questo testo venne composto su commissione dell'imperatore Ludovico il Bavaro,1il quale in quest'opera viene definito una persona «degna di venerazione»,2ed è presentato come l'unico in grado di porre fine agli scontri che da anni contrapponevano il papato avignonese e l'imperatore.
Se ripercorriamo brevemente la biografia di Ockham, emerge con chiarezza per quale motivo egli si sia schierato dalla parte dell'imperatore, all'interno del conflitto fra potere spirituale e potere temporale: infatti nel 1324 Ockham era stato accusato di eresia dall'allora papa Giovanni XXII3per alcuni articoli dottrinali del Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, opera da lui composta attorno al 1320,4ed era stato rinchiuso nel convento francescano in attesa di processo. Tale processo, però, non ebbe mai luogo: infatti nel 1328 Ockham fuggì da Avignone e, accolto al seguito di Ludovico il Bavaro, ne divenne il consigliere; da questo momento in poi, egli si dedicherà principalmente alla trattatistica politica scrivendo il Dialogo (la cui stesura lo impegnò fino al 1342), il Breve discorso sul governo tirannico (1342) e Sul potere degli imperatori e dei pontefici (1347).
Nel 1330 Ockham, sempre al seguito dell'imperatore è a Monaco, e lì conobbe Marsilio da Padova,5anch'egli alla corte imperiale in qualità di medico: proprio come Ockham, infatti, Marsilio era stato costretto a lasciare l'insegnamento (era stato nominato rettore alla Sorbona nel 1313) poiché il suo scritto Defensor Pacis, pubblicato nel 1324, era stato giudicato eretico.
Marsilio, pensatore laico, fermo sostenitore della divisione dei poteri tra Stato e Chiesa, collaborò in varie occasioni con Ockham ma le idee di entrambi, pur presentando delle innegabili affinità, presentano delle differenze piuttosto significative che nel presente scritto tenteremo di mettere in luce. 
Ockham, scomunicato, perseguitato dal potere pontificio ed esiliato, si presenta come intellettuale riformista, che vuol restaurare nella Chiesa lo spirito del Cristianesimo primitivo, denunciando le pretese assolutistiche del papato, lo sfarzo di Avignone, e l'eresia di un papa che non agisce in modo conforme al Vangelo. Lo scopo principale delle sue opere politiche è quello di confutare la dottrina delle “due spade”, secondo cui sia il potere spirituale che quello temporale provengono da Dio e pertanto l'imperatore, in quanto membro della Chiesa, doveva essere sottomesso al potere ecclesiastico, l'unico in grado di procurare la salvezza e di amministrare i sacramenti. Ockham considera tale teoria eretica, sebbene difenda l'autonomia della Chiesa in ambito religioso e ne giustifica, in caso di necessità, l'intervento anche in ambito civile.6
Gli argomenti affrontati nelle Octo questiones sono numerosi: infatti Ockham discute di quale sia il regime politico migliore, dell'origine del potere, della natura del potere papale (da lui inteso come potere di servizio e non di dominio, e quindi non assoluto né in ambito religioso né in ambito politico), della legge evangelica e del diritto che il popolo ha di rovesciare un governo tirannico.

1.Questione di metodo

Nelle prime pagine delle Octo questiones viene descritto il metodo seguito durante la composizione dell'opera. Ockham si propone, per prima cosa, di passare in rassegna le varie opinioni contrastanti, sia quelle che condivide sia quelle che respinge, al fine di restituire in modo sistematico e, soprattutto, imparziale lo status quaestionis dell'argomento di volta in volta affrontato. Per poter essere pienamente oggettivo, Ockham dichiara che talvolta dovrà sviluppare delle argomentazioni piuttosto sottili, veri e propri sofismi, al fine di mostrare le varie implicazioni a cui conducono le diverse ipotesi. Si legge infatti:
    «Prenderò in esame le opinioni contrastanti, non solo quelle che avverso ma anche quelle che condivido, senza lasciar tuttavia mai trasparire la mia convinzione; e talvolta, avanzando scientemente argomentazioni sofistiche per tentare di giustificare le diverse opinioni, mi metterò nei panni altrui affinché, una volta comprese le argomentazioni addotte a sostegno di entrambe le parti, l'amante sincero della verità abbia l'opportunità di discernere il vero dal falso con l'acume della pura ragione».7
La discussione, anche minuziosa, delle diverse ipotesi ha una finalità ben precisa: essa, infatti, permette di raggiungere più agevolmente la verità, poiché maggiore è il numero di quanti si dedicano alla ricerca, maggiori sono le probabilità di trovare il vero. A questo proposito, Ockham infatti afferma:
«Infatti, la ricerca, la contrapposizione, la discussione e l'analisi, e l'esposizione delle diverse argomentazioni e delle risposte consentono una migliore ricerca della verità; e ciò che è ricercato da molti, è trovato più facilmente».8
Dopo aver esposto sinteticamente quali siano i capisaldi del metodo di ricerca seguito da Ockham, passiamo adesso ad analizzare sinteticamente le teorie formulate nelle Octo quaestiones.

2. I due poteri

Nella prima quaestio, Ockham si chiede se i due poteri siano oggettivamente distinti e se possano essere legittimamente esercitati dalla stessa persona.
Alcuni sostengono che i due poteri si distinguono per opposizione, e che siano così diversi da non poter essere detenuti da una sola persona, proprio come «non è possibile ammettere che uno stesso uomo abbia due teste per corpi diversi».9In altre parole, l'imperatore e il sommo pontefice sono i capi di due organismi (quello dei chierici e quello dei laici), che sono diversi e pertanto devono essere tenuti separati. Il motivo di tale diversità è dato dal tipo di potere che questi organismi esercitano: il potere laico, infatti, comprende costitutivamente il dominio, e ciò fa dell'imperatore il padrone del mondo, mentre il potere spirituale lo esclude, come viene dimostrato a partire da una citazione di San Pietro.10
L'opinione opposta è quella secondo la quale entrambi i poteri possono essere detenuti dalla medesima persona, cioè il papa; tale posizione venne sostenuta nel De regimine Christiano da Giacomo da Viterbo,11il quale afferma che il potere laicale e il potere spirituale non sono due diverse forme di autorità, bensì articolazioni di un unico e perfetto potere regio, e che i sovrani temporali ne detengono solo una parte, quella laicale appunto, mentre ai sovrani spirituali spetta l'esercizio di entrambe. La stessa opinione fu ribadita in seguito anche da Innocenzo III12e da Innocenzo IV,13ma è con Tolomeo da Lucca14che viene riformulata in maniera innovativa: quest'ultimo infatti riprende dal De anima di Aristotele la teoria secondo cui il corpo è strumento dell'anima, per dimostrare sia la superiorità della sfera spirituale su quella temporale, del papa sull'imperatore, sia l'idea che il potere secolare sia strumento di quello spirituale.15

