martedì 18 dicembre 2018

Mondo e rimandi. Heidegger e il pensiero sistemico. Di Andrea Tagliaferri



Introduzione

    Da sempre l'uomo si è interrogato sul mondo, e l'approccio sistemico è un nuovo modo di farlo. É interessante in quanto esso costituisce un cambio di prospettiva rispetto al modello analitico, meccanicista e riduzionista, ovvero quel modello di comprensione del mondo che negli ultimi trecento anni ha dominato le discipline scientifiche e umanistiche.


    La teoria generale dei sistemi nasce a stretto contatto con applicazioni di carattere tecnico e scientifico, per poi avvicinarsi a studi e ricerche di natura teorica ed epistemologica.
Tra i fondatori di questo nuovo metodo ci sono matematici e filosofi, in 
primis Ludwing von Bertalanffy (1901-1972), biologo ed epistemologo austriaco, divenuto celebre per il suo testo Lineamenti di teoria generale dei sistemi del 1950.1


 A fondamento della teoria dei sistemi c'è la consapevolezza che lo schema causale-deterministico, e quindi meccanicista, utilizzato per spiegare i rapporti e le interazioni che caratterizzano la società tecnologica avanzata e che ne condizionano l'esistenza sia sul piano tecnico che su quello umano e sociale è in realtà inadeguato; per questo, a seguito dello sviluppo della cibernetica e della biologia, è sorto un nuovo schema interpretativo, quello del sistema, considerato più idoneo a cogliere la complessità dei fenomeni.


In quest'ottica, i fenomeni non vengono più considerati come entità astratte, isolate e sezionabili in parti, o comunque spiegabili secondo il principio della causalità lineare, ma come un insieme unitario e coeso che deve essere analizzato tenendo conto dell'interazione dinamica delle sue parti.


Secondo Bertalanffy, utilizzando il paradigma sistemico, si sostituisce ad una visione atomistica della realtà una visione organicistica, che pone l'accento sui momenti dell'organizzazione, del controllo e della struttura dell'interazione tra i fenomeni. La sistemica adotta quindi una prospettiva interdisciplinare, che volge il suo sguardo alla cibernetica, e alle teorie dell'informazione, degli automi e dei giochi.


Ho colto l'invito presente nel libro Strutture di Mondo, il pensiero sistemico come specchio di una realtà complessa, a cura di Lucia Urbani Ulivi, in cui sono raccolti alcuni saggi sull'approccio sistemico in vari ambiti, e in cui invita a cercare antenati illustri in filosofia, ovvero filosofi che hanno utilizzato un approccio sistemico.


Mentre leggevo il libro mi è venuto in mente Heidegger e la sua concezione dell'essere-nel-mondo. Da qui l'idea di riprendere in mano Essere e Tempo e confrontare alcuni passi del testo con le prospettive sistemiche presenti nel libro della Urbani Ulivi.


Il presente saggio si articola in due capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi. Nel primo capitolo verranno sinteticamente definiti il metodo cartesiano e quello sistemico (al fine di metterne in luce le differenze) e la nozione di sistema.
Nel secondo capitolo verrà sviluppato un confronto fra la concezione del mondo e quella dell'individuo di Husserl e di Heidegger; inoltre, si analizzeranno anche le 
concezioni heideggeriane di essere-nel-mondo e di rimandi.



1. I due metodi: dalla misurazione alla mappatura

    Il modello analitico, inaugurato da Cartesio nel Discorso sul metodo del 1637, sostiene che per capire un oggetto (o un problema) occorre scomporlo negli elementi più semplici che lo costituiscono, come emerge dal secondo precetto del metodo:



«dividere ciascuna delle difficoltà che esaminassi in tante piccole parti quanto fosse possibile e necessario per risolverle meglio»2.

Al contesto di appartenenza dell'oggetto viene data poca importanza al punto di essere trascurato, accantonato, escluso dalla comprensione.


Oltre che da Cartesio, la visione meccanicistica del mondo si sviluppò grazie al lavoro di scienziati quali Bacone, Newton e Galilei.


Galilei, che ha influenzato profondamente Cartesio, propone una contrapposizione tra qualità primarie (misurabili) e secondarie (non misurabili).


Per Galilei esiste un'oggettività del mondo in sé, il quale è retto da un rigoroso ordine matematico: contrapposto radicalmente a questo, c'è il complesso di proprietà soggettive (colore, sapore, odore, suono) che sono valide solo per il singolo soggetto.


Cartesio abbraccia il dualismo galileiano sostenendo che al mondo materiale oggettivo (res extensa), è contrapposto un mondo spirituale soggettivo (res cogitans). Il mondo inteso come res extensa, non possiede tutte le qualità soggettive che percepiamo attraverso i sensi (di cui non abbiamo un'idea chiara e distinta) ma solo quegli attributi quantitativi e alcune proprietà geometrico-matematiche come grandezza, figura, posizione, movimento e durata.


In Cartesio c'è dunque un mondo-sostanza, misurabile e quantificabile, che risponde solo a necessità meccaniche e scientifiche. Il mondo in sé è una grande macchina sostenuto da rapporti di causa-effetto, governato da leggi necessarie: tale visione del mondo ha dato vita ad una forma mentis che, nel corso degli anni, influenzerà diversi campi del sapere scientifico, dalla medicina alla biologia, dalla politica all'economia.

    Nel modello sistemico, invece, l'oggetto viene studiato nella sua integrità, e la realtà e i suoi componenti sono visti come totalità. L'approccio sistemico vuol cogliere e descrivere gli oggetti che compongono il mondo nella loro unità.


    L'approccio sistemico ebbe origine nei primi anni del Novecento in tre diversi campi: ecologia, psicologia della Gestalt e biologia organica, tutte discipline che studiano sistemi viventi irriducibili alle sue parti.
Il pensiero sistemico si propone di considerare l'oggetto nella sua complessità, studiando le relazioni e i rapporti tra le diverse parti.
In altre parole, grazie al pensiero sistemico si coglie la totalità, assumendo l'ottica delle relazioni e non degli oggetti singolarmente presi. E le relazioni non possono essere misurate e pesate, come credevano Cartesio e Galileo, bensì devono essere 
mappate.


Dalla mappatura emergono i pattern, ovvero configurazioni costanti di relazioni. Grazie allo sviluppo dell'informatica fu possibile rilevare efficacemente i pattern sottostanti di quelli che sono chiamati sistemi non lineari, ovvero dinamici, come quelli dei sistemi viventi.