Ockham risponde a questa argomentazione scrivendo che sì, l'anima è più nobile del corpo, le cose spirituali hanno una maggiore dignità di quelle temporali, che l'anima governa il corpo in molte cose, ma:

«Come l'anima razionale non ha completo potere sul corpo, giacché il corpo compie moltissime operazioni che sfuggono al potere dell'anima razionale, così che il potere sulle cose spirituali non ha completo potere sulle temporali. Pertanto al papa, che ha il supremo potere nelle cose spirituali, non spetta né deve spettare il supremo potere laicale».16

Secondo Ockham, è comunque possibile conciliare le due posizioni avverse, ossia quella secondo cui il potere spirituale e quello temporale devono essere tenuti distinti e quella che invece li considera entrambi come articolazioni diverse della medesima autorità: egli ritiene infatti che il potere temporale può trovarsi nelle mani del papa, il quale però non può esercitarlo regolarmente, ma solo occasionalmente. Ockham sottolinea questo aspetto ricordando che Cristo stesso ha proibito agli apostoli di esercitare il potere secolare,17e rafforza la sua argomentazione citando una serie di passi tratti dai Vangeli.
Ockham ritorna a parlare del modo in cui Cristo si relazionava al potere politico nel VI capitolo, in cui sottolinea come la legge evangelica, a differenza di quella mosaica, è legge di Libertà, ma se al papa venisse conferito un potere assoluto e totale si creerebbe una situazione di servitù fra i fedeli ben più marcata di quella caratteristica della legge mosaica. Alla pienezza di poteri rinunciò Cristo stesso, come attesta la celebre frase riportata da Giovanni «il mio regno non è di questo mondo»,18e per questo motivo il papa, in quanto vicario di Cristo, non può detenere sulle faccende temporali un'autorità maggiore di quella di Cristo stesso. Cristo non ha conferito a Pietro alcuna plenitudo potestatis in quanto essa sarebbe un rischio sia per il papa stesso, che in tal modo diverrebbe troppo superbo, sia per i sudditi, che non potrebbero sopportare gli oneri gravosi che il papa imporrebbe loro per diritto. Il potere che Cristo ha dato a Pietro è di tutt'altra natura:
«Cristo lasciò intendere con le parole e con i fatti che il suo vicario, in virtù dell'autorità concessagli da lui stesso, non avrebbe dovuto esercitare tale potere se non in caso di necessità […] il vicario di Cristo, non può, di norma, esercitare un tale potere [scil: temporale] benché possa esercitarlo in casi particolari».19

Ockham confuta quanti sostengono che già nella Bibbia si parli della necessità di attribuire al papa un potere assoluto sulla base di alcune affermazioni del profeta Geremia, il quale sembra sostenere che l'autorità religiosa sia stata posta da Dio al di sopra dei popoli e dei regni; Ockham avverte che, interpretando in senso teocratico le parole di Geremia, si commette una vera e propria eresia, e spiega come in realtà il papa può rivestire certamente il potere temporale, ma solo occasionalmente perché, altrimenti, sarebbe di ostacolo a principi e re nel loro legittimo esercizio di potere.20In risposta a Innocenzo IV, il quale invece nega che possa esserci alcun potere legittimo al di fuori di quello ecclesiastico, Ockham adduce una serie di esempi storici tesi a dimostrare come l'autorità temporale sia stata rivestita in maniera del tutto lecita anche da sovrani infedeli come, ad esempio, Azael di Siria o l'imperatore pagano Tiberio, e inoltre ricorda come anche Cristo abbia posto la separazione fra potere politico e potere spirituale dicendo ai discepoli: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare». Quindi Ockham nega come la dottrina ierocratica non abbia alcun reale fondamento nelle Sacre Scritture, mentre sia i fatti storici che alcuni passi tratti dai Vangeli dimostrano come sovrani e imperatori siano da sempre i legittimi detentori dell'autorità politica.
Oltre a Geremia, anche San Paolo avrebbe affermato, secondo alcuni, che al papa spettino pieni poteri: nella Prima lettera ai Corinzi si legge infatti: «Non sapete che giudicheremo persino gli angeli? Quanto più giudicheremo le cose secolari?».21Ancora una volta, però, Ockham sostiene che chi legge questo passo come una giustificazione delle pretese temporali del pontefice in realtà non ne ha compreso il vero significato, poiché San Paolo fa riferimento non al papa o agli uomini di Chiesa in generale, bensì all'insieme dei fedeli, laici e chierici, tra cui devono essere selezionati i giudici per ciò che riguarda l'ambito secolare; a questo proposito Ockham precisa che i più idonei a giudicare sono i laici, e solo qualora nessuno di loro sia in grado di svolgere tale mansione si deve ricorrere ai chierici. Pertanto, il pontefice non è un giudice legittimo e, di conseguenza, nemmeno il processo indetto da Giovanni XXII contro Ludovico di Baviera è da considerarsi legittimo in quanto indetto da un eretico e basato su un errore dottrinale.
In altre parole, Ockham sostiene che il potere giuridico spetti ai laici; qualora però non vi sia nessuno in grado di esercitarlo:

«Il papa può intromettersi in giudizi del genere, allo stesso modo in cui un arto del corpo assume, se può, la funzione di un altro arto, qualora quest'ultimo sia indebolito o non possa svolgere la sua funzione. Chi non può camminare eretto, infatti, si sforza di andar carponi, e chi non può colpire con le mani, s'impegna a mordere».22

Riprendendo la metafora del corpo politico, in cui lo Stato è rappresentato come un organismo vivente, Ockham ammette la possibilità che il pontefice intervenga in questioni temporali, ma riconduce tale eventualità a un difetto, a una menomazione, nell'assetto politico e giuridico di un Paese.
La stessa posizione ribadita anche nella VIII quaestio:

«Egli [scil: il papa], non deve regolarmente intromettersi negli affari terreni […] anche se casualmente, mancando tutti gli altri, potrebbe occuparsi di affari si tal genere, cioè quando lo richiede espressamente uno stato di impellente necessità o di manifesta utilità. Come nel corpo naturale un membro, se in qualche modo è in grado di farlo, interviene a supplire il difetto di un altro membro - infatti, chi non può camminare, s'arrampica ovvero si trascina come può; e il monco prende con la bocca da terra o da un altro luogo, come può, il cibo che gli è necessario e, non potendo tagliare il suo pane col coltello, se può lo strappa a morsi – così nel corpo mistico e in una corporazione o in una comunità, se uno non è in grado di fare una cosa, un altro, se ne ha per natura la capacità, supplisce all'incapacità di quello. Infatti, se non ci sono soldati, i contadini combattono per la patria; e se mancano gli uomini, sono le donne, se sono in grado di farlo, a difendere la patria e se stesse. Allo stesso modo, se vengono a mancare i laici, il papa e gli ecclesiastici devono immischiarsi negli affari secolari che sono necessari alla repubblica; ma da questi affari devono tenersi lontani, quando, come conviene, ci sono i laici a potersi espletare».23

Su questo punto Ockham dissente da Marsilio da Padova, che infatti viene così criticato:

«Da queste e da molte altre parole del beato Bernardo24, così come dall'autorità del Nuovo Testamento e dalle affermazioni dei santi, alcuni traggono la conclusione che è del tutto sbagliato affermare che il papa, grazie all'ordinazione di Cristo, possiede regolarmente entrambe le spade e che ha la pienezza dei poteri tanto nelle cose temporali che in quelle spirituali, di modo che possa tutto ciò che non è contrario alla legge naturale e al diritto divino, il quale obbliga tutti coloro che seguono la retta fede. Alcuni di questi [si riferisce a Marsilio] si sforzano di concludere, da queste parole, che il papa non riceve affatto alcun potere coattivo, dall'ordinazione di Cristo».25

Ockham infatti nega che al papa spettino «le due spade», e in risposta a chi sostiene tale idea afferma che l'autorità spirituale è suprema in quanto discende da Cristo, ma non è coattiva giacché solo occasionalmente amministra le questioni temporali:

«Altri [fra cui egli stesso], invece, non concordano su ciò, ma, in base alle scritture divine, agli scritti originali dei santi e ai sacri canoni, credono di poter dimostrativamente concludere che il papa, in virtù dell'ordinazione di Cristo, ha il potere supremo, istituito soprattutto per l'utilità e il vantaggio dei sudditi, fatti salvi e i diritti e le libertà altrui, cose che non contraddicono la fede e i buoni costumi, e che non intaccano il bene comune; pertanto, ottiene il potere coattivo fatti salvi i diritti e le libertà altrui. L'apostolico potere sommo, istituito da Cristo, supera i sommi poteri mondani in due cose: in primo luogo, giacché amministra le cose spirituali, non quelle temporali, se non occasionalmente e in uno stato di necessità; in secondo luogo, giacché l'apostolico principato istituito da Cristo (potere istituito per l'utilità e il vantaggio dei sudditi) non ha niente a che vedere col principato dispotico (questo principato non è l'ottimo e, pertanto, non va assolutamente confuso con l'apostolico principato), cioè col potere di dominazione, che, con un termine preso dalla lingua greca, si chiama «dispotismo». Secondo quelli, proprio questo volle dire Bernardo, quando affermò come sopra è stato riportato, che «questo è il modello apostolico; è interdetto il dominio, è imposto il servizio»; e quando affermò: «Siamo consci che ci è stato imposto un servizio e che non ci è stato dato il dominio».26

Nella nuova legge, quella introdotta da Cristo, l'autorità pontificia non deve essere anteposta alla dignità regale (come invece avveniva nella legge vecchia, cioè quella mosaica): coerentemente con lo spirito francescano, Ockham intende la nuova legge in senso spirituale, e quindi come totalmente separata dagli affari terreni, e chi ritiene il contrario viene considerato eretico. 
Dal punto di vista morale, la Chiesa dovrebbe seguire alcune indicazioni contenute nell'Antico Testamento per risolvere alcune questioni quali la legittimità delle circoncisioni, l'ingerenza di sacerdoti e pontefici nelle faccende di guerra e la loro facoltà di condannare a morte; l'amministrazione dei poteri politico e giuridico, invece, deve essere affidata ai laici.
Secondo alcuni ad attribuire la supremazia in ambito temporale al pontefice sarebbe stato proprio un imperatore romano cristiano, cioè Giustiniano, nelle leggi da lui promulgate; Ockham però sostiene che alla base di tale idea vi è una profonda ignoranza circa il contenuto stesso delle leggi, le quali conferiscono all'imperatore la supremazia su papa e chierici e la piena giurisdizione sia sulle loro persone, sia sui loro beni, tanto che egli stabilì come debba essere l'imperatore a decidere se le donazioni siano lecite o meno, dove debbano essere conservati gli oggetti di culto, quali chierici debbano essere essere ordinati e quali puniti e se essi possano convivere con delle donne:

«Spetta al superiore stabilire quali donazioni siano lecite o meno, ordinare e punire i chierici, stabilire quali donne possono tenere con sé, stabilire dove si devono conservare la santa croce e le reliquie dei martiri».27
Ponendo tali condizioni, Giustiniano mostra chiaramente di arrogarsi la supremazia sul potere ecclesiastico, e non di subordinare l'autorità temporale a quella spirituale.

3. Il papa è al di sopra delle leggi positive?

Ockham passa ad analizzare quale tipo di rapporto sussista fra le leggi positive e il potere spirituale o, in altre parole, se il papa sia subordinato o meno alle leggi degli Stati. In generale, Ockham sostiene che il pontefice non sia immune a tutte le leggi positive tout-court, ma solo a quelle promulgate dai suoi pari, ossia gli altri pontefici:

«[scil., il papa] sia sciolto da qualunque legge meramente positiva istituita da altri sommi pontefici; infatti, nessuna legge papale può vincolarlo, non essendoci, tra uguali, chi comanda».28
Inoltre, il papa deve rispettare le leggi che tutelano i diritti personali e le altrui libertà, quale che sia l'organo le promulghi. 
Dal canto loro, i laici non sono tenuti ad obbedire al papa in tutto, ma solo in ciò che riguarda il bene della comunità dei fedeli e ne tuteli i diritti e le libertà. I fedeli inoltre possono opporre resistenza al pontefice (pur rispettando i vincoli posti a ciascuno dal suo status sociale), qualora egli commetta un errore:
«I fedeli [...] sono tenuti a resistergli, secondo il luogo e il tempo, secondo tutte le altre circostanze, debitamente valutate, e per quanto è lecito a ciascuno secondo il suo grado e il suo stato sociale.»29