L'approccio sistemico studia il sistema e la relazione di questi col suo ambiente, ovvero col suo contesto. Ricordiamolo, che poi ci servirà in seguito parlando di Heidegger: «il pensiero sistemico è sempre un pensiero di tipo contestuale».3


È evidente che ci troviamo davanti a due punti di vista antitetici.4


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1.1. Definiamo un sistema

    Potremmo definire un sistema come uno schema di relazioni tra parti cui competono proprietà che le parti non hanno:



«Un sistema è un complesso unitario di elementi in relazione, o un insieme di elementi che interagiscono o anche una organizzazione di relazioni tra elementi. Il sistema, ogni sistema, ha un ordine, nel senso che esibisce relazioni invarianti che vincolano il comportamento di elementi fluttuanti, cioè li sopraordina»5

Però è possibile anche fornire un'altra definizione di sistema:



«Il sistema può essere inteso come una pluralità di elementi organizzati, che dà luogo a esiti eccedenti quelli consentiti dalle varie parti considerate singolarmente, anche se rimane pur sempre basilare la nozione di elemento come componente ultimo, irriducibile, dotato di proprietà relazionali che determinano la complessiva organizzazione dell'intero. La sistemica si basa su questa nozione e apre lo spazio a una prospettiva non riduzionista. Ma sembrerebbe possibile anche un secondo approccio, più radicale anche se non incompatibile con il primo, anzi con questo spesso contaminato: si tratterebbe di vedere nel sistema una struttura relazionale, non più riconducibile a elementi, tale per cui talvolta le relazioni non siano subordinate agli oggetti ad esse connessi, ma, in qualche modo, determinino l'entità stessa degli oggetti».6

I due concetti fondamentali nella concezione sistemica sono quelli di relazione e di interazione: infatti, ogni elemento è connesso agli altri e lo influenza, per cui è come se fosse il tutto a produrre e determinare le singole parti nella loro peculiare funzione. In altre parole, è l'interazione di ogni parte con le altre a produrre l'ordine e l'organizzazione dell'insieme.

Anche le singole parti (che potremmo definire anche elementi) sono a loro volta dei sistemi: tale prospettiva ci conduce a ritenere il mondo come un sistema composto da sistemi, o sistema di sistema, e dal punto di vista ontologico implica il superamento del cartesianesimo, per il quale il mondo, inteso come res extensa, è uniforme, e gli oggetti si conoscono solo quantitativamente con la fisica e le sue leggi. Questo nuovo punto di vista coglie il mondo qualitativamente, anziché quantitativamente.




1.2. Sistema e relazioni

    Un sistema, per essere un insieme coeso e unitario, e non una semplice somma di elementi, deve essere organizzato, ossia, devono esserci delle relazioni tra i suoi componenti, e strutturato, cioè le singole parti possono essere sostituite dando nuovi input al tutto, e rendendo così il sistema dinamico.

Gli elementi che compongono un sistema intrattengono tra loro relazioni di interferenza, ovvero si influenzano a vicenda, rendendo esplicito il meccanismo dinamico del sistema.
Il perno del tutto è 
l'organizzazione, che assicura la stabilità e l'unità del sistema. Ma l'organizzazione è immateriale, invisibile, nascosta, celata. L'essenziale è invisibile agli occhi.

Un altro elemento importante è il concetto di autoregolazione o feedback, ovvero il controllo dei risultati dell'interazione, che possono essere positivi o negativi.
Per 
feedback s'intende il processo per cui una parte del sistema agisce su un'altra parte e quest'ultima retroagisce sulla prima: questa circolarità permette al sistema di mantenersi, muoversi, ed essere in relazione con altri sistemi.


    Potremmo prendere come modelli di sistema dinamico dei sistemi naturali quali sciami, banchi di pesci o formicai: in tutti questi l'interazione costante tra elementi è la condizione necessaria affinché il sistema mantenga le proprietà acquisite.
Nel caso di un formicaio, ad esempio, i componenti del sistema sono gli animali, e le proprietà dei componenti del sistema sono la loro quantità, età, peso e comportamento dei singoli; inoltre, il sistema è composto da componenti interagenti, poiché il formicaio ha delle proprietà che le singole parti non hanno (comportamento, intelligenza collettiva di difesa dai predatori, strategie di caccia etc..). Tuttavia, nel momento in cui gli elementi cessano di interagire, il sistema degenera nell'insieme dei suoi elementi perdendo le proprietà acquisite.

Abbiamo detto sopra che un sistema è una organizzazione di relazioni tra elementi: tale organizzazione unitaria presenta delle proprietà che gli elementi presi singolarmente non hanno. Questo vuol dire che «il sistema ha caratteri e comportamenti propri e nuovi rispetto alle parti»7.

Ecco perché in sistemica si usa spesso dire che il tutto è più della somma delle singole parti, come già sosteneva Aristotele nella Metafisica.


2. Fuori e dentro, dentro è fuori: Heidegger e Husserl a confronto


    Edmund Husserl (1859-1938), e Martin Heidegger (1889-1976), il primo maestro del secondo, possono essere considerati i padri della fenomenologia, ma le loro teorie presentano delle differenze fondamentali che li porteranno ad elaborarne due concezioni diverse.Di fondo, Husserl dà alla sua fenomenologia un' impostazione gnoseologica, mentre Heidegger privilegia quella ontologica.


Husserl individua due atteggiamenti possibili che l'uomo ha per conoscere il mondo. Uno è l'atteggiamento naturale, dove si ha una costante apertura al mondo, inteso come un orizzonte in cui ci sono oggetti vari (cose e persone, ma anche oggetti etici e valori). Il mondo è sotto la presa intuitiva solo in piccole parti (attuali), il resto resta sullo sfondo (inattuale), ed è volgendo il nostro sguardo che possiamo rendere attuale ciò che non lo era.


Questo atteggiamento è per Husserl ingenuo e dogmatico, poiché il mondo è considerato indipendente dal soggetto, ed ogni oggetto è considerato in sé. Il metodo riduzionista, inaugurato da Cartesio ed Hume9: oggetto della riduzione è l'atteggiamento naturale.

Tuttavia, tale atteggiamento può essere sospeso mediante la riduzione fenomenologica, o epochè, con cui il mondo viene ricondotto a qualcosa di sottinteso, cioè messo in relazione all'elemento retrostante, la coscienza. Da qui ha origine l'altro atteggiamento possibile rilevato da Husserl, quello della riflessione filosofica, che ha per oggetto proprio la coscienza stessa: esso è innaturale perché riflessivo, e impone un passo indietro rispetto al mondo.

Husserl sostiene che, soffermandoci ad osservare la coscienza (intesa come flusso temporale), ci appaiono vissuti che implicano una relazione tra coscienza e fenomeni. Il mondo soggettivo e quello oggettivo sono legati da un doppio binario di correlazione. La dimensione fenomenico oggettuale (il mondo oggettivo) va di pari passo con i fenomeni coscienziali.

In breve: non esiste un fenomeno che non sia oggetto di un vissuto, se non c'è vissuto non c'è fenomeno, se non c'è coscienza non c'è mondo. Il mondo si definisce quindi come un insieme di fenomeni correlati a un polo coscienziale, e pertanto può essere ridotto a coscienza.


La relazione tra vissuto e fenomeno, tra coscienza e mondo, è data dall'intenzionalità10, intesa come il tendere verso qualcosa.