Secondo Ockham, il papa è tenuto a sottostare al giudizio umano in alcuni casi, in primis se è eretico, visto che nessun eretico, anche se eletto papa, ha il diritto di far parte del corpo della chiesa. Stabilire se un pontefice sia eretico o meno, se si sia arrogato impropriamente beni e diritti altrui e, eventualmente, sottoporlo a processo sono compiti che spettano ai vescovi, ma se essi non vogliono o non possono farlo, tali mansioni possono essere svolte dall'imperatore. Qualora il papa debba essere giudicato, il processo deve avvenire alla presenza dei Romani, di cui egli è vescovo, e tutti coloro che in qualche modo si sono sentiti oltraggiati da lui possono accusarlo:
«Infatti, coloro che sono oppressi o temono d'esserlo possono fare appello contro di lui in tutti i casi in cui può essere accusato, essendo l'appello una garanzia per gli oppressi».30
Una papa considerato eretico per Ockham non ha alcun potere, nemmeno quello ecclesiastico, e pertanto tutti i fedeli non sono tenuti a rispettare le regole e le leggi da lui stabilite. Il suo obiettivo è quello di tutelare la Chiesa stessa, che non si identifica né con il pontefice né con la congregazione dei chierici ma, piuttosto, con la comunità dei fedeli, di cui fanno parte chierici e laici, uomini e donne.31

4. Le origini del potere imperiale

Ockham confuta la tesi secondo cui il potere laico non discende direttamente da Dio, ma è ricevuto da Dio attraverso la mediazione del potere spirituale; tale idea venne sostenuta da Tolomeo da Lucca, il quale argomentava che l'autorità imperiale deriva da colui che detiene entrambi i poteri, entrambe le spade, ossia il papa, il quale giudica, unge, consacra e incorona l'imperatore. 
Per Ockham, il papa non deve né occuparsi delle cose temporali né tantomeno privare re e principi dei loro domini, a meno che non ci sia una colpa o un motivo evidente che lo spinga a intervenire per il bene comune. Il potere imperiale infatti non deriva dal papa, ma direttamente da Dio tramite gli uomini che si percepivano come eguali ma che affidarono la gestione della cosa pubblica ad una sola persona, ritenendo che questa fosse la decisione migliore per il bene comune.32Ed è proprio il fatto di perseguire l'interesse comune che permette di distinguere fra il governo regio legittimo, quello tirannico e quello dispotico:

«Il supremo potere laicale è il principato regio come forma perfettissima dello stesso principato. La forma perfettissima del principato regio, che si distingue molto decisamente tanto dal principato tirannico quanto da quello dispotico, ha la peculiarità, tra le altre, di essere istituito per il bene comune dei sudditi e non per il bene privato del principe».33

Le risorse dell'impero sono affidate all'imperatore per il bene comune dei sudditi, e quindi devono essere impiegate per la pubblica utilità. Ockham sostiene che il potere secolare dovrebbe essere autosufficiente ed avere sovrabbondanza di beni; tale posizione è analoga a quella diMarsilio, che nella seconda dictio del Defensor fa della povertà francescana il criterio di separazione tra la funzione pastorale e quella politica (la Chiesa deve essere povera, mentre i governanti devono essere ricchi per poter imporre la giustizia).
Ockham afferma inoltre che l'imperatore è superiore al papa, ma non lo è sempre rispetto al popolo, infatti: 

«Il re […] normalmente è superiore a tutto il popolo del suo regno, ma in un caso è inferiore ad esso, giacché il popolo del regno, in caso di necessità, può deporlo ed incarcerarlo. Ciò è per diritto naturale, dal quale discende che è lecito respingere la violenza con la violenza».34

La deposizione dell'imperatore pertanto non spetta al papa, ma ai Romani, i quali possono porre fine al suo incarico se egli danneggia l'impero mandandolo in rovina e mettendolo in pericolo, o tenta di trasformarlo in una tirannide. Ockham ammette che sia il papa a deporre l'imperatore solo nel caso in cui sia il popolo stesso ad affidargli tale compito; se non vi è tale autorizzazione, egli non ha alcun diritto di ingerenza nelle questioni temporali. 
La stessa idea viene ribadita anche alla fine della quaestioVIII, in cui scrive:
«Il papa potrebbe deporre l'imperatore solo in un caso, cioè quando non sono in grado di farlo tutti gli altri ai quali spetta primariamente la deposizione dell'imperatore».35
Su questo punto vi è un interessante punto di contatto con Marsilio da Padova, poiché nel Defensor pacis si legge: 
«Se l'impero deve essere tolto ai Romani per un motivo a tutti evidente, tale trasferimento deve essere compiuto non dal papa, ma dai laici, a meno che questi no siano colpevolmente negligenti; il papa, tuttavia, dovrebbe ammonirli, giacché la semplice ammonizione non lo distoglierebbe eccessivamente dalla cura delle cose spirituali».36

L'imperatore non è tenuto a prestare alcun giuramento al papa poiché non è un suo vassallo ma, al contrario, è il papa che deve prestare giuramento all'imperatore di volta in volta eletto, per poter mantenere i beni temporali che gli sono stati donati in precedenza dagli imperatori del passato (come castelli, città e ville)37e a pagargli i tributi; da parte sua, l'imperatore si impegna a difendere con fedeltà la Chiesa. La possibilità che il papa sieda sul trono imperiale qualora esso sia vacante, ammessa da Innocenzo III, viene fortemente ridimensionata da Ockham, il quale sostiene che tale mansione possa essere affidata al pontefice solo qualora non vi sia né un vicario imperiale né nessuno in grado di difendere chi è oppresso ingiustamente.