Dal punto di vista ontologico siamo di fronte a due tipi di fenomeni: gli oggetti del mondo, dotati di una trascendenza fenomenologica, e i vissuti, che invece sono immanenti.


La prospettiva fenomenologica di Husserl si muove con un'aspettativa di tipo conoscitivo, è una filosofia della conoscenza che si occupa della relazione tra un soggetto ed un qualcosa di altro: il mondo. Occupandosi dei modi in cui un soggetto può conoscere il mondo, c'è sottintesa una dualità: il fronteggiarsi tra soggetto e oggetto.


L'impostazione di Husserl è intermedia tra quella idealista e quella realista, ma la domanda centrale è sempre la stessa: cosa possiamo conoscere del mondo? 

Heidegger vuol superare la filosofia della conoscenza; in lui non si avrà più un soggetto di fronte ad un oggetto, il mondo di fronte ad una coscienza, ma un essere-nel-mondo, in cui il mondo avvolge il soggetto senza separazione; di questo punto, però, ci occuperemo più avanti.

La distanza fra Heidegger e Husserl su questo punto emerge con particolare chiarezza da un passo significativo di Essere e tempo:



«Nel dirigersi verso... e nel comprendere, l'Esserci non va al di là della sua sfera interiore, in cui sarebbe dapprima incapsulato; l'Esserci, in virtù del suo modo fondamentale di essere, è già sempre «fuori», presso l'ente che incontra in un mondo già sempre scoperto. E il soffermarsi presso un ente da conoscere e da determinare non rappresenta un abbandono della sua sfera interna, perché, anche in questo «esser fuori» presso l'oggetto, l'Esserci è genuinamente «dentro»: cioè esiste come essere-nel-mondo che conosce. E di nuovo, l'apprensione del conosciuto non è un ritorno nel «recinto» della coscienza con la preda conquistata, perché anche nell'apprendere , nel conservare e nel ritenere, l'Esserci conoscente, in quanto Esserci, rimane fuori. Nella «semplice» conoscenza di una connessione dell'essere dell'ente, nella «pura» rappresentazione di sé, nel «semplice pensare a...», io sono fuori, nel mondo e presso l'ente, non meno che in una percezione originaria»11

    Concetto cardine in Husserl è quello di intenzionalità, intesa come proprietà che il vissuto di coscienza ha di rivolgesi alla realtà.

La coscienza descritta da Husserl è un flusso immanente di vissuti che costituisce il mondo: il mondo si configura così come il calco della struttura coscienziale. Tuttavia, prosegue Husserl, può darsi il caso che ci siano coscienze senza mondo, come nel caso di alcune malattie, in cui si ha una coscienza non intenzionale, ovvero che non si dirige verso il mondo.

Possiamo vedere che questa è un'impostazione dicotomica: si ha una coscienza, che è pura immanenza, e oggetti esterni che hanno una trascendenza relativa. La soggettività è una soggettività trascendentale, che costituisce il mondo.


Il motto della sua fenomenologia era di andare alle cose stesse, e questo significa applicare un metodo riduttivo. Husserl, infatti, ricerca una zona trasparente che trova nella coscienza intesa come pura immanenza, dalla quale far dipendere tutto il mondo.

Si può cogliere qui una eredità cartesiana nella presa di distanza dal mondo (inteso come somma di fenomeni) necessaria a soffermarsi sulla sua struttura conoscitiva.

Heidegger, nel suo Essere e tempo (1927), dedicato a Husserl, critica fortemente l'impostazione del maestro, dando origine ad una filosofia esistenziale.


La fenomenologia è per Heidegger un tipo di incontro con qualcosa, con ciò che si manifesta da solo: l'ente.
L'obiettivo è quello di avvicinarsi alle cose, al piano della fatticità e, malgrado l'apparato linguistico utilizzato sia sofisticato, il concetto che si tenta di cogliere è umile, vicino a noi, cioè l'esistenza. Per questo, mentre il motto della fenomenologia husserliana era «Andare alle cose stesse!», quello di Heidegger è invece «
Verso le cose stesse!».12
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Il metodo di Husserl non è accettato da Heidegger, poiché egli considera la riduzione come un allontanamento rispetto alle cose. Il doppio binario immanenza-trascendenza, non ci fa vedere le cose stesse, ce le mostra modificate, addomesticate dalla coscienza: è una falsificazione del mondo. In altre parole, Heidegger nega che sia la nostra struttura trascendentale e quindi l'immanenza, a costituire il mondo.

Siamo di fronte a due prospettive differenti: al contrario di quanto avviene nella fenomenologia di Husserl, in Heidegger non c'è nessun arretramento al mondo dei vissuti, non c'è la distinzione tra immanenza e trascendenza, e quindi tra soggetto e oggetto. Non c'è una presa di distanza rispetto al mondo, ma l'idea di essere immersi nel mondo. Alla variazione prospettica corrisponde una variazione semantica: per indicare la realtà umana, Heidegger non parla di soggettività, ma di Dasein, letteralmente «Esserci», essere gettati qui e ora.


Husserl e Heidegger tentano di rispondere a questioni diverse, poiché quella di Husserl può essere sintetizzata come «Cos'è qualcosa? Cos'è quel fenomeno?» (che lo porta poi ad un uso attributivo e deterministico, e di dominio nei confronti della trascendenza). Quella di Heidegger invece è profondamente diversa, poiché egli si chiede: «Qual è il senso dell'esserci dell'ente?». La sua domanda non ruota attorno alla definizione di un ente, ma al suo senso.


Non a caso, anche l'apparato terminologico varia. Parlare di fenomeno implica un distanziamento (fenomeno è ciò che si manifesta per un vissuto, e quindi per un soggetto: per un occhio che guarda e per una mente che intende), mentre parlare di ente non ci allontana dalla realtà: l'ente è ciò che si manifesta da se stesso e per se stesso,13 quindi autonomamente, senza alcun rimando a qualcosa che sta dietro. In questo senso, si ha una complessiva desoggettivazione.


    Come abbiamo detto sopra, la filosofia di Husserl è prevalentemente gnoseologica, ma in Heidegger la gnoseologia è secondaria, è sì un'attitudine dell'uomo, ma solo uno dei tanti modi d'essere.


Se consideriamo l'uomo come un sistema, cioè come organizzazione unitaria di parti, e applichiamo il concetto per cui un sistema non è riducibile alle sue proprietà, l'uomo, per dar ragione ad Heidegger contro Husserl, non è una coscienza che intende (comprende e tende verso), non è pensiero o cogito come voleva Cartesio.