5. La comunità ordinata

Nel Defensor pacis Marsilio sostiene che una comunità è ben ordinata quando è sottomessa all'autorità di un solo capo, e cioè l'imperatore o uno degli altri principi secolari che sono istituzionalmente legittimati ad esercitare il potere temporale: 
«Se sugli stessi sudditi comandano più persone che non hanno un superiore, in molti casi, anche quando sarebbe conveniente, i sudditi non potranno obbedire al loro superiore. Potrà infatti accadere che quei giudici, che non hanno nessuno al di sopra di loro, convochino, contemporaneamente e in luoghi diversi, gli stessi sudditi; ma i sudditi non potranno obbedire a ciascuno dei giudici; dunque è necessario che disubbidiscono a qualcuno di loro. Per questo motivo quella comunità non è ottimamente ordinata. […] e poiché la natura umana è portata al dissenso, facilmente potrà sorgere la discordia tra uomini diversi che non hanno nessuna autorità superiore, discordia che non potrà essere composta tramite un'autorità superiore».38
La teoria formulata da Marsilio è sostenuta anche da Ockham:
«[...] di tutti gli uomini, se si vuole che siano ottimamente comandati e governati, ci deve essere un unico supremo giudice, stabilito elettivamente dalla totalità degli uomini o dalla maggioranza oppure dalla parte più prudente;39il giudice supremo non deve essere il papa […]. Il papa, per istituzione di Cristo, non ha alcuna giurisdizione o potere coattivo, né regolarmente né occasionalmente, sulle cose temporali e nemmeno su quelle spirituali, benché abbia da Cristo il potere di assolvere dai peccati nella confessione, di amministrare tutti gli altri sacramenti ecclesiastici e di insegnare come si deve vivere per conseguire la vita eterna.40[…] Cristo, del quale il papa è solo un vicario, non esercitò giammai alcun potere coattivo, ma volle essere giudicato da un giudice secolare; il vicario di Cristo, dunque, non ha alcun potere coattivo, anzi è soggetto ad ogni cosa al giudice secolare».41
Ockham pertanto riprende esplicitamente l'idea di Marsilio, anche se, come abbiamo visto, egli ammette che il papa possa occasionalmente esercitare il potere temporale qualora i laici siano negligenti o gli conferiscano tale funzione.

6. La forma migliore di principato

Riprendendo le teorie politiche di Aristotele, Ockham traccia una distinzione fra il principato migliore, quello illegittimo e la tirannia: il primo mira al bene comune dei sudditi, e può essere sia universale che parziale, a seconda che il suo dominio si estenda su tutti gli uomini o solo su una parte di essi; il secondo invece è stato istituito legittimamente ma è corrotto; infine, la terza persegue gli interessi personali dei governanti, danneggiando il popolo. Nelle Octo quaestiones si legge infatti:
«Si dice pertanto che dall'ottimo principato si esige in primo luogo che sia istituito per il bene comune dei sudditi e non per l'interesse personale di chi ha il potere supremo. Per questo, infatti, l'ottimo principato, tanto quello universale, che riguarda tutti gli uomini, quanto quello riferito ad una parte di essi, non solo differisce dal principato illegittimo corrotto ed ingiusto, ma anche dal dispotismo, cioè dalla tirannia che è rivolta all'interesse personale di chi comanda, e da ogni altra sovranità, anche legittima, che non è ordinata al bene comune».42


Oltre che sull'autorità di Aristotele, Ockham giustifica le sue affermazioni sulla base della Prima lettera ai Corinzi e su un passo tratto dal Vangelo di Matteo, in cui si riporta che Pietro non ricevette altro potere da Cristo se non quello di guidare il gregge al regno dei cieli. Riprendendo concezioni elaborate da Aristotele e Tommaso d'Aquino, Ockham individua la migliore forma di governo nel principato regio:

«Si richiede che chi comanda sia una sola persona, come unico è il principato. Per questo, secondo i filosofi, il principato regio, cui una sola persona si distingue su tutti, è superiore ed è migliore tanto del principato aristocratico quanto di quello democratico; in entrambe queste forme di governo più persone sono al vertice».43

Il primato della monarchia sulle altre forme di governo è dimostrato dal fatto che essa è in grado di incrementare la stabilità e la concordia e di impedire le sedizioni:
«Eccola: bisogna ritenere migliore e superiore a tutte le altre, quelle sovranità che, in modo assolutamente prioritario, si prende cura, alimenta, fa crescere e conserva la carità, l'amicizia, la pace e la concordia tra i sudditi, e che evita, soprattutto, la sedizione, ovvero la discordia, che corrompere ogni vincolo associativo. Ogni principato idoneo a favorire il bene comune, infatti, è fondamentalmente istituito per assicurare le cose suddette, e il principe deve compiere il massimo sforzo per affermarle stabilmente e favorirle tra i suoi sudditi».44
L'idea che la monarchia sia l'ordinamento politico più atto a garantire il bene comune è ribadita anche nella VIII quaestio:

«La natura dell'ottima sovranità regia e dell'ottimo principato consiste nel fatto che essi sono istituiti per il bene comune dei sudditi e non per l'utilità, l'onore e la gloria di chi comanda, che sono cose che possono anche accadere come conseguenza e secondariamente; pertanto, quanto maggiore è la libertà di cui godono i sudditi, libertà che non corrompe la tranquillità e la pace e non ripugna al bene comune dei sudditi, tanto migliore e più insigne è il potere supremo. Pertanto, l'imperatore ovvero il re che è a capo dell'ottimo principato, che non va confuso con nessun'altra forma di potere, dispone di sudditi che sono così liberi da non poter essere legalmente privati dei beni, delle loro libertà e dei diritti senza che ci sia una colpa, salvo il caso in cui sussista un motivo manifesto». 45

Se il principe supremo è uno solo, aggiunge Ockham, non potrà esserci alcuna discordia al vertice visto che: «nessuno è in discordia con se stesso».
Il principato cessa di essere un buon governo quando i sudditi sono trattati come servi; anche su questo punto Ockham mostra di ricollegarsi ad Aristotele che, nel primo libro della Politica, sostiene come la sovranità su uomini liberi sia migliore di quella sui servi. I sudditi diventano servi nel momento in cui iniziano ad essere soggetti a chi ha la pienezza dei poteri, e tale condizione è quella cui vorrebbe condurli il pontefice.
Per Ockham chi governa non deve assoggettare in toto i suoi sudditi, ma tutelarli per il bene comune; per questo motivo, una delle sue funzioni principali è quella di punire i delinquenti. Si ha così una concezione realista, tutta terrena, del governo: 

«Se in una comunità non ci fosse nessuno da punire per una colpa o per un delitto, sarebbe sufficiente uno che suggerisce ed insegna a fare il bene, e sembrerebbe del tutto superfluo uno che comanda […]. La legge è istituita non per i buoni, ma per i malvagi che devono essere corretti e puniti».46

E coloro che sbagliano devono essere puniti anziché ottenere l'impunità, la quale costituisce un rischio per il bene comune.
La monarchia non è però presentata da Ockham come la forma di governo migliore in assoluto, giacché egli riconosce che ogni società ha caratteristiche ed esigenze proprie, e pertanto si possono percorrere strade diverse per garantire e tutelare il bene comune.47Ricollegandosi ad una tradizione cui rientrano anche Aristotele, Tommaso e Marsilio, Ockham ammette la possibilità che, in determinate circostanze, l'ordinamento migliore possa essere quello aristocratico o quello democratico.