Questi sopra elencati sono tentativi di isolare tratti specifici ed essenziali dell'uomo, per poi identificare l'uomo con quella specifica proprietà. Si tratta quindi di un metodo riduzionista di stampo analitico.
La sistemica ci dice che l'uomo non è riducibile alle sue proprietà, l'uomo non è tale perché ha il pensiero o il linguaggio: possiede proprietà come sistema ma nessuna lo identifica in modo esclusivo. Ciò che lo identifica è l'organizzazione delle parti. L'uomo non è riducibile alle sue proprietà, sarebbe un approccio riduzionistico; l'uomo, per dirla con Urbani Ulivi, «è ciò cui le proprietà ineriscono».14

Sorge però un dubbio circa la temporalità originaria di cui ci parla Heidegger. Lucia Urbani Ulivi sostiene che Heidegger ricade nel vecchio schema interpretativo che ho criticato sopra, identificando come tratto essenziale dell'uomo la temporalità originaria. Mi sento di rispondere che in Heidegger l'uomo è Cura (Sorge), è apertura costante al mondo in cui è immerso, è relazione continua con ciò che lo circonda, enti o altri Esserci.


Non si ha più il concetto di immanenza, e l'atteggiamento conoscitivo è subordinato all'atteggiamento esistenziale dell'Esserci, poiché esso ne rappresenta solo una modalità dell'esistenza, e la teoria della conoscenza è una limitazione dell'Esserci stesso, in relazione all'originario commercio con le cose.15


La conoscenza è un caso limite del prendersi cura, il mondo è un mondo d'opera dinamico e non statico e passivo, la base ultima della relazione col mondo è agentiva, interattiva. Il mondo è il con-cui avere a che fare16.


    Abbiamo detto che la filosofia esistenziale di Heidegger si chiede il senso dell'essere dell'ente. Proprio la ricerca del senso delle cose allontana Husserl da Heidegger; la domanda che si pone il primo (cos'è un fenomeno?) porta ad attribuire alle cose delle proprietà che le determinano17 allontanandole dal loro senso (che è un senso contestuale, che rimanda ai rimandi, all'Esserci, ai valori, agli scopi).


I due poli presenti in Husserl, ovvero soggetto e oggetto, in Heidegger non sono considerati diversi ontologicamente: per lui l'Esserci è calato, gettato e immerso nel mondo, e quindi non lo sorvola, ma ne è incastonato qui e ora.

La mossa di Husserl (epochè) è per Heidegger un allontanamento dal mondo, una perdita di questo che finisce per velarlo nascondendone l'originarietà.


2.1 Esserci

    Tra i vari enti che compongono il mondo, ne emerge uno che si pone la domanda sul senso.18 Quest'ente particolare19 è il Dasein, che si manifesta qui e ora e che è l'unico a porsi tale domanda:



«Questo ente, che noi stessi sempre siamo, e che, fra l'altro ha quella possibilità d'essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo col termine Esserci»20

Il Dasein, per Heidegger, è ciò che noi stessi sempre siamo, è ciò che ha da aver -da-essere, è apertura a ventaglio sul mondo, e ha un orizzonte di possibilità21 che lo costituisce. Si nota subito un dinamismo fluidificante.


L'Esserci intrattiene una relazione costante con il mondo, un commercio quotidiano. In questo modo si ha il riscatto della quotidianità, della medietà, che è il luogo in cui l'Esserci dimora; a differenza di Husserl, per Heidegger è la medietà il luogo in cui l'Esserci vive e si manifesta da se stesso e per se stesso:



 «E in verità l'ente dovrà mostrarsi così com'è innanzitutto e per lo più, nella sua quotidianità media»22

Heidegger introduce il concetto di in-essere nel mondo, che è il senso dell'essere dell'Esserci:


«L'espressione composita «essere-nel-mondo» rivela, già nella sua coniazione, che ci si vuol riferire a un fenomeno unitario. Questo reperto primario dev'essere considerato in tutta la sua complessità. Ma l'insolubilità in elementi eterogenei non esclude la molteplicità di elementi strutturali che entrano a far parte di questa costituzione» 23

L'Esserci intrattiene col mondo una relazione di interazione: lo usa e interagisce con esso. Quindi, mentre in Husserl si ha la netta distinzione tra soggetto e oggetto, il cui legame è dato dall'intenzionalità, e il soggetto è puro e funzionale, poiché ha una struttura trascendentale che lo mette in grado di costituire qualcosa d'altro, in Heidegger invece non è più l'intenzionalità a legare soggetto e mondo, poiché esiste soltanto l'essere- nel-mondo.

Il concetto di in-essere è spiegato così da Heidegger:


«Cosa significa in-essere? Di primo acchito completiamo l'espressione con «nel mondo», e tendiamo ad intendere questo in- essere come un «essere dentro...».

Con questa espressione si denota il modo d'essere di un ente che è «dentro» un altro, come l'acqua è «dentro» il bicchiere o la chiave «dentro» la toppa. Con questo «dentro» intendiamo il rapporto d'essere di due enti estesi rispetto al loro luogo dello spazio.
Acqua e bicchiere, chiave e toppa, sono, e tutti nello stesso modo, «nello» spazio e «in» un luogo. Questo rapporto d'essere può venir esteso; ad esempio: il banco è nell'aula, l'aula è nell'università, l'università sta nella città e così via fino a: il banco è «nello spazio universale».
Questi enti, di cui si può così determinare l'esser-l'uno-dentro-l'altro, hanno il modo di essere delle semplici-presenze in quanto sono cose- presenti «all'interno» del mondo. L'esser presente «in» una cosa- presente, l'esser compresente con qualcosa che ha il medesimo modo di essere (inteso come un determinato rapporto di luogo) sono caratteri ontologici che noi diciamo categoriali, in quanto propri di enti aventi un modo di essere non conforme all'Esserci.
L'in-essere, al contrario, significa un esistenziale, perché fa parte della costituzione dell'essere dell'Esserci. Perciò non può essere pensato come l'esser semplicemente presente di una cosa corporea (il corpo dell'uomo) «dentro» un altro ente semplicemente presente. L'in- essere non significa dunque la presenza spaziale di una cosa dentro l'altra, poiché l'«in», originariamente, non significa affatto un riferimento al genere suddetto. «In» deriva da innan-abitare, habitare,soggiornare; an significa: sono abituato, sono familiare con, sono sòlito...: esso ha il significato di colo, nel senso di habito diligo. L'ente a cui l'in-essere appartiene in questo significato è quello che noi abbiamo indicato con l'ente che io sempre sono.
L'espressione «sono» è connessa a «presso». «Io sono» significa, di nuovo: abito, soggiorno presso... il mondo, come qualcosa che mi è familiare in questo o quel modo. «Essere» come infinito di «io sono», cioè inteso come esistenziale, significa abitare presso..., avere familiarità con.... L'in-essere è perciò l'espressione formale ed esistenziale dell'essere dell'Esserci che ha la costituzione essenziale dell'essere-nel-mondo.»24

La concezione di spazio muta radicalmente, questo non è più inteso cartesianamente: in Heidegger non c'è la concezione di essere dentro, ma quella di abitare. La dimensione ontologica dell'Esserci è di in-essere.