7. La distinzione tra re de Romani e imperatore

Nella quaestio IV, Ockham afferma che la distinzione tra regno dei Romani e impero è solo verbale: 
«Agli inizi dell'impero di Roma e per molto tempo dopo, tra l'imperatore e il re dei Romani, ovvero tra il regno dei romani e l'impero non vi era alcuna distinzione, ma questi due nomi indicavano lo stesso potere; dunque, anche oggi sono nomi di uno stesso potere».48
Pertanto, tutti i re dei Romani e gli imperatori succedutisi fino ad oggi sono successori di Giulio Cesare e Ottaviano Augusto, ed hanno i loro stessi diritti e poteri temporali, giacché il re dei Romani non è propriamente il futuro imperatore, ma l'imperatore.49In questo modo, Ockham risponde a quanti sostengono che prima dell'unzione e dell'incoronazione l'imperatore non ha su tutte le terre e le province lo spesso potere che invece assume dopo l'incoronazione: finché non viene incoronato infatti egli può amministrare solo le terre che appartenevano a Carlo prima del trasferimento dell'impero dai Romani ai Germani. 
Riguardo al trasferimento dell'impero dai Greci ai Germani, Ockham sostiene che fu voluto dal popolo romano, ovvero da coloro dai quali l'impero fu costituito, e non dal papa, che è sì un romano, ma una parte dei Romani; tale idea è condivisa anche da Marsilio, il quale afferma che è stato il popolo a voler trasferire l'impero, e che il ruolo del papa in questo processo fu solo marginale.

8. Elezione o successione? Piena facoltà di governo?

Ockham ritiene che l'imperatore non debba essere unto dal papa, ma che debba essere eletto, giacché l'elezione, e non la successione, è il metodo migliore per assicurare al popolo un buon governante:
«L'impero o il regno dei Romani, infatti, proprio perché nessuno lo consegue per successione, ma per elezione, si avvicina alla migliore forma di monarchia più di un regno che si ottiene per successione dinastica».50

Questa idea è sostenuta anche da Marsilio da Padova, che nel Defensor pacis afferma:
«Ogni buona qualità che, assolutamente necessaria in un monarca, viene fornita dalla successione ereditaria, verrà quasi sempre offerta anche dal metodo elettivo ma non il contrario».51
Un altro interlocutore di Ockham nella formulazione di questa teoria politica è Leopoldo di Budemberg, secondo il quale l'elezione del re dei Romani conferisce piena facoltà di governo in Italia e nelle altre province che erano sottomesse a Carlo prima dell'unzione e dell'incoronazione imperiale, perché il potere su quelle terre deriva da Dio, mentre sulle terre che non erano sottomesse a Carlo già in precedenza, l'imperatore ne ottiene il potere solo dopo l'unzione e l'incoronazione papale. Ockham invece ritiene che l'elezione conferisce di diritto all'imperatore la piena facoltà di governo su qualsiasi terra e provincia:
«L'elezione del re dei Romani e dell'imperatore dà all'eletto la piena facoltà di governo in modo tale che egli immediatamente, essendo la sua elezione legittima e assolutamente conforme alla legge, senza alcuna conferma, o approvazione, o esame oppure incoronazione, o qualunque unzione, assume il pieno potere di governo».52

Inoltre, se l'imperatore viene eletto anziché essere confermato, approvato, unto e incoronato dal papa, si riducono i tempi in cui il trono resta vacante e, di conseguenza, i rischi di sedizioni e di guerre che tale attesa comporta. Inoltre la consacrazione da parte del pontefice non accresce affatto il potere temporale dell'imperatore, tanto che quest'ultimo potrebbe salire al trono anche se venisse unto da un'autorità non ecclesiastica; l'unzione infatti è un atto esclusivamente simbolico, che serve a conferire maggiore autorevolezza alla figura dell'imperatore:

«L'unzione regale, infatti, può avvenire al fine di garantire al re maggior rispetto e maggiore riverenza; l'unzione e l'incoronazione dei re comportano grandi conviti ed altre solenni celebrazioni, affinché i re siano maggiormente onorati e affinché la legale magnificenza faccia mostra di sé».53

L'unzione è una cerimonia introdotta dagli uomini e non un sacramento istituito da Dio, e perciò chi viene unto non riceve la grazia del dono spirituale. L'incoronazione di un'autorità ecclesiastica quindi non conferisce alcun potere temporale, né obbliga l'imperatore a sottomettersi al papa (proprio come, del resto, il papa non è affatto tenuto ad obbedire a chi lo ha eletto al soglio pontificio). L'imperatore commette un errore se decide di farsi incoronare da un arcivescovo diverso da quello cui tale funzione spetta di diritto, sebbene il diritto d'incoronazione può essere revocato in qualunque momento qualora chi lo detiene si sia macchiato di qualche colpa o si sia mostrato ingrato nei confronti dell'imperatore. 
Ockham passa in seguito ad analizzare l'essenza stessa dell'ordinamento monarchico; egli sostiene infatti che il principato regio non esiste per natura (sebbene sia assimilabile alla sovranità naturale) ma è stato istituito o positivamente, dagli uomini o da Dio. La monarchia infatti può nascere o per volontà di un popolo, che ha il diritto di individuare i suoi governanti e decidere se la selezione debba avvenire per via dinastica o meno,54oppure per decreto imperiale (purché le terre su cui viene istituita non abbiano già un sovrano) o, infine, in seguito all'acquisto o alla conquista di un territorio.
Qualora il sovrano commetta manifestamente qualche colpa deve essere corretto, ma talvolta la rovina dei popoli che ne potrebbe conseguire induce a tralasciare il potere punitivo. La punizione è sì necessaria, è uno dei punti fermi per il bene comune, ma: 
«Se vi è il rischio implicito della rovina dei popoli, si devono lasciar perdere le convenienze del momento e il rigore punitivo, poiché dobbiamo amare di più la vita dei popoli che la punizione della singola malvagità o le poche e scarsamente rilevanti opportunità del momento. Inoltre, ciò che si deve amare meno, deve essere abbandonato per ciò che si deve amare maggiormente, quando non si possano avere contemporaneamente. Pertanto, se la deposizione di tale re dal titolo regio minacciasse la rovina dei popoli, a causa di uno scandalo, anche se sorto dalla malvagità, bisognerebbe tralasciare siffatta severità».55
I principi elettori sono coloro che rappresentano istituzionalmente il popolo, e il fatto che siano essi a designare l'imperatore (i quali così facendo sostituiscono quella che un tempo era l'elezione da parte dell'esercito) pone fine alla successione per via dinastica pur mantenendone intatto lo stato giuridico:
«Come anticamente l'imperatore, che veniva eletto tramite il popolo Romano o l'esercito, ebbe interamente e semplicemente lo stesso potere come re dei Romani e come imperatore, così anche ora chi è eletto tramite i principi elettori ha interamente lo stesso potere come re dei Romani e come imperatore».56
In questo modo Ockham mostra di considerare porre interamente nelle mani del popolo, rappresentato dai principi elettori, l'elezione dell'imperatore, dimostrando l'illegittimità delle pretese papali.

Conclusione

Nelle prime due questioni Ockham presenta le argomentazioni sia di coloro che hanno una concezione ierocratica del potere, sia di quanti sostengono l'indipendenza e l'autonomia del potere secolare da quello spirituale. Le restanti questioni invece, si concentrano su tematiche più circoscritte, tutte però inerenti alle diverse concezioni politiche portate avanti dai due universalismi medievali. 
La tesi centrale sviluppata nelle Octo quaestiones è che Dio ha dato agli uomini il dominio sulle cose temporali, e spetta quindi a loro accordarsi e scegliere a chi far esercitare il supremo potere temporale ma, una volta eletto, l'imperatore dipende solo da Dio. In tal modo, Ockham nega che il papa sia l'intermediario tra Dio e il mondo, e che dunque spetti a lui di scegliere e incoronare l'imperatore: Dio ha consegnato il potere temporale non al pontefice, ma al popolo, come dimostra il fatto che tale potere veniva esercitato legittimamente anche prima dell'avvento di Cristo. Inoltre, l'indipendenza del potere politico da quello spirituale è dimostrata anche dalla natura, tutta convenzionale, di unzione, consacrazione e incoronazione, considerate da Ockham non come sacramenti ma come cerimonie pubbliche.
Nelle Octo quaestiones l'imperatore non solo viene esentato da qualsiasi forma di obbedienza al papa, ma viene anche presentato come colui al quale il papa deve prestare giuramento, in quanto suo vassallo.
A mediare fra Dio e Impero non è infatti il papa, ma il popolo, che può anche scegliere di ribellarsi all'imperatore qualora questi non agisca in vista del bene comune; per evitare questa situazione assai dannosa per la stabilità del corpo sociale, Ockham sottolinea la necessità di riformare le leggi civili alla luce del diritto naturale e della legge evangelica. 
Il diritto naturale e l'equità naturale (che il buon governante deve garantire) mostrano infatti come l'individuo sia centrale nella riflessione politica di Ockham. Il bene comune, ovvero il fine della politica, si concretizza in una prassi politica moralmente corretta ispirata dalle parole di San Francesco. La legge evangelica, che per il filosofo è legge di libertà e consiste nella povertà come rinuncia al dominio sulle cose terrene, conduce alla libertà individuale e al bene comune. Ed è proprio in tale richiamo alla povertà che prende forma un nuovo modo di intendere la politica, antitetico a quello praticato dal papato avignonese: come evidenzia Francesco Camastra, la povertà cui fa appello Ockham è solidarietà, onestà e scambio, è il superamento dell'egoismo individuale che, a livello giuridico, pone le basi per l'instaurazione dell'uguaglianza e della giustizia sociale.57









BIBLIOGRAFIA:

FRANCESCO CAMASTRA (ed.), Guglielmo di Ockham. 