Cruciale è il concetto di essere-presso-il-mondo25.

L'ente è ciò che l'Esserci ha alla mano, ciò che frequenta.

La relazione spaziale che l'ente ha col mondo rimanda alla nozione di frequentazione, dando così origine ad un dinamismo relazionale o, detto altrimenti, ad una relazione interattiva:


«L'in-essere non è quindi una «proprietà» che l'Esserci abbia talvolta sì e talvolta no e senza la quale egli potrebbe essere com'è né più ne meno che avendola. Non è che l'uomo «sia» e, oltre a ciò, abbia un rapporto col «mondo», occasionalmente e arbitrario. L'Esserci non è «innanzitutto», per così dire, un ente senza in-essere, a cui ogni tanto passa per la testa di assumere una «relazione» col mondo. Questa assunzione di relazione col mondo è possibile solo in quanto l'Esserci è ciò che è solo in quanto essere-nel-mondo.
Questa costituzione dell'essere non sorge perché, oltre all'ente avente il carattere dell'Esserci, è presente anche l'ente difforme dall'Esserci e l'Esserci lo incontra. Quest'altro ente può «incontrarsi» «con» l'Esserci solo perché è tale da poter manifestarsi da se stesso all'interno di un mondo»26

    Se in Husserl si ha una soggettività che proietta e costituisce oggetti, Heidegger punta all'opposto: è la frequentazione col mondo a costituire l'Esserci, poiché c'è circolarità tra mondo ed Esserci.


Il senso dell'essere dell'Esserci è l'apertura, perciò tra Esserci e mondo viene a crearsi una circolarità ermeneutica in cui l'uno si adatta all'altro.
Il sistema di Husserl è lineare, non c'è alcun ritorno, mentre quello di Heidegger è circolare. L'Esserci, dinamico, attivo e aperto, è costituito dalla relazione con l'ambiente. Se lo definiamo come un insieme di qualità o proprietà lo priviamo in 
parte della sua apertura.



2.2 La mondità del mondo

    Come si è detto, l'Esserci riflette una dimensione esistenziale di apertura e commercio con il mondo, col quale ha indefinite possibilità di interazione e relazione. Una di queste è l'interpretazione del mondo, che si attua mediante due atteggiamenti possibili: quello ontico e quello ontologico.


Nell'atteggiamento ontico, il mondo è inteso come un insieme di fenomeni catalogabili, classificabili e abbandonati a se stessi, mentre in quello ontologico, che è il punto di vista privilegiato da Heidegger, ci si chiede il senso degli enti che fanno parte del mondo, facendo riferimento ad una rete di legami e rimandi contestuali che includono un progetto.27



«Descrivere fenomenologicamente il «mondo» viene allora a significare: svelare l'essere dell'ente presente nel mondo e fissarlo in concetti categoriali.

L'ente che è all'interno del mondo risulta allora costituito dalle cose, dalle cose naturali e dalle cose «fornite di valore». Sorge così il problema dell'essenza delle cose. E siccome l'essenza delle cose è, in generale, determinata sul fondamento delle cose naturali, il tema primario diviene quello delle cose naturali, della natura come tale.
Il carattere d'essere esemplare delle cose naturali, delle sostanza, assunto come fondamento di ogni altro, è la sostanzialità. Qual è il suo senso ontologico? Abbiamo così avviato la ricerca in una direzione problematica precisa. Ma si tratta di una ricerca ontologica intorno al «mondo»?

La problematica adottata è senza dubbio ontologica. Ma anche se si raggiungesse la più trasparente esplicazione dell'essere della natura in base ai principi fondamentali che la scienza matematica della natura fornisce sull'ente, questa ontologia non concernerebbe affatto il fenomeno «mondo».
La natura è essa stessa un ente che si incontra all'interno del mondo, ed è scopribile in modi e gradi diversi.
Dovremmo allora prendere le mosse dall'ente presso cui l'Esserci si sofferma innanzitutto e e per lo più, cioè dalle cose «fornite di valore»? Non sono forse queste a rivelare «propriamente» il mondo in cui viviamo? Può darsi che esse rivelino più efficacemente qualcosa come il «mondo», ma sono pur sempre cose essenti «dentro» il mondo.
Né la descrizione ontica dell'ente intramondano, né l'interpretazione ontologica dell'essere di questo ente investono come tali il fenomeno del «mondo». In ambedue questi «esseri obiettivi», il fenomeno del «mondo», se pur in modi diversi, è già «presupposto» ».28

Il mondo sarà forse un carattere dell'essere dell'Esserci? Ogni Esserci non ha un suo mondo? Come è possibile quel mondo comune in cui in realtà siamo? Quando si pone il problema del mondo, a quale mondo ci si riferisce? Heidegger risponde così:



«Non a questo o a quello, ma alla mondità del mondo in generale.

[...] La «mondità» è un concetto ontologico e denota la struttura di un momento costitutivo dell'essere-nel-mondo. Ma questo ci è apparso come una determinazione esistenziale dell'Esserci. La mondità è quindi essa stessa un esistenziale. [...] Ontologicamente il «mondo» non è affatto una determinazione dell'ente difforme dall'Esserci, ma è, al contrario, un carattere dell'Esserci stesso.»29


««Mondo» significa, infine, il concetto ontologico esistenziale della mondità.»30

    Il concetto di mondo-ambiente31 è diverso da quello di natura, poiché quest'ultima non può rendere possibile il concetto di mondità.
In entrambi si fa riferimento alla spazialità, ma «l'intorno» costitutivo del mondo ambiente non ha alcun senso spaziale in senso oggettivo naturale. Noi abitiamo in un ambiente che ci è intorno, che ci circonda e in cui siamo immersi, e non nel mondo cartesianamente definito come sostanza.


Il mondo è un qualcosa che abbraccia l'Esserci, ed è inteso come l'atmosfera, poiché abbraccia ogni ente che è pronto per essere utilizzato, con cui si può commerciare.32

Tutto ciò che appartiene al mondo è ciò con cui possiamo commerciare, ciò di cui abbiamo cura, e gli enti che ci vengono incontro in questo prendersi cura vengono definiti «mezzi per...»:


«Nel commercio si incontrano mezzi per scrivere, per cucire, di trasporto, per misurare. [...] A rigor di termini, un mezzo isolato non c'è. L'essere del mezzo appartiene sempre alla totalità dei mezzi, all'interno dei quali l'essere può essere ciò che è. Un mezzo è essenzialmente «qualcosa per...».
Le diverse maniere del «per», come l'utilizzabilità, l'idoneità, l'impiegabilità, la manipolabilità, costituiscono una totalità di mezzi. Nella struttura del «per» è implicito un rimando di qualcosa a qualcosa. [...] Il mezzo, per la sua stessa natura, è sempre tale a partire dalla sua appartenenza ad altri mezzi: scrittoio, penna, inchiostro, carta, cartella, tavola, lampada, mobili, finestre, porte, camera.
Queste «cose » non si manifestano innanzitutto isolatamente, per riempire successivamente una stanza come somma di reali.

Ciò che si incontra per primo, anche se non tematicamente conosciuto, è la camera, e questa, di nuovo, non come «ciò che è racchiuso tra quattro pareti» in senso spaziale e geometrico, ma come mezzo di abitazione. È a partire da essa che si rivela l'«arredamento» e in questo, a sua volta, il «singolo» mezzo.
Prima del singolo mezzo, è già scoperta una totalità di mezzi.»33

Il mondo è la totalità dei rimandi. L'essere dei mezzi è definito utilizzabilità;34l'osservazione teorica è insufficiente, poiché la visione connessa al processo di commercio con il mondo viene detta visione ambientale preveggente.


Con il concetto di visione ambientale preveggente Heidegger intende sostituire l'intenzionalità husserliana, poiché lo definisce come la visione diffusa che l'Esserci ha nei confronti del mondo che lo avvolge. Si ha un prendersi cura del mondo, il mondo è ciò con cui si ha familiarità. Il mondo è un mondo d'opera, pronto all'utilizzabilità35.



2.3 Rimandi

    Il mondo è opera per..., quindi rimanda all'azione. Le cose del mondo offrono continuamente rimandi: ogni oggetto serve per fare qualcosa, come, ad esempio, un martello per martellare. I rimandi possono essere molteplici, poiché tutti gli oggetti sono mezzi per fare.


Il mondo è opera di... e questo rimanda al materiale con cui il mondo d'opera è fatto e ai diversi materiali: per esempio una scarpa ci rimanda al filo, alla pelle, all'ago che l'ha cucita, al martello, al telaio e alla pelle dell'animale.



«La scarpa è costruita per portarla (è mezzo per camminare), l'orologio è fabbricato per leggervi l'ora.

L'opera che per prima si incontra nel commercio prendente cura, ossia ciò che si sta facendo, è tale che, in virtù della possibilità di impiego che appartiene ad essa in linea essenziale, lascia con-incontrare già sempre l'«a-che» del suo impiego.
[...] Non è solo l'opera ad essere impiegabile per... Lo stesso fare è impiego di qualcosa per qualcosa.

Nell'opera è quindi implicito un rinvio ai «materiali». C'è in essa un rinvio al cuoio, al filo, all'ago, e così via. Ma il cuoio, a sua volta, è ricavato dalle pelli.
[...] Nell'uso del mezzo usato è con-scoperta, attraverso l'uso la «natura»: la «natura» alla luce del prodotto naturale.»36

Il mondo è anche opera per chi..., e rimanda a colui che crea o impiega l'oggetto, il quale è creato da qualcuno e per qualcuno: ci vengono incontro altri Esserci. L'opera non ci fa incontrare solo enti utilizzabili, ma anche enti che hanno il modo di essere dell'Esserci e coi quali condividiamo lo stesso mondo.


Si ha una concezione olistica del mondo, sempre alla mano, fatto da enti che si lasciano utilizzare.


Si scade dall'atteggiamento ontologico a quello ontico quando gli oggetti si rompono e non funzionano più. Quando si rompono il rimando s'interrompe, si presentificano e diventano mere presenze (si parla di solitudine dell'oggetto).


Il mondo è inutilizzabile quando le cose si rompono, in quanto la totalità dei rimandi si atrofizza. Il disturbo del rimando è ciò che fa emergere il mondo come mera presenza, come se quando il mondo va storto ci accorgiamo di esso:


«La mancanza di un utilizzabile la cui disponibilità quotidiana era talmente ovvia da passare inosservata, costituisce parimenti una frattura nell'insieme dei rimandi scoperti dalla visione ambientale preveggente. La visione ambientale annaspa nel vuoto e comincia a rendersi conto del «per che» e del «con che» il mancante era utilizzabile. È il mondo-ambiente che si annuncia di nuovo.»37

Per comprendere più a fondo il fenomeno del rimando, Heidegger conduce l'analisi ontologica di un mezzo in cui può rintracciare rimandi in vari sensi. Questo mezzo è il segno:



«Con questo termine si intendono molte cose: non solo le diverse specie dei segni, ma anche l'essere segno di..., che può essere formalizzato in un genere universale di relazione, sicché la struttura stessa del segno può offrire il filo conduttore ontologico per una «caratteristica» dell'ente in generale.
I segni sono in primo luogo mezzi, il cui specifico carattere di mezzo consiste nell'indicare. Sono segni di questo genere: i segni stradali, le pietre di confine, i segni di tempesta per la navigazione, i segnali, le bandiere, i segni di lustro, e così via. L'indicare può essere inteso come una «specie» di rimandare.

Il rimandare, estremamente formalizzato, è un porre in relazione. [...] Ogni rimando è una relazione, ma non ogni relazione è un rimando. Ogni «indicazione» è un rimando, ma non ogni rimando è un'indicazione. [...] alla fine apparirà chiaro che la «relazione» stessa, a causa del suo carattere formale universale, ha la sua origine ontologica nel rimando.»38

I segni orientano l'Esserci nel commercio quotidiano, lasciano venire incontro l'utilizzabile:



«Il segno non è una cosa che stia con un'altra cosa nella relazione dell'indicare; esso è invece un mezzo che, nella visione ambientale preveggente, fa emergere esplicitamente un complesso di mezzi, in modo tale che, nel contempo, si annuncia la conformità al mondo propria dell'utilizzabile.»39

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Il mondo è ciò in base a cui l'utilizzabile è utilizzabile, ogni ente è scoperto in un processo in cui ogni ente è rimandato a qualcosa. Esso ha con sé, presso qualcosa il suo appagamento.40L'appagatività è l'essere dell'ente intramondano, considerata da Heidegger la determinazione ontologica dell'essere di ogni ente e non un'osservazione ontica:


«Il «presso che» sussiste l'appagatività è l'«a che» dell'utilità e il «per- che» dell'impiegabilità. Con l'«a-che» dell'utilità può sussistere una nuova appagatività. Ad esempio con questo utilizzabile che noi, appunto per ciò, chiamiamo martello, sussiste la appagatività presso il martellare, col martellare sussiste l'appagatività presso il costruire, col costruire sussiste l'appagabilità presso il riparo contro le intemperie. Il riparo è fatto in vista dell'Esserci che vi si ripara, cioè di una possibilità del suo essere. Quale appagatività sussista con un utilizzabile, è determinabile solo nell'ambito di una totalità di appagatività.
La totalità di appagatività, ciò che, ad esempio, in una officina costituisce l'utilizzabile nella sua utilizzabilità, è «anteriore» al singolo mezzo; lo stesso dicasi dicasi di una fattoria rispetto a tutti i suoi attrezzi e terreni».41

Siamo indubbiamente di fronte ad una concezione olistica, in cui ogni cosa è connessa alle altre, ed emergono rapporti che, nella loro la totalità, costituiscono la significatività del mondo. Il complesso dei rimandi costituisce l'essenza del mondo, il quale si configura così come un sistema di relazioni. L'interconnessione di queste relazioni è la cifra costitutiva della mondità del mondo.