Il filosofo e la Politica, Otto questioni circa il potere del papa, a 

cura di Francesco Camastra, Bompiani, Milano, 2002


MIETHKE, J., Ai confini del potere, trad. it., Padova 2005


MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, Milano 2001
1Ludovico IV, detto il Bavaro (Monaco di Baviera, 1º aprile 1282 – Fürstenfeldbruck, 11 ottobre 1347), fu duca di Baviera dal 1294,Rex Romanorum dal 1314 e Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1328. 
2Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.1. p. 71.
3Giovanni XXII, nato Jacques Duèze o d'Euse (Cahors, 1249 – Avignone, 4 dicembre 1334), fu il 196º Papa della Chiesa cattolica, e il suo pontificato durò dal 7 agosto 1316 fino alla sua morte, avvenuta nel 1334. 
4Gli articoli incriminati erano 51, e di questi 7 vennero considerati eretici, 37 falsi, 4 ridicoli e 3 da censurare. Marsilio, da parte sua, si considera innocente, e anzi accusa di eresia il papa stesso, che definisce: «eretico per gli errori di cui riempì le sue decretali sotto forma di bolla, e per gli errori che asserì pubblicamente e rese dogmi»; cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.7. p. 519.
5Marsilio da Padova (Padova, 1275 – Monaco di Baviera, 1342).
6Su questo punto vi sono delle differenze significative rispetto alle teorie di Marsilio, come approfondiremo in seguito.
7Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, p. 69.
8Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.3. p.461.
9Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, p. 71.
10Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, p. 73.
11Giacomo da Viterbo (Viterbo, 1255 circa – Napoli, 1307) è stato un filosofo, teologo e arcivescovo italiano, appartenente all'Ordine Agostiniano, beatificato da papa Pio X nel 1911. Fu arcivescovo di Benevento nel 1302, poi di Napoli, dal 1302 fino alla morte (1307). L'opera più significativa di Giacomo è sicuramente il De regiminechristiano- dedicato a papa Bonifacio VIII e terminato presumibilmente nel 1303 - in cui il religioso viterbese approfondisce i temi, estremamente rilevanti in quegli anni, del papato, inteso come teocrazia, e del potere temporale della Chiesa. 
12Innocenzo III, nato Lotario dei Conti di Segni (Anagni, 22 febbraio 1161 – Perugia, 16 luglio 1216), fu il 176º papa della Chiesa cattolica dal 1198 alla morte. Da alcuni definito «il campione della teocrazia papale», è celebre la sua immagine usata per spiegare i rapporti fra il potere del papa e quelli dell'imperatore: come la luna riceve la sua luce dal sole e per questo gli è inferiore per qualità e quantità, dimensione ed effetti, allo stesso modo il potere regio deriva la sua luce dall'autorità papale. Il suo programma teocratico sarà ripreso in primisda papa Bonifacio VIII, che nel 1300 proclamò il primo Giubileo, nel quale si presentò col Triregno in testa, a simboleggiare i tre poteri del papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo.
13Innocenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi dei Conti di Lavagna (Manarola, 1195 circa – Napoli, 7 dicembre 1254), fu il 180º papa della Chiesa cattolica dal 1243 alla sua morte.
14Bartolomeo Fiadoni meglio noto come Tolomeo o Ptolomeo da Lucca (Lucca, 1236 – Torcello, 1327) è stato un teologo e vescovo cattolico italiano, seguace di San Tommaso d'Aquino (di cui redasse anche un catalogo delle opere) e come lui appartenente all'ordine dei domenicani.
15Cfr. Tolomeo da Lucca, Determinatio compendiosa de iurisdictione imperii, c.7, p.18: «E' manifesto che le cose materiali dipendono da quelle spirituali come il corpo dall'anima, giacché non si ha movimento né azione se non dall'anima, come i filosofi insegnano. Dunque, il rapporto intercorrente tra anima e corpo è lo stesso che intercorre fra le cose spirituali e quelle del corpo. Ma l'anima si serve del corpo come di uno strumento; dunque, dal momento che il sommo pontefice si rapporta all'imperatore in ragione del suo ufficio così come lo spirituale si rapporta a ciò che è corporeo... il più grande dei sacerdoti si serve dell'ufficio imperiale come di uno strumento».
16Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.14. p. 167.
17Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.4. p. 91, in cui si cita Matteo, 20,25-28: «Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire».
18Cfr.Giovanni, XVIII.
19Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.7. p. 121.
20Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.10. p. 133.
21Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.11. pp. 139-141.
22Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.11. p. 147.
23Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.6. pp. 505-507
24Ockham si riferisce a Bernardo di Chiaravalle, ossia Bernard de Fontaine, abate di Clairvaux (in latino Bernardus Claravallensis, italianizzato in Bernardo di Chiaravalle; Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153), che fu un monaco e abate francese dell'ordine cistercense, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux e di altri monasteri. L'opera cui si riferisce qui Ockham è il De consideratione libri quinque ad Eugenium III.
25Ockham allude qui a Marsilio da Padova, che in Defensor Pacis, II, 4, 13 scrive: «Dev'esser dunque evidente a tutti, sia per le verità evangeliche che abbiamo citate, sia per le loro interpretazioni dei Santi e dottori ortodossi, che Cristo volle sottrarsi, tanto con le parole che con le opere, ad ogni atto di potere, di governo, di giudizio o di autorità mondana e coattiva, e che volle essere sottomesso ai governanti e ai poteri secolari nella loro giurisdizione coattiva»; cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.6. p. 513.
26Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.6. p. 513.
27Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.12. p. 161.
28Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.15. p. 167.
29Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.1.6 p. 171.
30Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.1.7 p. 181
31Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.1.7 p. 183. Taleidea si ha anche in Marsilio; tuttavia, mentre Ockham definisce la Chiesa solamente come comunità dei fedeli, Marsilio, che ha un metodo diverso (cioè "filologico") da quello del filosofo inglese, ne dà cinque definizioni, di cui la quinta è quella da lui sostenuta:1. comunità di persone riunite sotto lo stesso ordinamento; 2. luogo di culto; 3. vescovi, presbiteri, diaconi, cioè tutti coloro che svolgono un ministero nella Chiesa; 4. l clero romano e i suoi vertici; 5.come dice San Paolo, l'insieme dei fedeli che credono e invocano il nome di Cristo, anche in ambito domestico.
32Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. II, c.6. p. 217.
33Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. II, c.4 p. 207.
34Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. II, c.8. p. 229.
35Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.6. p. 505.
36Cfr. Marsilio da Padova, Defensor Pacis, II, XXX, 7-8, ap. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. II, c.10. p. 237.
37Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. II, c.12. p. 143.
38Cfr. Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I, 17, 3-5. ap. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.1. pp. 263-265.
39Cfr. Marsilio da Padova, Defensor Pacis, I, 15, 2, ap.Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.3 p. 271: «Il potere effettivo di istituire il governo o di eleggerlo spetta al legislatore o all'intero corpo dei cittadini, così come, […] gli spetta il diritto di fare le leggi; inoltre gli spetta il diritto di di correggere il governo e di deporlo, se sarà vantaggioso per il bene comune […] spetta all'intera moltitudine dei cittadini [...]. Ma il modo di riunirsi per realizzare questa istituzione o elezione varia forse a seconda della diversità delle province. Ma, in qualsiasi modo si differenzino, in ogni caso dobbiamo tenere presente questo: che tale elezione o istituzione sia sempre fatta dall'autorità del legislatore, che molto spesso abbiamo detto essere l'intero corpo dei cittadini o la sua parte prevalente».
40Cfr. Marsilio da Padova, Defensor Pacis, II, 4, 13, ap. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.3 p. 271.
41Cfr. Marsilio da Padova, Defensor Pacis, II, 4, 7-12,ap. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.83 p. 273.
42Cfr. Aristotele, Politica, III, 6 ap. Guglielmo d'Ockham,Octo quaestiones de potestate papae, q. I, c.6; ibidem, q. II, c.4; ibidem, q. III, c.6.
43Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.5. p. 283.
44Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.5. p. 283.
45Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.5. p. 499.
46Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.8. pp. 291-293.
47Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. III, c.11. p. 299.
48Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. IV, c.2. p. 327.
49Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. IV, c.8. p. 371.
50Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. IV, c.9. p. 379.
51Cfr. Marsilio da Padova, Defensor pacis I. 16, 12.
52Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. IV, c.10. p. 389.
53Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. V, c.3. p. 399.
54Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.3. p. 465.
55Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VII, c.7. p. 451.
56Cfr. Guglielmo d'Ockham, Octo quaestiones de potestate papae, q. VIII, c.4. p. 487.
57Cfr. F. Camastra (ed.), Guglielmo di OckhamIl filosofo e la Politica, Otto questioni circa il potere del papa, Bompiani, Milano, 2002, p. 55.

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