Conclusioni


    In questo breve saggio ho tentato di mettere in luce, in modo sintetico, alcuni aspetti che inducono ad affermare che vi sia una certa affinità tra alcune questioni sollevate da Heidegger in Essere e tempo e delle concezioni proprie del pensiero sistemico.
Fulcro di questa analisi sono state le nozioni di rimandi, segni, appagatività, immersione, commercio.
La concezione heideggeriana dell'essere-nel-mondo presenta infatti dei punti di contatto con l'odierno concetto di sistema: viviamo immersi in un sistema di relazioni che di fatto ci determinano, viviamo in un mondo che si descrive sempre meglio come una rete, come una trama di rapporti, o rimandi per dirla con Heidegger, e la fisica quantistica ne dà conferma.
La realtà è una rete nella quale siamo immersi, realtà che possiamo modificare, ma che possiamo solo in parte addomesticare.
L'uomo, per dirla con Urbani Ulivi, è una rete, un nodo, il punto d'incontro tra una una pluralità di reti che danno origine a nuovi sistemi.

E questo aspetto è già presente in Heidegger, dato che l'Esserci di cui parla è trama aperta al mondo, mondo che è trama esso stesso.
Il senso che cerchiamo un po' in tutto come uomini, è un senso che la concezione sistemica ci insegna a cercare nel tutto, nel sistema appunto, nella relazioni, e non più nei frammenti delle cose. Un frammento ha senso se collegato a ciò che lo circonda, a ciò che lo fa essere tale.


Il complesso di rimandi che Heidegger definisce mondità del mondo, senso del mondo, ci conduce a vedere nel filosofo tedesco un antenato illustre del pensiero sistemico, pensiero che lentamente attecchisce in molti ambiti del sapere umano.
Il percorso seguito in questa relazione ci ha condotto ad una concezione olistica della realtà, ad un mondo non più frammentato come vuole la fisica classica, ma ad un mondo vivo, dinamico, fluido. Fluido è il mondo e fluido è l'individuo, poiché aspetti diversi di un'unica fluidità, la realtà.


Il riferimento ad Husserl è stato necessario per mostrare il cambio di prospettiva attuato da Heidegger, che ne supera il metodo analitico (giudicandolo riduttivo) evidenziandone i limiti.
Tutti gli enti che compongono il mondo, persino quell'ente particolare che è l'uomo, sono sistemi, le cui parti non sono disposte casualmente, ma sono vincolate da una rete di relazioni che ordinano e danno alle cose identità e senso.



Note:

1 Altri autori importanti sono stati A. Rapoport, W. Boguslaw (I nuovi utopisti, 1965) e C.W. Churcharman (Filosofia e scienza dei sistemi, 1968).
2 Il metodo cartesiano si compone di quattro elementi: 1:L'evidenza: «Il primo era di non prendere mai niente per vero, se non ciò che io avessi chiaramente riconosciuto come tale; ovvero, evitare accuratamente la fretta e il pregiudizio, e di non comprendere nel mio giudizio niente di più di quello che fosse presentato alla mia mente così chiaramente e distintamente da escludere ogni possibilità di dubbio»; 2:L'analisi: «Il secondo, di dividere ognuna delle difficoltà sotto esame nel maggior numero di parti possibile, e per quanto fosse necessario per un'adeguata soluzione»; 3:La sintesi: «Il terzo, di condurre i miei pensieri in un ordine tale che, cominciando con oggetti semplici e facili da conoscere, potessi salire poco alla volta, e come per gradini, alla conoscenza di oggetti più complessi; assegnando nel pensiero un certo ordine anche a quegli oggetti che nella loro natura non stanno in una relazione di antecedenza e conseguenza.»; 4:L'enumerazione (controllo dell'analisi) e la revisione (controllo della sintesi): «E per ultimo, di fare in ogni caso delle enumerazioni così complete, e delle sintesi così generali, da poter essere sicuro di non aver tralasciato nulla.» Cfr: https://it.wikipedia.org/wiki/Discorso_sul_metodo
3  Cfr:http://www.aiems.eu/files/12_numero__luisicapra.pdf
4  Scrive Marrani su i due paradigmi: Nel nuovo paradigma, l’accento cade sull’insieme piuttosto che sulle parti. L’attenzione alle parti nel corso della storia ha dato luogo al meccanicismo, al riduzionismo e all’atomismo. L’attenzione all’insieme ha dato luogo all’olismo, all’organicismo e all’ecologismo. La tensione essenziale è quella tra la materia e la forma. Se l’accento cade sulla materia, ci si concentra sugli elementi fondamentali, sulla misurazione, sulla quantificazione. Se l’accento cade sulla forma, ci si concentra sull’organizzazione, sulla qualità e sulla mappatura. Il pensiero analitico scompone l’unità in parti indipendenti, concentrandosi sugli aspetti materiali visibili, sul substrato ultimo, sugli elementi. Il pensiero sistemico, al contrario, ha di mira l’organizzazione contestuale dell’intero, concentrandosi sugli aspetti immateriali invisibili, sull’ordine tacito implicito, sulle dinamiche processuali. Per fare un esempio di come si applica questo paradigma, la nozione ontologica di oggetto non sarà più intesa come struttura materiale cosale, ma come schema di probabilità di interconnessione. La nozione chiave è pattern: configurazione ordinata di relazioni. Il paradigma sistemico, infatti, è particolarmente adatto per descrivere il fenomeno della vita. I sistemi viventi, infatti, sono basati su schemi di organizzazione reticolari non lineari, auto-organizzati, in retroazione e autoregolanti. Ogni sistema vivente è un’unità cognitiva autopoietica, che emerge in modo non locale dalle interazioni collettive degli elementi che lo compongono, operazionalmente chiuso ma in relazione con l’ambiente esterno, e che si automantiene rigenerando continuamente le proprie componenti dall’interno. Ambiente e organismo si intrecciano in una dinamica di co- evoluzione. La vita stessa è una proprietà emergente sinergica, all’intersezione tra ambiente, cognizione ed autopoiesi. Oltre alla classica causalità bottom-up, dal basso verso l’alto, la vita prevede anche una causalità top-down, dall’alto verso il basso. I sistemi viventi, poi, sono connessi con i sistemi non viventi grazie a complessi anelli di feedback, e sono inclusi gerarchicamente in sistemi sempre più grandi, fino ad arrivare al pianeta Terra nel suo insieme, che sarebbe a sua volta un sistema auto-organizzato, secondo l’ipotesi “Gaia” di Lovelock e Harding.  Cfr: Marrani, Verso una visione sistemica in filosofia e medicina. Dal materialismo riduzionista all'olismo ecologicohttps://astronautaperduto.blogspot.com/2018/09/verso-una-visione-sistemica-in.html 
5 Cfr. Lucia Urbani Ulivi, Perché il pensiero sistemico in filosofia?, "Rivista di filosofia Neo- scolastica", 2, (2010), pp. 223.
6 Cfr: Lucia Urbani Ulivi (a cura di), Strutture di Mondo. Il pensiero sistemico come specchio di una realtà complessa, Bologna 2010, cit., pp. 10, 11. Ci limitiamo solo ad alcune delle molte definizioni.
7  Cfr. Lucia Urbani Ulivi, Perché il pensiero sistemico in filosofia?, op. cit., p 224.
8  Scrive Heidegger: «Le ricerche che seguono sono state possibili solo sul fondamento posto da E. Husserl, le cui Ricerche logiche hanno dato i natali alla fenomenologia» : cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, Pietro Chiodi (a cura di); Torino, 1969 p. 100.
9 Anche David Hume (1711-1776) usa un metodo riduzionistico, ovvero suddivide un elemento complesso in elementi più semplici e non più scomponibili per arrivare all'irriducibile, che è l'elemento ultimo o fondamento: le impressioni.
10 Il concetto di intenzionalità è ripreso da Brentano, che la intende come la condizione necessaria e sufficiente per avere una coscienza.
11 Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 133.
12 Scrive Heidegger:«L'espressione «fenomenologia» significa primariamente un concetto di metodo. Essa non caratterizza il che-cosa reale degli oggetti della ricerca filosofica, ma il suo come. [...] il termine «fenomenologia» esprime una massima che può essere formulata così: «Verso le cose stesse!»». Ibidem, p. 86.
13 Scrive Heidegger a p. 87: «I fenomeni, costituiscono dunque l'insieme di ciò che è alla luce del giorno o può essere portato in luce, ciò che i Greci a volte identificavano senz'altro con ta onta (l'ente)»
14 Cit: La struttura dell'umano. Linee di un'antropologia sistemica. In Strutture di Mondo. Il pensiero sistemico come specchio di una realtà complessa, Bologna 2010, cit., p. 236.
15  «[...] ancora oggi il conoscere è assunto come una relazione tra soggetto e oggetto, il che è tanto vero quanto vuoto. Soggetto e oggetto non coincidono con Esserci e mondo» ibidem, p. 130
16  «Ma il conoscere non instaura un «commercium» fra un soggetto e un mondo, e neppure sorge da un'azione del mondo del soggetto. Il conoscere è un modo dell'Esserci fondato nell'essere- nel-mondo.» ibidem p.133.
17  È un procedimento che Heidegger fa risalire a Socrate, che poi attraverserà tutta la filosofia occidentale.
18  «Qual è questo ente esemplare e in che senso possiede un primato?» Ibidem , p. 59.
19  «L'Esserci è inoltre del tutto singolare rispetto agli altri enti» Ibidem , p. 65.
20  ibidem, p.60
21  «l'Esserci è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può, nel suo essere, o «scegliersi», o conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo «apparentemente».» ibidem , p. 107
22  Ibidem, p. 72. E ancora, a pagina 78: «L'Esserci comprende se stesso e l'essere in generale a partire dal mondo». Di nuovo, nella nota a di p. 117: «L'orizzonte immediato da prepararsi in vista dell'analitica dell'Esserci è costituito dalla quotidianità media.»
23 Ibidem, p. 121
24 Ibidem, pp. 122-123. 
25 notare che il trattino che Heidegger inserisce vuol rappresentare la continuità, come se legasse e riunisse ciò che la filosofia post socratica ha separato.
26 Ibidem, p. 127
27 «Che cosa può significare la descrizione del «mondo» come fenomeno? Far vedere ciò che si manifesta con l' «ente» intramondano. Il primo passo consiste nella enumerazione di tutto ciò che c'è «nel» mondo: case, alberi, uomini, montagne, astri. Possiamo descrivere gli aspetti di questi enti e mostrarne le modificazioni. Ma tutto ciò rimane un' «affare» prefenomenologico, privo di ogni rilievo fenomenologico. La descrizione resta resta appiccicata all'ente. È ontica, mentre ciò che si cerca è l'essere. «Fenomeno», in senso fenomenologico, è ciò che si manifesta come essere e struttura dell'essere.». Ibidem, p. 134
28  Ibidem, pp. 134, 135.
29  Ibidem, p. 135
30  Ibidem, p. 136
31  «Il modo più prossimo all'Esserci quotidiano è il mondo-ambiente.» Ibidem, p. 138.
32  «[...] quel modo quotidiano di essere-nel.mondo che indichiamo anche con l'espressione commercio nel mondo e con gli enti intramondani. Il commercio intramondano si è già da sempre disperso in una molteplicità di modi di prendesi cura. Come fu detto il modo più immediato del commercio intramondano non è il conoscere semplicemente percettivo, ma il prendersi cura maneggiante e usante, fornito di una propria conoscenza» Ibidem, pp. 138-139 . E ancora: «ciò che è usato, ciò con cui si ha a che fare manipolando»
33 E ancora : «Il commercio appropriato al mezzo, commercio in cui unicamente il mezzo può manifestarsi nel sue essere (ad esempio, il martello nel martellare), non conosce tematicamente questo ente come cosa presentatesi, allo stesso modo che l'usare non ne sa nulla della struttura del mezzo in quanto tale. Il martellare non si risolve nella semplice conoscenza del carattere di mezzo del martello, ma si è invece già appropriato di questo mezzo come più adeguatamente non sarebbe possibile. In questo commercio usante, il prendersi cura sottostà al «per» costitutivo di ciascun mezzo. Quanto meno il martello è oggetto di contemplazione, quanto più adeguatamente viene operato, e tanto più originario si fa il suo rapporto ad esso e maggiore il disvelamento in cui esso ci viene incontro in ciò che è, cioè come mezzo. È il martellare a scoprire la specifica «usabilità» del martello.» Ibidem, pp. 141, 142.
34 «L'utilizzabilità è la determinazione ontologico-categoriale dell'ente così come esso è «in sé». Ibidem, p. 145
35 «L'opera raccoglie la molteplicità dei rimandi entro cui si incontra il mezzo» Ibidem, p. 143 
36 Ivi: p. 143

37 Ibidem, p. 151
38 Ibidem, p. 152
39 Ibidem, p.157. E ancora: «Il segno è un utilizzabile ontico che, in quanto è questo determinato mezzo, funge nel
contempo da qualcosa che rende manifesta la struttura ontologica dell'utilizzabilità, della totalità dei rimandi e della mondità.» Ibidem , p. 159.
40 Ibidem, p. 160
41 Ibidem, p.161



Bibliografia:

Urbani Ulivi (a cura di); Strutture di mondo, il pensiero sistemico come
specchio di una realtà complessa; Bologna 2010
Pietro Chiodi (a cura di); M. Heidegger, 
Essere e tempo; Torino, 1969


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